28 Novembre 2022

La sofferenza di nascere donna raccontata dal premio Nobel. “La donna gelata” di Annie Ernaux

di Sofia Sercia

È stata Annie Ernaux, scrittrice francese nata a Lillebonne nel 1940, a vedersi assegnato il tanto agognato Nobel per la letteratura di quest’anno. In molti parteggiavano per Houellebecq o Murakami, ma, a ogni modo, l’assegnazione di questo premio è sempre motivo di scontento per alcuni.
Negli ultimi tempi non sono mancate polemiche e perplessità nei riguardi dei vincitori delle edizioni passate. Difficile dimenticarsi del disappunto legato alla vittoria di Bob Dylan nel 2016 o delle diatribe del 2019 su Peter Handke, accusato di aver sostenuto l’ex presidente serbo Milošević.
Talvolta, semplicemente, si critica il fatto che l’autore prescelto non abbia abbastanza talento da meritare la vittoria. Ma forse bisognerebbe prima chiedersi quale sia realmente, al giorno d’oggi, lo scopo del Nobel per la letteratura.

È risaputo che le opere di Ernaux non abbiano mai colpito la critica per la loro innovazione stilistica o narrativa. Tuttavia, è possibile notare come negli ultimi anni siano stati più premiati i meriti socio-culturali e politici piuttosto che stilistici. Ed Ernaux detiene certamente il merito di aver dipinto vividamente la società patriarcale del suo tempo e la condizione della donna in quel preciso contesto. 

Ernaux racconta di se stessa in quanto adolescente, poi donna, infine moglie e madre. Le sue opere si basano sempre su elementi autobiografici. Del resto, è proprio lei che suole definirsi come “etnologa di sé stessa”. Attraverso la sua storia come individuo, emerge la ricostruzione di un’intera collettività di donne del suo tempo; per questo suo impegno nel rendere i suoi scritti strumenti di indagine sociale, ha certamente fondamento il premio conferitole quest’anno.

Prendiamo ora in considerazione uno dei libri in cui possiamo ritrovare tutte le caratteristiche peculiari di questa scrittrice: La donna gelata, un’opera particolarmente rappresentativa pubblicata per la prima volta nel 1983. Come in molti altri suoi lavori, Ernaux racconta qui della propria vita, soprattutto della sua educazione femminile nel contesto proletario nella Francia degli anni ’50 e ’60. La narratrice ci rende partecipi dei suoi ricordi fin dalla prima infanzia: la vita da figlia unica della piccola Annie in una cittadina di provincia. I genitori gestiscono una drogheria, spartendosi sempre equamente i compiti: lei tiene la contabilità del negozio, lui si occupa delle faccende di casa. Situazione che la giovane percepisce come normale, ma che crescendo comincerà gradualmente a considerare “strana”, scoprendo con stupore la discrepanza tra le famiglie delle sue compagne di classe e la propria.

In un primo tempo, la narratrice non ha alcuna percezione del fatto che esista un qualsiasi tipo di divario tra lei e “gli altri”, i maschi, a eccezione di quella fisica. Il modello che ha interiorizzato a partire dalla vita domestica dei propri genitori è basato su una dinamica in cui sia la donna che l’uomo hanno pari voce in capitolo su questioni lavorative, finanziarie e domestiche, e dove “angelo del focolare” non è una definizione che abbia particolare valenza femminile o maschile, anzi, non significa assolutamente nulla. Con il passare degli anni, però, la giovane si accorge di come la sua situazione familiare non rappresenti la regola, bensì l’eccezione.

Il lettore intuisce che il primo periodo di ingenuità infantile, caratterizzato da ottimismo e inguaribile entusiasmo, è destinato a scemare velocemente. Crescendo, la ragazza si interroga continuamente su cosa rappresenti davvero la sua identità di donna, quesito che le causa perplessità e sofferenze. La protagonista vive un eterno conflitto tra il voler preservare la propria individualità da un lato e adattarsi a ciò che la società considera la normalità dall’altro. È eternamente combattuta fra il desiderio di incarnare l’ideale femminile e quello di lottare per rompere questa immagine

L’impressione di avere dei doveri in quanto donna, dai quali non si può sfuggire, sembra sospingerla verso un destino inevitabile: bisogna sposarsi e avere figli innanzitutto.

In un primo momento, la narratrice rigetta l’idea, ma la vediamo pian piano cedere passivamente a questo ideale di vita, a cui in fondo non crede ci siano alternative. Troppo faticoso capire la differenza fra quello che bisogna accettare perché “così va la vita” e che cosa, invece, vale la pena di cambiare. 

Tutto quello che la protagonista vuole è «smettere di galleggiare, cominciare ad avere una presa sul mondo», ma sembra fallire in continuazione in questo senso.

Ne La donna gelata Ernaux ci rende partecipi di come durante la sua giovinezza abbia finito per soccombere alla tacita richiesta maschile di mettere in secondo piano le proprie ambizioni e aspirazioni personali per assolvere al meglio il suo ruolo di moglie e madre. L’autrice ha sicuramente il merito di dipingere con estrema vividezza il proprio dolore e la propria frustrazione, fino a renderli voce pulsante di tutte le donne della sua stessa epoca.

Attualmente, i dibattiti che ruotano attorno alla parità di genere e la messa in discussione del patriarcato sono così attuali che è palese che le pubblicazioni di Ernaux suscitino uno spiccato interesse anche decenni dopo la loro pubblicazione, soprattutto per via del suo considerevole lavoro di denuncia contro l’oppressione sociale di cui la donna è stata vittima fino a oggi. 

Uno degli aspetti più toccanti del romanzo è certamente vedere come la protagonista tradisca man mano i suoi stessi ideali femministi: le aspirazioni all’uguaglianza si annichiliscono con l’avanzare degli anni. Al lettore viene voglia di puntarle il dito contro, accusarla di non essere stata abbastanza forte da rompere il circolo vizioso che lei stessa denuncia: l’ardore della giovinezza e del celibato cedono il passo all’oppressione della vita coniugale

Scrivere la sua storia ha probabilmente per Ernaux un significato terapeutico: la tristezza, la rabbia e la vergogna sono i tre sentimenti preponderanti del romanzo. Soprattutto, si mette in luce che la donna è l’eterna vittima del suo stesso senso di colpa e che spesso non è in grado di essere allineata con la sua stessa volontà.

Nonostante le interessanti questioni sollevate in questo libro, ci sono alcune considerazioni meno lusinghiere che possono essere fatte.

Per prima cosa, la protagonista ci catapulta per la totale durata dell’intreccio all’interno del suo stesso flusso di pensieri. La lente della narratrice è sempre e solamente focalizzata su di sé, e a tratti il lettore avverte la necessità di una veduta di più ampio respiro, poiché le riflessioni espresse si rivelano spesso eccessivamente intimiste e ripetitive

Oltre a ciò, nulla di particolarmente eclatante avviene mai a livello narrativo, anche se questa è una delle caratteristiche peculiari di Ernaux: un minimalismo che si riduce spesso a una totale assenza di dinamismo narrativo

Lo stile che dà forma alle angosce e alle paure della protagonista si presenta neutrale, senza giudizio e metafore, caratterizzato da un ritmo lento in cui i fatti narrati non sono né sminuiti, né esaltati. Le riflessioni presentate scadono però a tratti in un vittimismo un po’ melenso e patetico. 

Tutti gli intenti femministi dell’autrice sono sempre parzialmente contaminati da una retorica che si dimostra in una certa misura lamentosa e ripetitiva. Inoltre, è impossibile non considerare che, essendo la lotta contro il patriarcato uno dei temi di attualità più discussi in questi ultimi anni, alcune riflessioni di Ernaux risultano immancabilmente datate e figlie del loro tempo. I grandi dibattiti contemporanei portati avanti oggi da molte femministe e attiviste fanno apparire alcune delle problematiche messe in luce nel romanzo prive di punti di vista inediti e di nuovi spunti su cui riflettere.

La donna gelata è, a ogni modo, un libro che può essere apprezzato indubbiamente da moltissime lettrici per la sua maniera amara, malinconica e pungente di narrare una storia di remissione al femminile. Il romanzo, per chi non conoscesse ancora Ernaux e volesse farsi un’idea sulla sua opera, incarna tutte le caratteristiche peculiari della scrittrice, il cui merito è quello di aver reso una storia individuale una credibile rappresentazione socio-culturale del suo tempo. Nonostante non contenga nessuna idea particolarmente innovatrice e rivoluzionaria, questo libro può rappresentare ancora un buon manifesto per l’uguaglianza di genere, in cui Ernaux ci interroga su che cosa le donne possono trasmettere di generazione in generazione.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Sofia Sercia

Nata a Milano il 14 giugno 1998. Dopo aver frequentato il liceo linguistico Alessandro Manzoni, si laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Statale di Milano. Nel 2022 ha conseguito un master in editoria presso la Villaggio Maori Edizioni. Attualmente collabora con San Paolo Edizioni alla redazione di testi per la rivista PagineAperte.

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