31 Gennaio 2024

Politically InCorrect: La nostra gang di Philip Roth

di Valentina Savasta

È un Roth atipico, irriverente e spaventosamente profetico quello che ci guida in un dietro le quinte fittizie – ma neanche troppo! – della presidenza di Richard Nixon, negli anni Settanta del secolo scorso. 

Tra il serio e il faceto, con uno humour feroce e dissacrante, ai limiti del grottesco, in La nostra gang Roth si immola per l’arduo compito di vestire i panni di un presidente repubblicano, conservatore e populista – Trick E. Dixon, letteralmente Raggiro Dixon –, mostrandoci il marciume alacremente nascosto sotto i tappeti della White House, al di là del tristemente noto impeachment nello Scandalo Watergate, non ancora verificatosi al tempo della stesura del romanzo, scritto di getto nella primavera del ’71.

Il presidente Richard Nixon

La prima parte del romanzo riguarda la campagna di Tricky contro l’aborto, che sfocerà nel tentativo di estendere il diritto di voto ai “non-nati”, descritti dalla penna di Roth come una minoranza non rappresentata. Il fine manifesto è quello di recuperare consenso elettorale; quello latente è di delegittimare e svilire la semantica attivista. Individuiamo qui l’orientamento pro-life di uno dei presidenti peggiori della storia americana, che fa né più né meno ciò che la destra estrema fa da decenni: strumentalizzare e distorcere le battaglie dei democratici. 

Partirei con la citazione posta in apertura del romanzo, pronunciata nel corso di un’arringa – viene sottolineata sovente la formazione giuridica del Presidente, «Io però, avendo studiato giurisprudenza ed esercitato l’avvocatura…» – pronunciata da Nixon a San Clemente nell’aprile del 1971: 

«In base alle mie convinzioni personali e religiose, considero gli aborti una forma inaccettabile di controllo delle nascite. Inoltre, non posso far quadrare politiche di aborto illimitato, o aborto su richiesta, con la mia personale fede nella santità della vita umana, inclusa la vita dei non ancora nati. Perché, sicuramente, anche i non nati hanno diritti, riconosciuti dalla legge, riconosciuti altresì dai principi enunciati dalle Nazioni Unite».

No, disgraziatamente non è Lercio.

Sono queste le parole realmente pronunciate dal presidente di un paese fintamente progressista quale è l’America. Certo, sono trascorsi cinquant’anni da allora; eppure non si può evitare la sensazione che tutto ciò sia spaventosamente attuale, considerando che, oggi, in molti Stati USA l’aborto è illegale.

Tra Pro-life e Pro-choice, da anni il mondo discute, di fatto, su chi detenga il diritto all’autodeterminazione della donna (e se il concetto vi risulta ossimorico, forse è perché lo è), a chi spetti normare le questioni inerenti il suo corpo, la sua libertà e dignità di essere umano, e per estensione il suo ruolo nella società. Non solo una crociata che difende la “vita” di quei feti non desiderati, non amati, ma una crociata contro la donna, contro il suo libero arbitrio.

Pro Abortion or pro choice?, Leon Zemitsky, 2017

Fede nella santità della vita umana, cultura della vita. Non vi ricorda nulla? Parrà buffo, ma il nostro presidente del Consiglio Giorgia Meloni pronunciò qualche anno fa questo slogan antiabortista di fronte al pubblico di Vox, partito populista della destra spagnola.

Ma torniamo al nostro Tricky. Nel romanzo, un cittadino americano – lo stereotipo dell’americano medio tutto casa, reminiscenze di guerra e sermone della domenica –, rivolgendosi direttamente al Presidente solleva dei dubbi circa la legittimità di quella che potremmo definire “operazione-massacro” del tenente William Calley, avvenuta il 16 marzo del 1968 nel villaggio di My Lai, nel Vietnam del Sud, durante la quale vennero sterminati centinaia di civili innocenti, tra donne, bambini e anziani. Il cittadino, condividendo la “fede nella santità della vita umana” di Dixon, si chiede se il tenente Calley, nel corso dello sterminio, uccidendo un’eventuale donna incinta possa aver commesso un aborto. Dopo divagazioni e invettive nei confronti di «quelle ragazze che se la spassano e poi non si assumono la responsabilità delle proprie azioni – disadattate, fannullone, sgualdrine, le poche che rovinano la reputazione a tante», il presidente sentenzia che «nessuna muore di aborto se tanto per cominciare l’aborto non se l’è andato a cercare. Se tanto per cominciare non si è messa nella situazione di abortire».

William Calley

Cavalca dunque un sedimentato luogo comune, tanto attuale oggi quanto lo era negli anni Settanta: le donne che scelgono l’aborto sono delle sprovvedute, delle spiantate, delle irresponsabili inconcludenti il cui unico scopo nella vita è quello di copulare senza controllo alcuno. Non si fa mai cenno all’uomo, al suo ruolo attivo nella faccenda. Come se l’uomo fosse un mero spettatore. Come se la responsabilità di una potenziale vita ricadesse esclusivamente sulle spalle della donna. Questo slittamento della risposta di Dixon è una prova di questa tendenza.

Ma non ci soffermeremo in questa sede sul maschilismo insito persino nella percezione comune dell’interruzione volontaria di gravidanza.

Chenco, 2012

Spostandoci nel Bel Paese, il grottesco sedimenta nella vita reale e ironizzare diventa più difficile: in Italia più del 60% dei ginecologi è obiettore di coscienza. In Italia alcuni farmacisti si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo. In Italia centinaia di donne ogni anno sono costrette a spostarsi dalla propria regione per ottenere una Ivg. In Italia, quando fortuitamente una donna riesce ad abortire, subisce pressioni e violenze psicologiche inaudite durante gli infiniti incontri con medici e psicologi. Siamo il Paese in cui vengono regalati gadget con riproduzioni di feti rinchiusi in bustine di plastica durante i convegni sulla famiglia. E ancora in Italia, uno dei politici che più si batte per i diritti dei non-nati, Simone Pillon, uno degli organizzatori di spicco del Family Day, luminare secondo cui «bisogna sostenere la maternità, altrimenti nel 2050 ci estinguiamo come italiani», è Senatore – capo ultrà – della Repubblica. 

Magari ci estinguessimo!, dico io, se poi gli italiani che guidano il Paese sono alla stregua di Pi(r)llon.

«Estremisti, militanti o violenti fanatici non mi distoglieranno dal garantire giustizia ed eguaglianza per coloro che vivono nel grembo. E consentitemi di chiarire bene anche un’altra cosa: non sto parlando solo dei diritti dei feti. Sto parlando anche dei microscopici embrioni. Se in questo paese c’è un gruppo davvero svantaggiato, nel senso che è assolutamente privo di voce e rappresentanza nel nostro governo nazionale, non si tratta dei neri o dei portoricani o degli hippy o di chicchessia, tutta gente che ha i propri portavoce, ma di quelle creature infinitesimali laggiù nella placenta.»

Quando avviene, per un embrione, la conquista dell’identità umana? L’aborto è legittimo? Interrompe un processo biologico o una vita? Se l’aborto è considerato omicidio, in egual modo dovrebbe essere ritenuta la contraccezione.

I pareri degli studiosi e delle studiose differiscono. Secondo Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008: «Un embrione diventa un essere umano quando inizia a formarsi il sistema nervoso, cioè un po’ prima del terzo mese di gravidanza. […] un uovo fecondato non può essere ancora considerato un essere umano».

Luc Montagnier

A questo proposito interviene anche il Trick E. Dixon di Roth, nel corso di un colloquio con un elettore (tale Mr Affascinato), relativo alle modalità attraverso cui i non-nati avrebbero potuto votare:

«MR AFFASCINATO: Non stavo insinuando, signore, che solo perché gli embrioni non hanno un sistema nervoso centrale dovrebbe essere loro negato il diritto di voto… stavo di nuovo pensando alla stupefacente meccanica del procedimento. Ad esempio, come faranno gli embrioni a soppesare le questioni in gioco e a fare una scelta avveduta fra i candidati, se non sono in grado di leggere i quotidiani o guardare il telegiornale?

TRICKY: Ebbene, lei ha davvero toccato, mi pare, un punto che costituisce il più forte argomento a favore dell’estensione del suffragio ai non nati, nonché la spiegazione del perché sia un tale crimine che il diritto di voto sia stato loro negato per così tanto tempo. Ecco che finalmente avremo una grossa fetta di elettori semplicemente immuni alle versioni faziose e deformate della verità presentate all’opinione pubblica americana dai vari media».

Come sostiene Chiara Lalli, docente di Logica e di Filosofia della Scienza alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università La Sapienza, «il concetto di persona è un concetto morale. Ha a che fare con il mondo dei valori e non con il mondo della scienza. Nessuno strumento, per quanto potente, potrà rivelarci quando un organismo sia anche una persona o quando non lo sia più. Il significato di ‘persona’ è sempre una scelta di ordine morale».  

L’idea che l’embrione in quanto tale sia considerabile ‘persona, vita umana’ non trova riscontro oggettivo in biologia, ma si rifà a delle ideologie religiose, o morali, che di scientifico non hanno nulla e che esistono e sussistono per convenzione. 

Come sosteneva il filosofo John Harris, considerare potenzialmente ‘persona’ un embrione equivale a considerarci potenzialmente morti, dal momento che un giorno lo saremo fuor di dubbio. 

Insomma, considerare l’aborto un omicidio è una questione puramente etica (e, coff coff… religiosa!). 

Diritto alla vita o libero arbitrio. Alla fine, tutto si riduce a questo. Ma, come in La nostra gang, pare che oggi una vita potenziale valga più di una vita effettiva. «[…] di questi tempi si sente tanto parlare di Potere Nero e Potere Femminile, Potere questo e Potere quello. Ma chi parla di Potere Prenatale? Non hanno diritti anche loro, per quanto possano essere solo membrane? Io credo che li abbiano, e intendo battermi per essi.»

© Riproduzione riservata.

Valentina Savasta

Nata a Catania il 6 aprile 1994, si è diplomata nel 2012 presso il Liceo Linguistico G. Lombardo Radice, dove la ricordano ancora come la paladina delle cause perse. Dopo parecchi anni sabbatici di lavoro e autoanalisi, ha finalmente deciso di seguire la sua passione iscrivendosi al corso di laurea triennale in Lettere Moderne all’Università di Catania, dove si è laureata nel giugno 2021.

Leggi di più


Potrebbe interessarti: