14 Settembre 2022

Interrogare il cristianesimo per interrogare sé stessi. “Il Regno” di Emmanuel Carrère

di Adele Licciardi

A cosa realmente crede chi crede?

Questa è una delle domande che Carrère pone a sé stesso e agli altri all’interno de Il Regno. Un libro a metà tra una biografia e un’autobiografia in cui, mentre vengono descritti gli accadimenti del I secolo d.C. con al centro Paolo e Luca, Carrère si racconta. La sua scrittura vuole essere un’indagine storica sul primo cristianesimo, quando ancora la portata di quello che sarebbe poi diventato il movimento religioso più diffuso al mondo non era chiara.  Allo stesso tempo, lo scrittore esamina la sua vita, interroga il suo passato, perché, come ricorda egli stesso nell’incipit, dal 1990 al 1993 fu cristiano. Il Regno diventa così un testo attraverso cui l’autore indaga quel breve passato da credente, e allo stesso tempo cerca di raccontare in modo lucido e oggettivo i fatti accaduti dopo la morte di Gesù.

La prima parte di questo testo è squisitamente autobiografica. Carrère racconta il suo periodo da credente, la sua fede in Dio e la sensazione di aver trovato finalmente uno scopo. 

Perché si crede? 

È questa una delle domande centrali poste dall’autore, che spiega la fede come una ritrovata leggerezza. Quando si crede in Dio, infatti, non si è più soli e nelle difficoltà, in quelle che egli descrive come “sabbie mobili”, si ha la certezza di avere una mano da stringere per poterne uscire, un gancio che permetta di toccare nuovamente la terra salda, dura, vera. 

Perché si crede? 

Perché è confortante sapere di non dover sopportare il fardello della vita da soli. Ma avere fede è anche complicato, perché rimanere devoti allo slancio iniziale non è semplice, come accade nell’episodio autobiografico descritto dallo stesso autore in cui, assunta una babysitter per fiducia e bontà, questa si rivela del tutto inaffidabile nel gestire dei bambini. Cosa fare, dunque? Licenziarla o tenere fede a quello slancio di fiducia iniziale?

Carrère, però, lascia intuire che il periodo da credente coincide con la sua crisi di uomo e scrittore. Avvicinarsi a Dio diventa un modo per risolvere i suoi problemi personali. Il paragone con la psicoanalisi, infatti, non viene nascosto: «Farò la comunione tutti giorni, allo stesso modo in cui vado dall’analista due volte alla settimana».

Non mancano nemmeno gli accostamenti della fede alla scienza. La fede è una certezza non verificabile, ma dove sta la verità se ciò che abbiamo davanti non si può provare?

Quando Carrère supera la crisi dello scrittore comincia nuovamente ad allontanarsi da Dio. Sembra quasi che la sua parte razionale, quella che non può accettare dei dogmi senza interrogarli fino a grattare via qualsiasi incrostazione, abbia la meglio. Da questa esperienza capisce che scrivere un libro sul cristianesimo è un modo per cercare di capire meglio cosa porta l’uomo a quella che lui chiama “follia”, come la fiducia cieca sulla resurrezione di Gesù, i miracoli, la fine del mondo:

«No, non credo che Gesù sia risorto. Non credo che un uomo sia tornato dal mondo dei morti. Ma il fatto che lo si possa credere, e che io stesso l’abbia creduto, mi intriga, mi affascina, mi turba, mi sconvolge». 

Tuttavia, il suo non vuole essere il punto di vista migliore o l’unica verità, perché lo stesso Carrère rimarrà comunque affascinato dalla Chiesa primigenia, da Gesù uomo e dai suoi messaggi così diversi dal pensiero dell’epoca: 

«Scrivo questo libro per non pensare, ora che non ci credo più, di saperne più di quelli che ci credono e di me stesso quando ci credevo. Scrivo questo libro per cercare di non essere troppo d’accordo con me stesso».

La seconda parte del romanzo racconta i viaggi di Paolo nei territori romani per convertire i popoli. Ma il protagonista qui, più che Paolo, sarà Luca, medico greco che lo accompagnerà e metterà per iscritto tutto ciò che vedrà con i proprio occhi, che sentirà con le proprie orecchie o che immaginerà con la propria mente. Un Luca che sembra essere alter ego di Carrère, soprattutto quando, invece dei fatti celesti e della dottrina, preferisce raccontare i fatti quotidiani, la vita concreta e reale, quella che Ulisse aveva scelto rifiutando l’invito di Calipso alla vita eterna.

L’indagine sul cristianesimo continua tra descrizioni storiche, opinioni personali e continui rimandi non solo alla propria vita ma anche ad altri autori, caratteristica che rende l’intreccio pieno di spunti, ma anche frammentato. 

Sulla stessa linea del Caino di Saramago e della sua potenza demistificatoria, ciò che fa Carrère è invitarci a non fermarci alle apparenze, a scavare e a interrogare continuamente ciò che vi sta dietro. E il nocciolo della questione, la domanda delle domande che dà il nome al romanzo, è: cos’è il Regno? 

Lo scrittore prova a circoscriverlo, ma non è semplice. Lo stesso Gesù nei suoi discorsi ne dà un’idea vaga, affermando che il Regno appartiene a chi è povero, solo, umiliato, e non a chi è ricco, virtuoso, intelligente. Bisogna essere la parte dimenticata della società per poter entrare nel Regno di Dio. Per quanto si sforzi, Carrère non riesce a capirlo fino in fondo, tuttavia lo coglie tra le pieghe della vita che accade. E forse, alla fine, intuisce che il Regno è lì dove siamo tutti più deboli, lì dove siamo umani e meno soli; il Regno, infine, è quando «mettiamo a nudo la nostra povertà, la nostra debolezza e la nostra angoscia, che sono uguali alle loro – sono uguali in tutti, sapete – e allora si comincia a diventare più umani».

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Adele Licciardi

Nata a Ragusa il 26 maggio 1991, ha frequentato il liceo classico Secusio Bonaventura di Caltagirone. Dopo il diploma continua gli studi umanistici iscrivendosi alla triennale in Lettere moderne presso l’università di Catania e conclude il suo percorso universitario con la laurea magistrale in Filologia moderna nel 2022.

Leggi di più


Potrebbe interessarti: