12 Gennaio 2022

Le solitarie strade di Macondo. “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez

di Giada Di Pino

Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Salvatore Quasimodo

Solitudine. Questa la parola chiave, il concetto principale e più importante di questo romanzo di Marquez, forse il più famoso dell’autore. Una solitudine che si consuma nell’arco di cento anni, nell’arco di una storia che abbraccia cinque generazioni. Una solitudine che serpeggia, che soffoca anzi, la folla di personaggi che riempiono le pagine di questo romanzo, che popolano la casa dei Buendia e le strade di Macondo.

Fonte: CoomingSoon

Tutto nasce con l’edificazione, infatti, proprio di questa cittadina, ad opera del capostipite dei Buendia, il monumentale Josè Arcadio, e la sua giovane moglie, l’integerrima, astuta, sottile e incredibile Ursula, che si erano inoltrati nei territori più inospitali del sud America in cerca di fortuna, insieme a un gruppo sparuto di concittadini. Nacque così la piccola e selvaggia Macondo, sulle rive di un fiume che forse non esiste, in una radura che forse non è mai esistita neanche per coloro che hanno vissuto dell’inchiostro di Marquez, reale forse solo per gli zingari che ogni anno si fermavano nel piccolo villaggio portando le meraviglie dell’innovazione scientifica e, con essa, la magia

Cent’anni di solitudine: la vecchiaia di Josè Arcadio Buendia”, di Gianni Pontiroli; fonte: PitturiAmo

Una magia che è radicata nella cultura sudamericana e che ritroviamo spesso nelle saghe familiari, che ne costituisce spesso l’elemento fondamentale (pensiamo anche a La casa degli spiriti di Allende, ad esempio). Una magia che, tuttavia, è meno fantastica di quanto ci si possa aspettare, che si nutre di percezioni, di chiaroveggenza, di profezie che si autoavverano, degli spiriti dei morti che si aggirano tra i vivi e che con essi dialogano, svelando i misteri non della morte, ma della vita. Una magia di cui il buon Melquiades, lo zingaro dagli innumerevoli anni morto innumerevoli volte, è l’emblema che inizia e che chiude il romanzo, mentre si dipanano le storie personali e collettive dei membri della famiglia Buendia, degli innumerevoli Josè Arcadio e Aureliano che si susseguono tra le pagine e di cui si rischia sempre più di perdere il conto. 

La famiglia Buendia; fonte: EdizioniSur

Storie di passioni, di amori, di lotte e di ideali, di follie e di ribellioni, di donne che volano e di uomini che muoiono, di vendette e di disperazioni, ma soprattutto, storie di solitudini

Gabriel Garcia Marquez; fonte: EdizioniSur

Per quanto, infatti, la famiglia dei Buendia cresca numerosa e prosperi nella ricchezza e nell’agio, insieme alla stessa Macondo, che al destino della famiglia è legata a doppio filo, e per quanto la casa sia affollata di personaggi sempre più bizzarri e sempre più caratterialmente tarati, ogni Buendia porta su di sé il peso di una insopportabile e indicibile solitudine, che li caratterizza in modo diverso e al tempo stesso tutti li accomuna: dal colonnello Aureliano, che, sconfitto nei suoi ideali, ritorna in vecchiaia nell’isolamento della fabbricazione dei pesciolini d’oro che aveva caratterizzato la sua infanzia, alla vendicativa e superba Amaranta, che, novella heautontimorumenos, punisce se stessa fino alla fine dei suoi giorni senza mai rivelare il suo terribile crimine; da Rebeca, che fa della propria solitudine la sua roccaforte, vivendo a dispetto di tutti coloro che hanno dimenticato la sua esistenza, a Josè Arcadio Secondo, che ha assistito a un massacro a cui nessuno crede; per finire all’ultimo Buendia, l’ultimo Aureliano, Aureliano Babilonia, che sulle sue spalle porta inconsapevolmente il peso della fine di un casato, come il suo secondo nome profetizza. 

fonte: JustNerd

Ogni personaggio che si muove all’interno dell’incredibile casa dei Buendia vive un’esistenza ripiegata su se stessa, un’esistenza a cui è preclusa ogni possibilità di sentirsi parte di qualcosa, di sentirsi parte del mondo, di sentirsi perfino parte della sua famiglia

Large flowering sensitive plant, Robert John Thorton; fonte: ilChaos

E tutte queste solitudini particolari, tuttavia, hanno un comune denominatore: l’incomprensione. Anche nei legami più stretti, anche nelle peggiori furie della passione e dell’amore, l’uno rimane all’altro un piccolo universo impenetrabile, uno scrigno di carne la cui mente e il cui cuore resteranno per sempre sconosciuti; e mentre la famiglia Buendia, quella famiglia che ha osato disboscare la foresta per far posto alla cittadina di Macondo, dopo aver raggiunto insieme a essa l’apice del successo e della prosperità, decade lentamente e inesorabilmente, precipitando nel baratro della miseria e della disgrazia, la natura si riprende il suo spazio, la casa diventa viva, diventa parte integrante della foresta stessa, che approfitta della debolezza degli uomini per tornare a manifestare tutta la sua forza, la sua potenza, la sua realtà, rendendo ogni lotta vana e inutile. Perché l’uomo è come un soffio, passa su questa terra e non lascia traccia, ma la natura resta, e lo vince con il tempo, l’unica dimensione che all’uomo resta preclusa.

Scorcio di Macondo, Graham Brown; fonte Iriscroll

Cos’è dunque Cent’anni di solitudine? Una metafora. Una metafora difficile da spiegare, una di quelle da cui, come in un gioco di scatole cinesi, ne saltano sempre fuori altre, di metafore, di significati, di chiavi di lettura. Una metafora, principalmente, della fragilità dell’uomo, della fragilità dell’uomo moderno. 

Il sogno, Henri Rousseau; fonte: EdizioniSur

Quella che Marquez rappresenta è, infatti, la nostra umanità, un’umanità in cui ognuno è chiuso in se stesso, in cui l’altro è un ostacolo alla propria vita, in cui è impossibile vivere in armonia; un’umanità che ha perso la sua socialità, perché, ingabbiati ciascuno nelle nostre solitudini, siamo incapaci di entrare nell’altro, di vedere al di là del suo involucro di carne e vedere il mondo dalla sua prospettiva; un’umanità, la nostra, che, nonostante ne parli tanto, ha perso l’empatia verso ciò che lo circonda, e dove ciascuno di noi, preoccupato solo dell’angolo di muro che lo circonda, non si accorge di stare correndo verso la morte, che il mondo come lo conosciamo, come la casa magica dei Buendia, sta andando incontro alla distruzione

Dove, trafitti dai nostri raggi di sole, corriamo verso la sera.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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