11 Aprile 2024

L’emancipazione dell’umanità. “Povere creature!” di Yorgos Lanthimos

di Giulia Chines

Un violino risuona. Nella mia memoria fanno capolino le immagini di una mostruosità portata in vita da un dottore la cui fama ha attraversato i secoli: Frankenstein. Abbracciata da un bianco e nero patinato di tinte fosche, velate, entro nel mondo che Yorgos Lanthimos ha messo in scena adattando il romanzo Povere creature! dello scrittore scozzese Alasdair Gray.

La trama segue le vicende di Bella Baxter (Emma Stone), che a inizio film viene mostrata nell’atto di suicidarsi gettandosi nel Tamigi. Il suo corpo viene raccolto dal chirurgo Godwin Baxter (Willem Defoe) che, scopriamo, ha trovato la donna morta ma “ancora calda”, con unǝ bambinǝ in grembo. Prende così la decisione di fare un macabro esperimento: asportare il cervello della donna e sostituirlo con quello del feto. Il film segue lentamente la crescita di questa “creatura”, la sua scoperta del mondo attraverso varie città ed esperienze. Inizialmente si comporta come una bambina, sputando il cibo, rompendo i piatti, giocando e divertendosi in uno spazio abitato da creature strane ricomposte dal chirurgo. Quando, però, scopre la sua sessualità, matura anche la volontà di uscire dalla casa paterna. Godwin cerca di tenerla con sé combinando un matrimonio con lo studente Max McCandles (Ramy Youssef) che lo assisteva nell’esperimento, ma Bella scappa con l’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), venuto nella tenuta proprio per redigere il contratto di matrimonio tra Max e Bella. Duncan – forte del suo essere donnaiolo – promette a Bella un mondo di libertà, ma fra varie prodezze sessuali, nello sfondo coloratissimo di una Lisbona immaginaria, si ritrova ossessionato da lei. Comincia così un viaggio che porterà Bella su una nave, dove inizierà a studiare filosofia, tentando di scoprire una sua morale e finendo per trovare, ad Alessandria, il dolore di un male impossibile da affrontare. Poi, attraversato il socialismo di una Parigi decadente, fa ritorno alla casa di Londra, si ricongiunge al padre. Infine, nella quête dentro la vita della mente che abitava il suo corpo, quella della madre, scopre definitivamente se stessa. La domanda è: dove porta davvero questo percorso?

Secondo molta critica, Povere creature! sarebbe un film scritto per le donne, un prodotto che strizza l’occhio al tema dell’emancipazione femminile e basta. Io credo sia molto più di questo: è un film essenzialmente pensato per gli uomini, un film che vuole forse educare il mondo maschile, ponendo l’attenzione su quei comportamenti da non ripetere. Gli uomini di questa pellicola sembrano le vere “povere creature”, vittime anche loro del patriarcato, eppure carnefici del genere femminile. Viene in mente, a chi scrive, il testo di bell hooks La volontà di cambiare, che mette in luce il male del patriarcato per spingere gli uomini a essere parte del mutamento.

L’ossessione di Duncan Wedderburn non è altro che lo stereotipo caricaturale del patriarcato: l’uomo è libero, sessualmente e socialmente, mentre la donna è sottoposta, sottomessa e dipendente dal maschio. Nel momento in cui l’uomo libero (e libertino) incontra una donna che non può controllare, ecco che ne diviene ossessionato. Non amore dunque, ma malattia, mono-mania. Perché il pensiero che sta dietro al suo presunto sentimento non è altro che la volontà di controllo su un essere che a esso sfugge. Proprio perché mente “bambina”, Bella non rientra nei canoni standardizzati, non comprende le regole della società e questo la rende un altro imprescindibile, l’altro per eccellenza. Duncan si conferma anche in questo emblema stereotipico del patriarcato, perché una volta riconosciuta l’impossibilità di rendere Bella “sua” (nel senso più forte e negativo del termine, come possesso), finisce per demonizzarla: si sente vittima di un incantesimo, stregato, come se Bella non fosse di questo mondo. Arriva ad averne paura e questo è significativo. La ridicolizzazione che Lanthimos mette in scena della sua paura, infatti, è un simbolo estremo del ridicolo del patriarcato, il ridicolo che ha portato alla caccia alle streghe, alle donne bruciate sul rogo, alla demonizzazione in generale della donna libera, della donna indipendente, della donna colta e fuori dagli schemi maschio-centrici.

Un’opposizione va messa in luce. Da un lato abbiamo Max McCandles: lo studente, in un certo modo, sembra amare sinceramente Bella, ma in realtà dimostra più una sottomissione al volere di Godwin (il padre per eccellenza, diremo dopo perché); dall’altro abbiamo l’altro topos del patriarcato: Alfie Blessington (Christopher Abbott). Senza dirvi chi sia realmente, va comunque sottolineato che cosa questo personaggio rappresenti. È l’uomo violento, l’estremo definitivo del patriarcato, l’uomo la cui la mania di controllo arriva al punto da richiedere la mutilazione dei genitali della donna. È l’uomo con la pistola, colui che annulla l’identità femminile, rendendola appendice del maschio. È l’incarnazione violenta del patriarcato, il lato peggiore che ha attraversato le ere. Non per nulla è l’uomo rappresentato in modo totalmente negativo: irrispettoso e malvagio anche nei confronti della propria servitù.

Infine, l’ultima figura maschile davvero importante è quella di Godwin Baxter. Godwin sembra rappresentare un altro tassello fondamentale del sistema patriarcale: quello religioso. Non a caso lui stesso fa una battuta sul suo nome, sul suo essere “God”, Dio. E la casa sembra un paradiso terrestre distorto, creato appositamente per Bella, con tutti i comfort, con tutto ciò di cui dovrebbe avere bisogno. Uno spazio protetto e controllato, come ci dice lui stesso. Ma non solo, Godwin rappresenta un’altra parte essenziale del modo in cui il dominio del padre si articola: la scienza, che è anche caratteristica del contesto del romanzo originale (ambientato nell’Ottocento). Godwin è al tempo stesso Dio e uomo di scienza che gioca a fare Dio (ritorna il paragone evidente con il Frankenstein di Mary Shelley, il cui nome da signorina era – udite, udite – proprio Mary Wollstonecraft Godwin). La stessa ambientazione sembra steampunk, ma ha anche dell’assurdo. Il fatto che Godwin prenda e mischi parti di animali non fa che riflettere una versione distorta della creazione, l’unica a essere alla portata dell’essere umano. Godwin, inoltre, è di aspetto quasi mostruoso. La dualità uomo-mostro, lezione del Frankenstein, viene portata alle estreme conseguenze e le apparenze estetiche sono ribaltate: ora il creatore è mostruoso e la creatura meravigliosa. Perché? La risposta potrebbe stare in quella che, a mio parere, è l’essenza stessa del film, ovvero la rappresentazione del patriarcato in quanto fenomeno negativo. Si potrebbe inoltre pensare che nel suo tentativo di assurgere al divino l’essere umano diventi ripugnante. Non dimentichiamo che il mostruoso, antropologicamente parlando, altro non è che un mischiarsi di sostanze che in natura sono divise (il Minotauro è uomo e toro al tempo stesso). Eppure, sappiamo anche che lo stesso sacro è unione di essenze differenti, dunque il divino, il demoniaco e il mostruoso hanno in sé tutti questa unione di esseri che dovrebbero essere separati. Qui però entra in gioco un ulteriore elemento, cioè la scienza. Godwin altro non è che il risultato di numerosi esperimenti del padre. Questo apre allora un’altra possibilità: Godwin potrebbe rappresentare anche l’uomo vittima del patriarcato, il bambino che subisce violenza sino a credere che quella violenza sia giusta, una norma da ripetere. Ma, visto il suo percorso nel film, Godwin è anche la speranza della mascolinità vittima del patriarcato: rappresenta la possibilità di uscire dal suo circolo vizioso. 

Andiamo ora alla protagonista. Bella Baxter è al tempo stesso ogni donna e nessuna donna. È la possibilità di un futuro nuovo, il dispiegarsi di un percorso di emancipazione che ancora stiamo percorrendo. Non sorprende che Lanthimos metta in luce il sentire della protagonista con un uso sapiente della fotografia, dei colori e del fish eye. Vediamo un inizio tetro ma a colori, poi una Bella bambina in un mondo in bianco e nero, l’esplosione di colori saturi nella Lisbona della scoperta, il blu freddo della nave-prigione, l’arancione e il rosso fuoco delle tremende rivelazioni di Alessandria, i tenui e soffusi colori della Parigi politica e della neonata indipendenza economica, passando attraverso il nero e il grigio tetri della villa di Alfie, fino alla nuova esplosione di colori della libertà ottenuta. Il fish eye sottolinea inoltre tutti i momenti di concentrazione in se stessa della protagonista.

Il percorso di Bella è duplice. È quello della donna che si emancipa ma è anche quello della creatura umana, del viaggio che dal paradiso terrestre (l’innocenza dell’infanzia), attraverso la scoperta della sessualità (Eva e la mela), porta l’essere umano lontano da Dio, alla ricerca della propria strada, della libertà dai canoni precedenti, verso la scoperta di mondi nuovi, alla ricerca di sé e del mondo ideale. Attraverso questo viaggio, Bella, come ognuno di noi, vive la meraviglia ma anche il dolore del male, vive la ricerca della libertà e la scoperta di prigioni sociali e psicologiche, vive la filosofia, la morale, il pensiero che si evolve, vive per viversi.

Povere creature! è un film sull’emancipazione dell’umanità, un film femminista nel senso più stretto del termine, perché non parla di un mondo dove la donna primeggia, ma di uno dove il maschio stesso può decidere qual è il suo posto, un mondo dove ognuno di noi ha la libertà di scegliere. Oggi più che mai ci sembra attuale e se un libro scritto nel 1992 ancora risuona è perché queste visioni sono più che mai osteggiate, perché la vera libertà è rinchiusa da un concetto di possesso e di controllo, perché ancora oggi dobbiamo sentire di ragazzine stuprate o uccise e sentir dare la colpa a loro, alle innocenti, ma anche agli innocenti, ai bambini che subiscono abusi dai padri perché devono diventare “forti”, perché il mondo fuori è peggio. D’altro canto, Lanthimos è ben consapevole che dalla società e dalle sue regole non si sfugge e doveva mettere del suo nel finale: Bella ricorre comunque alla vendetta e la sua soddisfazione ci fa pensare che molte di noi non sono esenti da questa violenza, che non è solo propriamente maschile. Ma ci ricorda anche il finale di un altro capolavoro dello stesso regista, The Lobster, che vi invitiamo a recuperare.

Emma Stone alla notte degli Oscar

Lanthimos ci mostra il suo tocco pessimista, ma rimane una nota positiva: sembra che si apra la strada per un futuro nuovo. Ed è a questo futuro che dovremmo puntare, tuttǝ insieme.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giulia Chines

Nata a Palermo nel 1994, si diploma al Liceo scientifico Galileo Galilei della propria città. Prende una laurea triennale in Studi filosofici e storici e una magistrale in Scienze filosofiche e storiche all’Università degli Studi di Palermo, approfondendo in particolar modo gli studi antropologici di René Girard rispetto al capro espiatorio e agli stereotipi di persecuzione, oltre che al rapporto violenza-religione.


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