23 Novembre 2022

C’era una volta: storie di vita che scorre. “Sogni del fiume” di Chandra Livia Candiani

di Adele Licciardi

Sogni del fiume di Chandra Candiani è il titolo della raccolta illustrata data alle stampe a settembre 2022 per Einaudi e contenente 15 racconti. La scrittrice è conosciuta nello scenario letterario per aver pubblicato diverse raccolte di poesie e frammenti in prosa come La bambina pugile (2014), La domanda della sete (2020) o, la più recente, Questo immenso non sapere (2021). 

Il legame tra questa raccolta e le precedenti pubblicazioni è immediato, perché qui ritroviamo quei temi, quelle azioni e quei sentimenti talmente cari alla Candiani da essere declinati in modi e forme sempre diversi. Questa volta tocca di nuovo al genere fiabesco raccontarli: la scrittrice, infatti, aveva già affrontato il genere fiabesco con una raccolta risalente al 1984, Fiabe vegetali

Ognuno di questi racconti si apre con la tipica formula del “c’era una volta” e catapulta il lettore all’interno di luoghi che, pur apparendo fuori dal tempo e dai confini geografici conosciuti, si radicano nel nostro presente e parlano di noi e a noi.

Una bambina, un usignolo, una rosa, il silenzio, un uccello, la musica, una formica, una pattumiera, un poeta, due fratelli, un cavallo con le ali, un bambino d’oro, un merlo. Cosa hanno in comune queste figure che costellano Sogni del fiume

La prima è che sono i personaggi delle storie che un fiume racconta a se stesso per non avere paura, come sembra suggerire non solo il titolo della raccolta ma anche l’epigrafe iniziale: «Si narra che il fiume correndo verso il mare racconti a se stesso delle fiabe per farsi compagnia e per avere meno paura di quell’attimo in cui diventerà immenso».

La seconda è che questi protagonisti, con le loro fattezze e i loro sentimenti, fanno parte della “schiera degli umili”, quelli di cui nessuno racconta mai e che rimangono sgranati sullo sfondo di ogni storia. 

Non è possibile riassumere queste fiabe, solo leggerle. Tuttavia, alcuni di questi racconti più di altri catturano, cullano, sorprendono, uccidono, poi salvano, e alla fine alcune parole, proprio quelle che Candiani utilizza con tanta maestria, permangono, si trasformano e si raccontano a loro volta.

Ma quali luoghi e sentimenti ci narra la scrittrice in questi racconti? 

Illustrazione: Rossana Bossù

Nella vita che faccio risorgere non attendo più la mano che mi salvi. 

Storia di una rosa è una trasposizione beckettiana più fiabesca di Aspettando Godot che sembra qui avere un suo lieto fine. L’attesa di una rosa che affida il suo destino esclusivamente a qualcun altro diventa la fine stessa della vita. Eppure, così come c’è un tempo per morire, c’è anche un tempo per risorgere.

Abbraccio tutto, senza sosta. Sogni, rammarichi e baci sperati. 

Il silenzio di Milano, dove il silenzio è la somma dei rumori. Due opposti che sembrano impossibilitati a conciliarsi qui diventano un tutt’uno, perché per la Candiani non esistono confini così lontani da non potersi sfiorare. Il silenzio, questa parola così piena, richiama a sé la raccolta Il silenzio è cosa viva e ricorda che, se si rimane in ascolto, anche la più terribile della quiete ha in seno il più grande dei frastuoni.

Senti, senti, il mondo sa parlarti con dolci parole se lo sai ascoltare.

Una musica felice, una melodia gioiosa che non pretende nulla e nulla chiede, ma rende felice chi la ascolta. Non è forse l’ascolto dell’altro a renderci completi? Non è saper percepire il suono delle piccole cose a restituire quella trascurabile gioia dimenticata? 

«Un suono di sonagli, la slitta dell’infanzia, le ginocchia sbucciate, gridare da un treno in corsa, annusare una rosa a occhi chiusi». 

Voglio guardare, sentire, vivere. E non domandarmi se esiste davvero un posto per me. 

La formica inutile, perché diversa dalle altre, entra in crisi dopo l’annuncio di un censimento. Tra ironia e descrizioni immaginifiche, si denuncia sottilmente la forzata catalogazione a cui oggi la società spinge ogni essere umano. Tuttavia, si fa anche spazio un modo di essere più naturale, quello che prende in carico l’unicità di tutti gli esseri viventi: un sasso, senza eguali al mondo, o una lacrima che, a differenza di tutte le altre lacrime, sa guardare. 

Inutile è un termine che Candiani ha già utilizzato più volte in passato, ma sempre spogliato da ogni critica o biasimo. Nell’introduzione a Questo immenso non sapere, infatti, inutili sono animali, alberi, esseri viventi non addomesticati, «nel senso che non si curano di avere uno scopo, sono in vita e gli basta».

Illustrazione: Rossana Bossù

Posso dare un nome a tutto. E nei nomi celare il mondo e rivelarvene i segreti. Ricucire ciò che è rotto, ripristinare i petali spezzati, raccontare la vita che scorre.

Leilui è il poeta che nasce con una pelle sottile e una percezione amplificata, che conosce le cose in modo inusuale e che prova a raccontarle ascoltando il silenzio e tramutandolo in inchiostro. È ancora nell’ascolto, nel tendere le orecchie e gli occhi a quello che ci circonda, che le cose si fanno vive. Averne cura e rappresentarle, invece, è compito di persone speciali come i poeti. 

C’è il battito di un suono che non assomiglia che a un altro battito di suono. E quando due battiti di suono simili si incontrano accade di sentire una risposta, una simmetria, una gioia.

Il bambino d’oro. Il timore del mondo ha il potere di far splendere e fuggire insieme. Tuttavia, può capitare che a furia di scappare ci si dimentichi come ritornare in esso. Quando ogni strada sembra persa, accade però il miracolo dell’ascolto. 

Ascolto, questa parola che ritorna ancora, come un mantra, sotto forme sempre nuove, con lettere che mutano in altre lettere, ma rimandano sempre a esso, e ricordano i contorni di una casa, l’odore della pazienza, il sapore dell’incontro.

Questi sono solo alcuni dei 15 racconti che travolgono il lettore con parole che diventano immagini, con fatti ordinari che diventano straordinari.

Il primo racconto, La bambina del fiume, apre la raccolta e la interseca anche, la chiude e la travolge insieme. Molti dei temi cari alla Candiani si ritrovano proprio qui. 

Illustrazione: Rossana Bossù

Queste storie, che la stessa Candiani chiama di educazione sentimentale, insegnano ad ascoltare, insegnano l’altro, diverso da noi eppure così simile, il tutto diviso in parti dove ogni frammento non è che parte del tutto e, insieme a questi temi, trovano spazio sentimenti come la malinconia e la solitudine, che qui vengono accolti nella loro normalità. Fa capolino anche l’amore che salva, che abbraccia, che accoglie, che fa male, l’amore da cui imparare, l’amore da imparare. E, infine, la magia del narrare storie che fanno passare la paura di dover scorrere ancora, incessanti, nel tempo della vita. Le quindici storie che Candiani ci racconta e, forse, si racconta. Come il fiume.

Il lieto fine non appartiene solo alle fiabe che da piccoli tutti abbiamo conosciuto, perché anche qui, in ogni storia, c’è un happy ending, ma attento all’inclusività. La perfezione non è un valore assoluto da ricercare a ogni costo e Candiani non si fa alcuna remora a mostrarcelo. In un’epoca come la nostra, che ferisce i sogni, le speranze, e non accetta le debolezze, queste storie di umili senza voce brillano di luce propria e aprono la possibilità di un lieto fine per tutti.   

La scrittura della poetessa anche in questa raccolta, e forse soprattutto qui, è immaginifica e figurativa. Le descrizioni hanno il suono di nenie in cui affondare e riemergere con una ricchezza maggiore, quella della scoperta di parole che possono svelare altri modi di guardare le cose. 

A completare questa scrittura ci sono le illustrazioni di Rossana Bonù che, con l’uso di pennellate calde e di figure a tratti fantastiche, sembrano catapultare il lettore nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie. Se già Candiani sa proiettarci in una dimensione altra, in cui il confine tra le cose si fa più esile, le illustrazioni hanno il valore aggiunto di accompagnare con più forza il lettore in questo approdo al nuovo mondo.

Ancora una volta Chandra Candiani utilizza la scrittura come balsamo e cura, specchio e ricerca. Ancora una volta la scrittrice prende il mondo su un palmo della mano e sembra dirci “eccolo, ogni cosa è collegata, ogni cosa ci parla di noi, e noi parliamo attraverso le cose”. E proprio per questo non possiamo che esserle grati.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Adele Licciardi

Nata a Ragusa il 26 maggio 1991, ha frequentato il liceo classico Secusio Bonaventura di Caltagirone. Dopo il diploma continua gli studi umanistici iscrivendosi alla triennale in Lettere moderne presso l’università di Catania e conclude il suo percorso universitario con la laurea magistrale in Filologia moderna nel 2022.

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