19 Marzo 2024

Erica Donzella presenta Gian Mario Villalta e Maria Attanasio: “Il sogno di sognare”, le interviste

di Redazione

Marzo non ha come protagonista soltanto la primavera, ma è anche il mese interamente dedicato alla poesia. Che sia stato scelto proprio marzo sembra essere significativo: la rinascita della natura da una parte, la poesia come speranza dall’altra. Tuttavia, con questo articolo, non vogliamo celebrare qualcosa che oggi può apparire così vetusto come, appunto, il concetto altissimo di poesia a cui siamo abituati, ma ricordare invece come la parola poetica sia viva e necessaria oggi, domani. Sempre. E lo facciamo parlandovi di un progetto bellissimo partito proprio in questi giorni.

Ideato da Antonio Presti (Fondazione Fiumara D’Arte), l’evento Il sogno di sognare ha visto tantissimi poeti di fama nazionale ed emergenti condividere le proprie parole e la propria visione, perché ogni atto di condivisione, in fondo, non è che un atto di bellezza.

Laddove la società in cui viviamo ci vuole sempre più veloci e poco attenti, multitasking e prestazionali, la poesia, invece, ci chiede cura, attenzione, calma. Quando si parla di poesia si percepisce una parola che non sembra più appartenere ai nostri ritmi e alla nostra dimensione, eppure, come è stato detto da Maria Attanasio in uno degli incontri tra i poeti e il pubblico, nella poesia non esiste un sentire “privilegiato”, ma un sentire, e basta. La poesia appartiene al corpo, ai sensi. Appartiene a ognuno di noi, e può essere lo strumento per indagare il mondo e noi stessi.

Abbiamo sbirciato da vicino l’evento del 18 marzo, alla Mondadori Store di Piazza Roma a Catania, parlato direttamente con la presentatrice, Erica Donzella, e con i poeti, Gian Marco Villalta e Maria Attanasio, e rivolto loro alcune domande. L’entusiasmo della loro voce, il fervore e la passione, si percepiscono anche leggendo le loro risposte. 


Intervista a Erica Donzella 

Quanto è importante questo progetto e cosa ti ha spinta a parteciparvi come presentatrice?

Il sogno di sognare raccoglie un pensiero personale ma anche condiviso da chi vi ha preso parte: portare la poesia negli spazi dove la poesia può ancora essere vitale. Dalle librerie alle scuole, dire e fare la poesia significa dire a voce alta le cose del mondo, mostrare le sue fragilità e le sue bellezze. Con questa visione in mente ho detto subito di “sì” e sono felice di fare parte di questa comunità di persone in ascolto.

Anche se la poesia, una volta nata, diventa universale, che rapporto c’è tra la poesia e il territorio?

Non è facile recitare versi in uno spazio disturbato dal contemporaneo. Non è semplice fare arrivare una voce dentro un frastuono. Ma la poesia è sempre esistita in questo contrasto: il chiacchiericcio e la necessità. E il nostro territorio ha tanto bisogno di voci.

Parlando invece della funzione immaginifica della poesia, essa può, secondo te, salvare quelle persone che vivono nelle realtà più periferiche? Ha questo potere?

L’arte tutta può creare mondi diversi e la poesia ha di certo una portata rivoluzionaria soltanto se nutrita da una comunicazione emotiva. Se imparassimo a parlare e ascoltare l’Altro da noi avremmo anche più facilità a creare possibilità. Credo tanto nella potenza della parola poetica, nel suo magmatico deviare destini che finirebbero alla deriva.


Intervista a Gian Mario Villalta

Quanto è importante questo progetto e cosa l’ha spinta a parteciparvi?

Sono qui sia per la serietà, sia per il valore delle iniziative. Mi sono incastrato tra questo e altri impegni perché credo che l’evento sia un modo per fare qualche cosa di effettivo, invece di dire sempre delle cose. Ovviamente i poeti “dicono”, però possono anche “fare”. In questo caso “fare” vuol dire incontrare le persone, “fare” vuol dire parlare con loro di parole che sono importanti. Oggi è stata una bella giornata, perché negli istituti dove siamo andati abbiamo avuto incontri significativi. Ho percepito un lavoro molto importante da parte degli insegnanti e credo che non si debba far morire la poesia, che sta morendo soprattutto nella scuola. Perché proprio la scuola rischia di essere il solo posto in cui una persona ha possibilità di incontrarla. Allora, questa idea di coinvolgere le istituzioni educative è anche un modo per far vedere che la poesia esiste. Non è fatta solo di poeti morti che si è costretti a studiare sui libri.

Anche se la poesia, una volta nata, diventa universale, che rapporto c’è tra la poesia e il territorio?

Sempre strettissimo. Dipende poi da come uno sceglie di giocarsi questo destino. Però uno nasce che non parla ed eredita una lingua; quindi vuol dire che eredita un mondo che è proprio quel mondo lì. Le scelte della vita, poi, le occasioni, il destino, lo possono portare a essere profugo, ad andare dall’altra parte del mondo, possono anche far scegliere un’altra lingua come lingua della poesia, però il legame fondamentale è quello della generazione in un posto preciso. Poi, chiaramente secondo me, il poeta che vive nell’astrazione dei suoi bei sentimenti è veramente un buon poeta.

Parlando invece della funzione immaginifica della poesia può, secondo lei, salvare quelle persone che vivono nelle realtà più periferiche? Ha questo potere?

Allora, io direi che non dobbiamo esagerare. Nel senso che salvare è una parola grossa e forse, quando si è pensato di salvare o di liberare intere popolazioni o l’intera umanità, tante volte si son fatti dei danni nella storia pazzeschi. Io direi, piuttosto, che quello che si può fare, che è un bene anche per realtà che sono quelle della periferia, che sono in realtà comunque umane, è di metterci la faccia, di farsi vedere e di dire che, in fondo, quello che viene fatto in periferia ha gli stessi limiti, le stesse caratteristiche di impegno e fatica che caratterizza tutte le vite umane

Quale poesia di un altro poeta, sempre sul sogno e l’utopia, consiglierebbe di leggere?

Più che una poesia vorrei condividere una dichiarazione di Andrea Zanzotto che parla della poesia come lode dell’esistenza dell’essere del mondo. Pensa che la parola mette insieme due apparati pazzeschi, quello del nutrimento e quello della respirazione, e che insieme, fin dal dal primo vagito, danno suono alla voce, alla parola che loda il mondo. E dall’altra parte dice: guarda che questa lode è anche un collaudo. Pensa che bel gioco etimologico: cum laudare. Cum laudare vuol dire anche mettere in prova, collaudare come l’automobile. Allora, la poesia è lode e collaudo. In questo senso, che è molto interessante, anche la scuola dovrebbe essere lode di quello che siamo, di una civiltà, da un lato; e dall’altro collaudo, messa in prova della vita rispetto a queste conoscenze. Allora, in questo contesto, il sogno dà l’idea che possiamo avere un futuro diverso, ma dovrebbe anche offrire la possibilità  concreta di mettersi alla prova, di vedere se le cose funzionano, di sbagliare, di tornare indietro, di ricominciare. 

Quale tra le sue poesie lette oggi dedicherebbe maggiormente al progetto?

Sono libri difficili, pagine oscure, ma non vuoi che ti basti
vivere con il pasto che aspetta coperto da un piatto
dopo la scuola, un futuro migliore di speranze non tue.
Viene luce più tardi. Il cielo rimena
macerie. L’erba è stremata. Tu non capisci tutto
ma sei sicuro che capiscono te
le parole che un uomo ha scritto e ti immagini
la sua vita, con quei pensieri, la pianura
e la città di ferro che ordina in cerchio l’inverno,
luce che piove amara, uno lo ferma per strada
vicino all’erba, ai container, parlano di queste cose.  

da Poesie Abbandonate 

Con questa poesia Villalta ci spiega che spesso ciò che capiamo è solo una convenzione culturale, così come il sistema dell’algoritmo ci mostra solo quello che, in un certo senso, capiamo e vogliamo vedere. Le parole, anche quelle poetiche, e anche quelle che non capiamo, non subito almeno, ci portano a interrogarci, a superare il nostro sistema di convenzioni, a modificare le nostre prospettive. Il cervello, dice Villalta, ci presenta sempre i risultati e mai i suoi processi, ma quando mettiamo in dubbio questi processi lo scarto è quello di interrogarci davvero e superare il gap dell’algoritmo.


Intervista a Maria Attanasio

Quanto è importante questo progetto e cosa l’ha spinta a parteciparvi?

Io non sono nuova a partecipare a questi progetti, ho una storia antica di eventi con Antonio Presti, quindi quando mi chiama sono sempre disponibile. Anche perché abbiamo questa connessione in nome della poesia. Amo Antonio e questo genere di eventi, perché al centro c’è sempre chi è escluso, c’è sempre il margine, che è ciò che mi interessa. Al centro della scrittura e della poesia ci deve essere questo, altrimenti non ha senso la scrittura. Quindi, Librino, quartiere che viene marginalizzato, deve riconquistare la sua centralità attraverso una presa di coscienza; e la poesia, in questo senso, può essere un modo. 

La poesia, come linguaggio, può salvare le persone che vivono ai margini?

Vedi, il problema della poesia è che non ha un linguaggio unico. Io lavoro attraverso le immagini e attraverso le immagini cerco di esprimere i clandestini, i migranti, una madre… Altri usano un linguaggio più classico. Dunque il problema non è l’immagine, bensì il senso che si dà all’immagine; cosa vuol dire? A cosa ti porta? La poesia è un linguaggio alternativo a quello di una contemporaneità che usa solo concetti di mercati e borse che disumanizzano l’uomo. La poesia ribalta questi valori e in questo senso può essere salvifica per tutti.

Che rapporto c’è in poesia tra il concreto, l’universale e la collettività?

Secondo me una cosa per avere valore universale non deve parlare in astratto del mondo, deve partire da qualcosa di concreto. La poesia riesce a farti guardare in modo diverso qualcosa, e fa emergere uno sguardo inedito verso quel qualcosa e, a partire da questo, diventa universale. Si può parlare anche del guscio di una lumaca, come dicevamo poco fa, e da lì esprimere tutta la bellezza dell’universo. Si può parlare di una mosca, puoi parlare di una città, perché il punto non è parlare dei destini generali in generale; il punto è rappresentare i destini generali e la collettività attraverso lo specifico di qualche cosa. La poesia è così: dopo la siepe di Leopardi si apre l’universo. Poi l’universale può essere espresso o inespresso, ma c’è sempre. 

Quale poesia sua o di qualche altro poeta, dedicata all’utopia e al sogno, consiglierebbe?

Delle mie? Non lo so. Ma in generale qualsiasi poesia in sé è sogno e utopia, perché si fa scrittura altra del mondo.

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Adele Licciardi

Nata a Ragusa il 26 maggio 1991, ha frequentato il liceo classico Secusio Bonaventura di Caltagirone. Dopo il diploma continua gli studi umanistici iscrivendosi alla triennale in Lettere moderne presso l’università di Catania e conclude il suo percorso universitario con la laurea magistrale in Filologia moderna nel 2022.

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Elisabetta Siotto

Nata il 25 dicembre 1995, è cresciuta a Nuoro, nel cuore della Barbagia. Dopo aver frequentato il liceo classico Giorgio Asproni e dopo aver maturato una piccola esperienza giornalistica con la testata online Globalist, è partita per il Sud alla scoperta della Sicilia.

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