16 Febbraio 2024

L’impeto delle stelle. Eppuru i stiddi fanu scrusciu di Pietro Russo

di Giada Di Pino

Eppuru i stiddu fanu scrusciu. Anche le stelle fanno rumore. Eppure, nonostante tutto, le stelle fanno rumore. Scrusciu. Simile allo scrosciare dei fiumi, dell’acqua impetuosa, irruenta, a tratti violenta. Scrusciu come la raccolta poetica di un’altra autrice catanese che conosciamo già bene, Erica Donzella. E le stelle di Pietro Russo, poeta catanese, autore di diverse sillogi e i cui versi sono apparsi anche nell’antologia delle Poesie dell’Italia contemporanea, edito dal Saggiatore a cura di Tommaso di Dio, sono così, sono acqua impetuosa e scrosciante, come i suoi versi. 

Eppuru i stiddi fanu scrusciu
Nuautri semu fatti p’a gioia
Ccu è ca n’astutau?1

© Lucia Pirrello

Il dialetto siciliano utilizzato nelle poesie dell’autore rievoca il suono stesso dello scrusciu, del rumore sommesso e continuo, dello scrosciare dell’acqua. Ma sono le stelle a scrosciare. Le stesse stelle che nel nostro immaginario appaiono lontane e silenziose, incastonate in un cielo altrettanto lontano, altrettanto silenzioso, al di fuori dei confini della quotidianità. Un cielo a cui siamo spesso indifferenti, come siamo spesso indifferenti alle sue luci. Eppure, le stelle fanno scrusciu. Sono lì, che brillano, lontane e irraggiungibili, estranee alla vita come i poeti, ma non stanno in silenzio. Hanno una voce, anche, e non hanno paura di farla sentire, sebbene sia spesso ignorata. Una voce che non si può zittire, ineluttabile, come lo scorrere dei fiumi. Ed ecco che in una sola metafora, nel solo verso che dà il titolo alla raccolta, cielo e terra si uniscono: le stelle non sono più lontane, perché il loro scrosciare è tutto terreno, come è tutta terrena la voce dei poeti, dei sognatori, dei solitari. E così è anche la poesia di Pietro Russo, che «parrava ca uci ro ventu / ricìa / Eppuru i stiddi fanu scrusciu / macari a menzionnu / a notti, amici, è na cosa longa»2. Una voce che si perde nelle strade grigie e nere come la pietra del vulcano della sua città, le strade di Catania, alle pendici dell’Etna, di cui è parte integrante:

Sta città ti mancia l’occhi
A picca a picca
Sta città si mancia u cori

Non c’è versu r’abbissari na cosa rutta
U cielu si rapeva ai sett’i sira
Intra na casa troppu nica

Sta città avi niuru ca mpica
Non c’è versu r’abbissari na cosa rutta

Sta città è na cosa tinta
Ju u vitti comu ti strazzava
U cori
A picca a picca
Ogni ghionnu tannicchia3

© Lucia Pirrello

Una città che divora, una città che strappa il cuore, in cui gli uomini, «limarra e discinnenza ri limarra»4, vivono «sott’a ciniri ro vulcanu»5; una città in cui «unn’u ventu sbrizzìa ciniri»6, ma dove «addumaru i stiddi nfunnu’a strada»7, dove le stelle brillano e fanno scrusciu e il poeta «sbarracava l’occhi tra stidda e stidda8. Creatura del cielo e della terra, quindi, il poeta, come i sognatori e come gli innamorati:

Chi vuleumu diri?
Erumu ri aria, aria i nostri stiddi
Aria i mani ntrizzati ch’i capiddi
Erumu cosi fini ri aria
Na finestra sempri raputa

Chissu l’amuri nostru
Na finestra raputa suttaventu
Sutt’a draunara9

© Lucia Pirrello

Creature leggere d’aria sono coloro che amano, come le stelle, come i poeti. Ma tra il cielo e la terra, tra l’amore e l’aria, nella raccolta poetica di Pietro Russo ci sono anche gli ultimi, i dimenticati, gli stranieri, coloro che, loro malgrado, hanno fatto «casa na sta lingua»10, che vengono da un luogo lontano come le stelle: le terre al di là del mare. Gli immigrati sono esclusi anche loro, come gli artisti, sono altre stelle che fanno scrusciu, che gridano: «taliati sti me vrazza / si pigghiunu tutt’u mari / non ci su chiova nte manu / u lignu è chiddu ra navi»11. Emarginati, disadattati, imprigionati nella tela che li ritrae in una cristologia tanto cara alla tradizione letteraria. Crocifissi nell’immaginario collettivo della civiltà di massa, abituata ad appiattire le diversità mentre le esalta, una società che li accomuna tutti nello stesso destino di delinquenza, povertà e ignoranza. Nella poesia di Pietro Russo diventano coloro che hanno inseguito la speranza, che hanno «taliatu u scuru nta facci / quann’u mari è senza cunottu»12, che hanno attraversato le onde come i Re Magi hanno attraversato il deserto. Tuttavia, se quest’ultimi hanno trovato il Redentore, la speranza per l’umanità tutta, e la stella è rimasta a brillare per loro, chi attraversa il Mediterraneo per arrivare in Sicilia trova altra miseria, altro dolore:

Ascutammu a dda stidda
Arreri ni lassamu mugghieri, figghi nichi, amici, futuru
Comu ni vistimu dda casa sdirrupata
Ci fu ccu rissi ca pi fozza
Avìumu sbagghiatu strata

Eppuru dda stidda ca parrava forti
Cu na luci antica
Luci ro tempu apprima ro tempu

Eppuru dda stidda n’avìa puttatu ddà
Attravissannu disertu e mari, nzonni squietosi, città lordi ri munnizza
Ghionna r’acqua ri cielu

Ddà
Nfacci a ddu catoju sfunnatu
Comu su avissi aspittatu a nuautri
P’astutarisi
13

© Lucia Pirrello

Non c’è speranza per chi attraversa il mare. Non c’è speranza che la stella continui a brillare. Non c’è Dio per questa umanità perduta, in cui le stelle, persino le stelle, che illuminano il cielo notturno, vengono ignorate. Eppuru fanu scrusciu. A guardarla da lontano, questa raccolta poetica di Pietro Russo sembra il quadro di un pittore naturalista: la città di Catania, incastonata alle pendici dell’Etna, circondata dal mare punteggiato di barche, grigia di cenere e spazzatura, su cui splende un cielo disseminato di stelle rumorose come i suoi abitanti. Eppuru i stiddi fanu scrusciu.


1 . Siamo fatti per la gioia / Chi è che ci ha spento? / Eppure le stelle fanno baccano.
2. … e io parlavo con la voce del vento / dicevo / Eppure le stelle fanno baccano / anche a mezzogiorno /la notte, amici, è una faccenda lunga.
3. Questa città divora gli occhi / a poco a poco / questa città divora il cuore // non c’è modo di riparare qualcosa di rotto / il cielo si apriva alle sette di sera / dentro una casa troppo piccola // questa città ha nero che si appiccica / non c’è modo di riparare qualcosa di rotto // questa città è cattiva / io l’ho visto come ti stracciava / il cuore / a poco a poco / ogni giorno un poco.
4. fango e discendenza di fango…
5. Sotto la cenere del vulcano…
6. Dove il vento sparge la cenere…
7. Hanno acceso le stelle in fondo alla strada…
8. Spalancava gli occhi tra stella e stella…
9. Cosa volevamo dire? / eravamo di aria, aria le nostre stelle / aria le mani intrecciate con i capelli / eravamo creature leggere di aria / una finestra sempre aperta // questo il nostro amore / una finestra aperta sottovento / sotto la tempesta.
10. Casa in questa lingua…
11. Guardate queste mie braccia / si prendono tutto il mare / non ci sono chiodi nelle mani / il legno è quello della nave…
12.  guardato il buio in faccia / quando il mare è senza conforto…
13. Questa città divora gli occhi / a poco a poco / questa città divora il cuore // non c’è modo di riparare qualcosa di rotto / il cielo si apriva alle sette di sera / dentro una casa troppo piccola // questa città ha nero che si appiccica / non c’è modo di riparare qualcosa di rotto // questa città è cattiva / io l’ho visto come ti stracciava / il cuore / a poco a poco / ogni giorno un poco

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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