8 Marzo 2021

Il divertimento è una cosa seria! “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino

di Giada Di Pino

Il visconte Medardo di Terralba, colpito da una palla di cannone durante la sua prima battaglia nella guerra contro i Turchi, è tornato a casa… a metà. 

Torna il suo lato destro, per l’esattezza, perché del sinistro, sostituito da un nero e lungo mantello, non vi è nessuna traccia. 

Grande è la gioia del vecchio padre e di tutti gli abitanti di Terralba nel poter constatare che il loro signore è ancora vivo, ma è una gioia effimera: il Medardo destro, infatti, è crudele oltre ogni immaginazione, e passa le sue giornate a ordinare impiccagioni, a dare fuoco alle case dei contadini, a tiranneggiare i suoi sudditi, ma soprattutto a tagliare a metà tutto ciò che è intero: frutta, funghi, animali…

Finché un giorno non arriva a Terralba l’altra metà, il Medardo sinistro, che, al contrario del primo, è buono, virtuoso, premuroso e amorevole fino all’inverosimile. 

Ciò che un Medardo distrugge, l’altro risana; ciò che un Medardo cura, l’altro avvelena. Una cosa sola hanno in comune, le due parti divise di un tutto: il desiderio di sposare Pamela, la contadinella grassoccia, smaliziata e indipendente che vive nei boschi e parla con gli animali e che rifiuta tanto la parte cattiva quanto quella buona del visconte, rivendicando un impossibile diritto all’unità del suo futuro sposo. 

A raccontare questa paradossale e divertentissima storia è il giovane nipote illegittimo di Medardo, che osserva la vicenda con gli occhi disincantati e curiosi del bambino che cerca il senso dell’esistenza nel mondo che lo circonda. 

Di sensi, in realtà, in questo breve e divertentissimo romanzo ve ne sono moltissimi: è lampante, infatti, come esso sia una grande metafora dell’animo umano, sempre scisso, sempre diviso, sempre in guerra, in contrasto con sé stesso. 

Perché la completezza non è data all’uomo, che, per quanto si sforzi, sarà sempre qualcosa più di qualcos’altro, sceglierà sempre una parte di sé stesso a scapito dell’altra. 

Non si tratta di una semplicistica metafora del bene e del male, ma di qualcosa di più profondo, che va oltre una scissione manichea della realtà. 

Tutti i personaggi del romanzo hanno infatti un particolare rilievo e sono portatori di un preciso significato: dai lebbrosi festaioli, che altro non sono che gli intellettuali decadenti, al timoroso dottor Trelawney, simbolo della scienza che di tutto si occupa tranne che dell’uomo, fino al falegname Pietrochiodo, emblema della tecnica che invece di creare distrugge. 

Due soli personaggi sono ancora “interi”: la vecchia balia Sebastiana, intestardita nel non riconoscere la dualità di Medardo, e il piccolo narratore, intero perché ancora bambino. 

Come in tutti i grandi romanzieri, a scavare nelle opere di Calvino ci si potrebbe passare l’intera vita. Ma un romanzo come questo nasce innanzitutto per un fine, che è anche il più serio di tutti: divertire.

 

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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