14 Settembre 2023

Alberto Sputacchiera e Guglielmo Ravasio. Intervista all’autore di “La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera”

di Valentina Savasta

Intervista a cura di Valentina Savasta.

Equilibri Precari ospita il nono scrittore, Alberto Ravasio, autore di La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera un romanzo Quodlibet Edizioni.

Alberto Ravasio è un giovane autore bergamasco, classe 1990. Ha pubblicato articoli sul Sole 24 Ore, su La Balena Bianca, sull’Indice dei Libri del Mese e altre riviste. La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è il suo primo romanzo, finalista al Premio Calvino e nella cinquina del Premio POP 2023.

Valentina Savasta: Ciao Alberto e grazie di essere qui con noi. La prima domanda è subito personale: chi è e cosa rappresenta per te Guglielmo Sputacchiera? Quanto hai messo di te nel personaggio?

Alberto Ravasio: Sputacchiera è una marionetta esemplare, una marionetta espiatoria, che dà il cattivo esempio e paga per tutti perché dentro il fosso ci finisce sempre lui e non noi. In questo senso, con le dovute proporzioni, Sputacchiera somiglia a un Pinocchio, a un Fantozzi, a un Cioni Mario, è una maschera tragicomica, un travestito poetico, ma dal momento che il mio è un romanzo e non un presepe vivente ho dovuto aggiungere una certa tridimensionalità e dunque ho prestato a Sputacchiera alcune cose mie che ormai non usavo più, come il paese, la parentaglia, le cattive abitudini onanistiche. Gli elementi autobiografici nel testo però restano statici, non dinamici: le condizioni di partenza sono più o meno le stesse, ma appena comincia la storia ecco che irrompe il fantastico sotto forma di seni alieni.

V.S.: Quali sono le tue fonti? E quale la tua formazione letteraria? Trovi corretto definire il tuo romanzo kafkiano, o quello della metamorfosi è un espediente come un altro per trattare la complessità umana da una prospettiva altra?

A.V.: Verso la fine di Manhattan l’amico professore universitario fedifrago accusa il personaggio interpretato da Allen di avere modelli troppo alti, gli dice qualcosa come: «Tu ti credi dio» e quello risponde: «Bisogna pur avere dei modelli nella vita». In ambito letterario però spesso i modelli alti inibiscono, causano le vertigini, i complessi nanistici, la sola cosa che possa fare un aspirante scrittore dopo aver letto fino in fondo Kafka è smettere di scrivere, mentre i modelli di media statura, meglio se vivi e raggiungibili in auto o via mail, sono paradossalmente più utili, perché condividono con te la lingua contemporanea, il vicinato nazionale, e ti permettono di capire cosa puoi scrivere davvero, cosa puoi scrivere lo stesso, nonostante Kafka. 

V.S.: Quando hai capito che il tuo libro era pronto per essere letto da qualcun altro? E una volta uscito, perché credi di aver ricevuto tante «lapidazioni con pallottole di polenta ghiacciata» (semi cit.)? Credi che l’Italia non sia ancora pronta a questo tipo di comicità in letteratura? O è un problema solo dei boomer parvenu che sotto l’ombrellone leggono Guerra e Pace sorseggiando Old Fashioned? 

A.R.: Quanto alla ricezione controversa, tanto per giustificare i miei studi costosi e vani, la butterei su un discorso di storia della letteratura italiana. Il comico letterario in Italia è sempre esistito e ha pochi rivali nelle altre letterature, penso a Boccaccio, Svevo, Pirandello, Landolfi, ma a differenza di altri paesi l’Italia non ha mai avuto una letteratura pienamente popolare e di conseguenza il pubblico si divide in due: chi capisce le battute e chi non capisce niente. Fortunatamente quelli che non capiscono niente non parlano di letteratura, per loro il libro è scuola o al massimo incomprensibile regalo natalizio, e da questo punto di vista, e solo da questo punto di vista, lo scrittore è più fortunato degli artisti visivi, perché non avrà mai un pubblico bue o mucco che dica, vedendo la merda in scatola: «Io questa la faccio uguale tutte le mattine».

V.S.: La forma mentis muta, per forza di cose, di generazione in generazione, a seconda del tessuto socio-culturale (e non solo) di una data epoca. In tal senso, credi che l’age gap rappresenti oggi una determinante del rapporto genitori-figli?   

A.R.: Se parliamo di divario generazionale in senso assoluto o comunque psicologico, essendo io un freudiano, cioè uno sconcio con la scusa dei traumi, mi dichiaro completamente edipico: non esiste un conflitto più radicale ed eterno di quello tra padre e figlio, è sufficiente aprire la Bibbia a casaccio e troviamo Abramo che quasi accoltella il figlio su mandato del nonno metafisico. 

Abbassando invece il ragionamento a Sputacchiera, visto che il tema si prestava, ho praticato un po’ di travestitismo emotivo e verso la fine del romanzo mi sono messo nei panni del padre ammaccalamiere, timorato bestemmiatore, coi piedi al posto delle mani. Senza quell’esperimento mimetico a mio avviso sarebbe venuto fuori un libro dal manicheismo un po’ pasoliniano, con la società corrotta e bacucca da una parte e i ragazzi poveri, arrapati e innocenti dall’altra. 

V.S.: Abbiamo subodorato nel libro una certa affinità con Philip Roth, almeno nella centralizzazione della masturbazione e nella morbosità sessuale che caratterizza i personaggi. Quanto c’è di vero in questo?

A.R.: Philip Roth è stato praticamente la mia unica lettura contemporanea straniera intorno ai vent’anni durante il triennio di Filosofia e credo di averlo letto tutto, ovviamente malissimo, sottolineando solo le parti diseducative, come le eiaculazioni al cimitero, le defecazioni isteriche, la figomania. 

Negli anni ci sono tornato sopra e l’ho un po’ secolarizzato per due motivi. Intanto a mio disinformato parere le traduzioni sono troppo diverse tra loro perché un italiano scarso in inglese lo possa prendere a modello tecnico. Il Philip Roth di Montanari non è il Philip Roth di Sonaglia e il Philip Roth di Sonaglia non è il Philip Roth di Mantovani eccetera, cambiano i tic formali, la struttura sintattica. Inoltre, per come vanno, anzi, non vanno le cose nel mondo, i vari Zuckerman e Portnoy sono ormai così economicamente inverosimili, con due ex mogli e il posto fisso in università a trent’anni, che i giovani scrittori neoproletarizzati finiscono per affezionarsi di più a Bolaño. 

V.S.: Quanto è stato divertente scriverlo? Sei uno scrittore caotico o certosino? Parlaci del tuo processo di scrittura.

A.R.: Concordo con Houellebecq quando dice, da qualche parte, che scrivere è una specie di lapsus tirato per le lunghe, somiglia a quando non ti ricordi una parola, forse per ragioni psicosessuali, e ti sforzi di trovarla e nel frattempo ti vengono molti sinonimi. Sicuramente è parecchio faticoso, soprattutto per gente che non ha mai lavorato, è un’apnea mentale continua, ma tutta questa retorica del sudore cranico vale per i romanzi, mentre nelle interviste, come nelle chat erotiche, uno può anche inviare i cazzi suoi. 

© Riproduzione riservata.


titolo: La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera
autore: Alberto Ravasio
editore: Quodlibet
anno: 2022
prezzo: € 14,00


Valentina Savasta

Nata a Catania il 6 aprile 1994, si è diplomata nel 2012 presso il Liceo Linguistico G. Lombardo Radice, dove la ricordano ancora come la paladina delle cause perse. Dopo parecchi anni sabbatici di lavoro e autoanalisi, ha finalmente deciso di seguire la sua passione iscrivendosi al corso di laurea triennale in Lettere Moderne all’Università di Catania, dove si è laureata nel giugno 2021.

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