22 Novembre 2023

Attraverso il doppio. “La fuga di Anna” di Mattia Corrente

di Elisabetta Siotto

La libertà è pericolosa, cambia le cose per te ma guarda quanto male può fare agli altri. 

Anna è partita.

Un giorno è uscita di casa è non è più tornata. Ha lasciato Severino solo, assieme agli oggetti che parlano di lei e un pesce rosso di cui non vuole ricordare il nome. È passato un anno e questo marito abbandonato non vuole più aspettare, parte alla ricerca di Anna, affida la vita di pesce rosso al barista Calogero, gli lascia le chiavi della solitaria casetta nell’isola di Stromboli e prende aliscafi, autobus e treni, ripercorrendo tutte le tappe del suo matrimonio.

Severino ha ottant’anni, il suo è un viaggio in direzione ostinata e contraria, una sorta di involuzione risolutiva, il recupero di un sé che racconta proprio alla moglie, lettrice ideale, la sua quête attraverso la Sicilia. Quello che leggiamo è un percorso doloroso nei ricordi, capace di smontare pezzo per pezzo tutte le menzogne che si è creato e a cui ha deciso di credere, per amore.

Mattia Corrente

Alla sua voce si uniscono altri due narratori: uno esterno, che ribalta e approfondisce la narrazione di Severino, seguendo da vicino il punto di vista di Anna, e un altro interno, difficile da riconoscere subito. Ogni due capitoli, infatti, attraverso un diario, Peppe, il padre della protagonista, prende vita. È lui ad aver dato il via al gioco dell’abbandono, mettendo al primo posto la propria libertà e lasciando le due figlie e la moglie Serafina ad affrontare un’intera vita segnata dalla mancanza, dall’assenza, dal lutto. Una storia apparentemente distaccata, dunque, ma che scopriamo essere la base di tutte le scelte e le non-scelte di altre quattro vite.

Home Sweet Home. Così ospitale, quando decido che sono solo in visita (particolare), 2014, ferro saldato, 180x250x250 cm. Foto di Anna Turina. fonte: www.D’ArsMag)

Torniamo al nostro anziano, che pensiamo già di aver capito, ridotto a un’età, a una ricerca, a un sentimento, e lo seguiamo nella speranza, anche noi, di ritrovare Anna, la ragazza infelice, divenuta donna, che sentiamo già di conoscere. Ma Mattia Corrente, pagina dopo pagina, moltiplica i tratti dei suoi personaggi, pone nell’arco temporale delle loro vite dei doppi che agiscono da specchi deformanti. Le prime impressioni ingannano il lettore, che raccoglie briciole di identità esplose attraverso le pagine.

Illustrazione Raffaella Panzera

Per Anna il primo doppio è Nina, quella gemella a cui non vuole assomigliare, quel volto identico al suo che ama e odia in pari misura, che vorrebbe strappare via dalle foto di famiglia, o almeno da quella che le ritrae l’ultima volta col padre. Vediamo Anna in Daniela, la sua sola amica, opposto tagliente, childfree e senza marito, una donna che vive di carriera e attivismo femminista. E ancora, Anna è in un gatto che tanto ha amato in una delle sue vite: Nello seppellisce tutto ciò che non gli piace, tra cui la spazzola che gli addomestica il pelo, e quel collare con il campanellino, simbolo di un rumoroso vincolo. Anna segue il suo esempio e seppellisce in un cortile di Siracusa, nel buio della notte, il suo abito da sposa. Severino, nel suo paradigma indiziario, dissotterra quella scatola sotto la pioggia. Sepolto lì dentro c’è anche un certo lui, un suo doppio del passato, quello che col vestito buono aveva convinto Anna ad andare all’altare, con la promessa che anche lei lo avrebbe amato, un giorno.

Il gatto con il pesce rosso, Henri Matisse, 1914

Peppe stesso è un doppio; opposto e uguale a lei, maschile e plurale. I Peppe. Tutti i Peppe di cui Anna custodisce i segreti, che non ci è dato scoprire se non alla fine, perché fuggono con lei e col suo complesso di Elettra, incapace però di uccidere la madre. E infine, proprio Serafina diviene il capovolgimento essenziale e il doppio estremo di un certo modo di essere Anna, il fulcro della sua scelta mediana di essere pesce in uno stagno.

Na fimmina nasce per essere mugghièri di un uomo e mamma di un figghiu.

 L’amore di questa madre è “zucchero e veleno”, è tradizione arcaica, è il nero del lutto portato per un marito non morto, solo scappato. Ché anche se non è certo che quel marito sia vivo, non può essere viva lei in sua assenza. Quasi la odiamo questa donna castrante, devota al maschile; la sua rigidità calpesta l’evoluzione, rifiuta il futuro. Per i valori e la volontà di una tale madre, Anna si sposa, si unisce a quel ragazzo che non conosce e non vuole, si costringe ad avere un figlio, si perde un pezzo per volta nel turbinio di una vita imposta. La legge del padre è libera: spazi aperti, profumo di margherite gialle, fucili imbracciati per colpi mai esplosi, rombo di motori, un ultimo ballo. La legge della madre è soffocante, chiusa, si scatena nelle mura domestiche, nei divieti, nella presenza imposta a cui Anna condannerà anche suo figlio, Antonio, fino alla ribellione.

Pesci rossi, John Wainwright II, 1869

E cos’è Anna, allora, se non è quella che sembra, se non si sente pesce in uno stagno, cosa desidera? Vuole essere vento, formica, ombrello, non vuole essere agave fiorita, perché l’agave che fiorisce muore; non vuole essere la moglie di quell’uomo in preda ai sensi di colpa, vuole essere Nina che il giorno della partenza per la Svizzera con un marito padrone, immagina Peppe che arriva in sella alla sua moto per portarsela via.

La legge della madre schiaccia però Anna, che scopriamo essere capace di prendersi solo piccole libertà: cucire bambole che sono come lei vorrebbe essere, seppellire sotto uno strato duro di terra il giorno del suo matrimonio, dedicarsi tutta ad Antonio, pretendere di essere tutto per lui. E fuggire, infine, sulla scia di Peppe, a settantotto anni, dopo una vita di scelte mancate.

«Il primo amore di una figlia è so patri» e questo non lo cambiano nemmeno sessant’anni di assenza.

Nel cercare Anna conosciamo anche Severino, un uomo il cui nome è frutto di una sottile ironia dell’autore, perché non c’è niente di severo in questo vecchietto dolcissimo, che ha trascorso la vita per la moglie, ad amarla, a cercare di farsi amare, nonostante l’alienazione che lei impone al suo rapporto col figlio, nonostante le stranezze, le forme di indifferenza, la durezza del carattere di qualcuno che lui sa, in fondo sa, non appartenergli.

La sua quête verso Anna è un incipit che ha retrogusto di abitudine disperata. Un ottantenne solo che mette il suo cappello, si infila i vestiti e guarda, quasi con terrore, la mantella lasciata appesa dalla moglie all’ingresso, che come ogni cosa gli ricorda lei. Prende e parte, questo anziano, e nel partire si ritrova, si ricostruisce un pezzo per volta, si riscopre. Amante del gelato, che Anna gli proibiva di mangiare a causa del diabete, amante dei vestiti moderni, del limoncello e dei motori, amante della vita in fondo: ancora quel “Seve” che era stato, quel ragazzo e quell’uomo che avrebbe potuto essere se non si fosse innamorato così testardamente di una donna inaccessibile.

Morgenthau Plan, Anselm Kiefer, 2012

Seve è un Telemaco ottantenne che compie il suo Viaggio di formazione in Sicilia; anche lui incontra i suoi doppi, le schegge del sé disseminate in tutti i luoghi in cui ha vissuto; si accorge di aver scelto di non scegliere, di non essere fuggito a sua volta e prima, di non aver agito, e riprende il controllo, con un paio di jeans nuovi, delle scarpe che Anna non approverebbe, un cappello diverso che lo incorona a re della sua esistenza; infine: un giro in moto con uno sconosciuto, una sigaretta con un vecchio amico e la libertà, finalmente, di non mantenere una promessa fatta al figlio. Almeno una.

Home Sweet Home. Così ospitale, quando decido che sono solo in visita (particolare). Foto di Anna Turina. fonte: www.D’ArsMag

Nonostante tutto, questo non è un romanzo sul rimpianto; è, al massimo, un libro che racconta di come la verità arrivi sempre per chi la vuole cercare, e con essa la liberazione dai fantasmi e dai pesi esistenziali. La libertà arriva dandosi la possibilità di essere. E lo fa attraverso gli oggetti ritrovati, attraverso tutte le comparse che costellano la vita degli esseri umani, accettando noi stessi l’idea di essere comparse nell’esistenza di qualcun altro.

Mattia Corrente scivola con stile incisivo e leggero, con occhi attenti e scrupolosi, verso questa verità, con una resa meravigliosa e tridimensionale dei suoi personaggi-persone comuni. L’unico personaggio straordinario è forse proprio Peppe, un Mattia Pascal scevro di inettitudine, che si racconta da solo, attraverso un piccolo diario di cui non dico niente, perché sono affari di Anna, di suo padre e del lettore che vorrà intraprendere questo viaggio. Peppe, che di doppio ha solo il suo riflesso alla finestra rigato da una crepa, sovrano della sua solitudine, cuore di uomo abbracciato a una Torah e al senso di colpa.

Si spera che questo esordio letterario per Sellerio inauguri una serie di romanzi, perché La fuga di Anna non è solo una bella storia dalla struttura scientemente tripartita, non è solo un canto d’amore per la Sicilia, un racconto con dei temi importanti e capace di lasciarsi divorare; è la scoperta di una voce nuova che speriamo scriva ancora tanto e sempre così bene.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Elisabetta Siotto

Nata il 25 dicembre 1995, è cresciuta a Nuoro, nel cuore della Barbagia. Dopo aver frequentato il liceo classico Giorgio Asproni e dopo aver maturato una piccola esperienza giornalistica con la testata online Globalist, è partita per il Sud alla scoperta della Sicilia.

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