3 Maggio 2024

Un Drago della letteratura inglese. “Il libro delle meraviglie e altre fantasmagorie” di Lord Dunsany

di Christian Balsamo

È possibile, anzi probabile, che il nome di Edward John Moreton Drax Plunkett, XVIII Barone Dunsany – Lord Dunsany per gli amici – non vi dica nulla; eppure ci troviamo al cospetto di uno degli autori inglesi (ma di origine irlandese) più prolifici a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, dalla cui penna sono venuti fuori romanzi, poesie, drammi e saggi. Si potrebbe dire che i secoli traboccano di autori meritevoli finiti, chi più chi meno, nell’oblio, ma se il nostro Lord Dunsany viene citato tra le fonti di ispirazione di autori come J.R.R. Tolkien, H.P. Lovecraft, Fletcher Pratt, Jack Vance, Neil Gaiman, David Eddings e Gene Wolf allora il discorso cambia. 

Nel prologo del Libro delle meraviglie, edito per la prima volta nel 1912, si legge: 

Vengano, signore e signori che in qualche modo sono stanchi di Londra, vengano con me anche coloro che sono arcistufi del mondo che conosciamo: perché abbiamo nuovi mondi, qui.

Lord Dunsany

In queste poche righe viene condensato l’aspetto forse più affascinante della narrativa dunsanyana, ovvero quello di creare dal nulla mondi dettagliati, affascinanti e fantasmagorici. Per mia curiosità, sono andato a cercare sul vocabolario l’esatta definizione di “fantasmagoria”: un susseguirsi di immagini, suoni, colori, oggetti, azioni che colpiscono i sensi e la fantasia. Ed è esattamente quello che troverete in questo libro. 

Il volume che ho tra le mani fa parte della collana Oscar Draghi, edita da Mondadori, e prima di parlarvi del contenuto mi soffermerò brevemente sulla confezione: le dimensioni sono di poco inferiori a quelle di un foglio A4 (17×24 cm per l’esattezza), la copertina e la rilegature sono abbastanza robuste da contenere le circa 650 pagine col taglio colorato – in questo caso di una specie di indaco – tipico di questa collana; la grammatura della carta non è molto alta per forza di cose, ma non stiamo parlando di carta velina, anche se è facile creare dei piccoli strappi se siete degli sfogliatori compulsivi (e un po’ maldestri) di pagine. Sicuramente non si può definire un tomo maneggevole, ma se come me amate il libro anche come oggetto, oltre che per il contenuto delle pagine, allora non potrete non amarne l’aspetto. All’interno troviamo una silloge di racconti completa che fornisce la prima metà del titolo all’opera; a tenerle compagnia dei nutriti estratti da altre raccolte: The Gods of Pegāna (1905), Time and the Gods (1906), The Sword of Welleran and other stories (1908), A Dreamer’s Tale (1910), Tales of Wonder (1916), Jorkens Remembers Africa (1934) e Jorkens Has a Large Whiskey (1940). A chiudere, due romanzi: The King of Elfland’s Daughter (1924) e The Curse of the Wise Woman (1933). Ho voluto riportare i titoli originali e gli anni di pubblicazione per darvi un piccolo assaggio della prolificità di questo autore, mentre, per quanto riguarda la sua capacità di spaziare tra gli argomenti, vi dovrete fidare di quello che leggerete nelle prossime righe.

I racconti sono spesso brevi – a volte una, due pagine – e dipingono a tinte vivaci, seppure un po’ malinconiche, un universo tematico fatto di stelle, di creature attinte dal mito classico e irlandese, ma soprattutto di sogni e sognatori. Sulle pagine aleggia un’aura onirica, una nebbia quasi palpabile che invece di nascondere ammorbidisce la prosa, spesso dettagliata e un po’ verbosa, lasciando che le immagini e le suggestioni filtrino all’interno della nostra mente esattamente come un sogno che, dettagliatissimo sul momento, al risveglio ci lascia solo qualche figura evanescente ma sensazioni piuttosto persistenti. In aiuto alla nostra immaginazione vengono le illustrazioni originali realizzate da Sidney Herbert Sime, che collaborò con Lord Dunsany dal 1904 in poi.

Sealmaiden, Sidney Herbert Sime

Un discorso a parte va fatto per i racconti con protagonista Joseph Jorkens, uno dei personaggi più longevi creati da Lord Dunsany, a cui si accompagnerà da metà anni ‘20 fino a fine carriera (per un totale di 150 episodi): un panciuto gentiluomo di mezza età che trascorre le serate nei billiards club di Londra, dove gli avventori fanno a gara per offrirgli da bere e poter ascoltare i resoconti delle sue avventure mirabolanti

Jorkens è infatti un discendente del settecentesco Barone di Münchhausen, di cui ricalca il taglio comico e soprattutto l’inverosimiglianza delle peripezie a dir poco rocambolesche in cui si trova coinvolto. 

Life, Sidney Herbert Sime

Il romanzo La figlia del Re degli Elfi mi ha fatto tornare alla mente l’Erlkönig di Goethe – poi musicato da Franz Schubert –, perché gli elfi, pur non essendo malvagi come nella ballata originale, sono lontani da quell’aspetto “tutto luce” che siamo abituati ad associare loro da Tolkien in poi. Pur non trattandosi di un romanzo molto lungo (circa 170 pagine nell’edizione Mondadori), la lettura non è sempre fluida: come ho accennato anche in precedenza, la prosa a tratti risulta prolissa. O meglio, lo è per un lettore moderno, più avvezzo ai ritmi incalzanti della narrativa attuale. 

In realtà, le digressioni sulla campagna inglese, la caccia alla volpe e lo stile di vita dei signorotti sono utili per ragionare sulle tematiche di questo romanzo: l’inconciliabilità – vera o presunta – delle diversità tra le persone e la volubilità della natura umana, capace di ripudiare con sdegno e intransigenza ciò che fino al giorno prima avrebbe fatto di tutto per ottenere, come nel caso degli anziani di Erl che inizialmente vogliono la magia a tutti i costi, salvo poi volersene liberare completamente. 

Apocalypse, Sidney Herbert Sime

Per quanto riguarda il secondo romanzo, che chiude il volume, dal titolo La maledizione della Veggente, a sorprendermi è stato lo stile molto vicino a un certo realismo magico che mi ha fatto venire in mente il Calvino più fiabesco, Sepúlveda e alcuni lavori di Anna Maria Ortese, ma soprattutto il taglio “ecologico” della storia in cui il protagonista – assimilabile allo stesso Lord Dunsany – e la signora Marlin, la veggente cui allude il titolo, fanno tutto quanto in loro potere per evitare che una palude venga trasformata in uno stabilimento per estrarre la torba (utilizzata da sempre in Irlanda per il riscaldamento). È l’eterna lotta tra il passato e il futuro, la tradizione e la tecnologia, tra due modi di concepire l’uomo e il ruolo che riveste sulla Terra.

Qui l’atmosfera è perennemente avvolta dal mistero, con tutta l’allure fascinosa che ne consegue: a partire dalle prime pagine, con l’improvvisa sparizione del padre del protagonista, passando per le allusioni a Tír na nÓg (in due parole, l’aldilà della mitologia irlandese), per arrivare all’inquietante figura della signora Marlin, che si aggira per la palude borbottando tra sé. Anche qui non mancano lunghe digressioni, ad esempio sulle abitudini di caccia ai volatili nella campagna inglese, ma la storia è sicuramente più accattivante della precedente, e l’attenzione viene mantenuta più facilmente viva.

Pattern in the sky, Sidney Herbert Sime

In definitiva, mi sento di consigliare la lettura di questo “omnibus” agli appassionati di letteratura fantastica in generale e a quelli di fantasy in particolare, per (ri)scoprire uno dei padri di questo genere, che ha ispirato le generazioni di autori a noi cronologicamente più vicini, e a tutti quelli che hanno semplicemente voglia di staccarsi dalla realtà per un po’. Certo, se odiate le lunghe descrizioni di luoghi naturali, gli aggettivi con più di due o tre sillabe e le frasi subordinate, evitate questo volume come la peste, altrimenti lasciatevi trasportare in mille e una avventure che solleticheranno la vostra immaginazione come difficilmente vi sarà capitato prima.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Christian Balsamo

Lettore perennemente affamato, legge principalmente fantasy, sword and sorcery, avventura.

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