31 Ottobre 2022

Giocare o vivere? “Avere tutto” di Marco Missiroli

di Adele Licciardi

Avere tutto, il nuovo libro di Marco Missiroli, incuriosisce il lettore sin dal titolo, spingendolo a chiedersi cosa racconterà questa volta l’autore, già famoso per altri romanzi introspettivi come Fedeltà e Atti osceni in luoghi privati, in cui, senza remore, narra di vicende incastrate in schemi familiari ben definiti. 

Anche in questo nuovo romanzo Missiroli non sfugge alla tentazione di mostrare l’animo umano attraverso le maglie delle relazioni quotidiane: i genitori e gli amici. 

Mentre la storia di Nando Pagliarani e del figlio Sandro impregna ogni pagina, sullo sfondo compaiono gli amici d’infanzia e la madre, quest’ultima presentata al lettore attraverso una sequenza di ricordi tersi. Infine Rimini, con le sue spiagge, la sua estate implosiva, il suo inverno silenzioso. È proprio a Rimini, infatti, che si svolge la vicenda, un luogo descritto con una tale familiarità da non lasciare dubbi sul fatto che sia anche la città dell’autore. 

Nando, perito elettronico, operaio, ferroviere, barista, ma soprattutto ballerino, insieme alla moglie Caterina.

E Sandro, che da Milano ritorna brevemente a Rimini dopo la morte della madre, dove riscopre il padre, Nando. Lo chiamerà sempre per nome, all’interno di una nuova routine fatta di momenti semplici, in cui le mani del vecchio si sporcano di terra, nell’orto, o di ingredienti tradizionali, in cucina, e dove le sfide di ballo continuano a inebriarlo quasi come una droga, come un sottile filo che lo tiene ancora legato alla moglie defunta. 

Perché Nando, dal passo leggero ma dal cuore pesante, attraverso il ballo prova a rendere lieve il suo ultimo tempo.

Tuttavia, quella del ballo non è l’unica dipendenza raccontata in questo romanzo. Sin da subito e in modo progressivo, vengono lasciati indizi su una assuefazione ben più drammatica: quella di Sandro per il gioco d’azzardo

Iniziato alle scommesse sulle corse dei cavalli da Bruni, figlio di un ex collega di Nando, un po’ per gioco, un po’ perché per pochi spiccioli cos’hai da perdere, Sandro continuerà con le carte e il gioco d’azzardo a Milano, ma la sua sarà una continua giostra di vincite e perdite, con i soldi sottratti di nascosto dal conto dei genitori prima, da quello in comune con la sua ragazza dopo, per un lunapark che non riesce mai a spegnere le sue luci.

Sandro inizierà a giocare tutto, e rischierà di perdere tutto

Le carte diventano così metafora della vita stessa, in cui giocarle bene e anticipare le mosse altrui non ti salva dagli imprevisti sparsi lungo la via. Tuttavia, Missiroli ci fa anche intuire che il gioco d’azzardo può diventare un rifugio in cui scappare quando il senso delle cose sfugge, un limbo in cui è facile cadere per il desiderio di assaporare l’adrenalina, sentirsi vivi. Un luogo effimero e reale in cui concentrare più vita possibile nel minor tempo a disposizione. E, proprio per questo motivo, uscirne diventa difficile.

La descrizione della dipendenza dal gioco, raccontata come un lungo flashback, si intermezza al tempo presente, quello in cui vediamo Sandro occuparsi del padre. Impariamo così a conoscere due lati diversi dello stesso personaggio: c’è il Sandro che ci viene raccontato soltanto tramite il silenzio dei tavoli da gioco, e c’è il Sandro che si riscopre nel ritrovato rapporto con il padre. Un rapporto fatto di momenti e dialoghi brevi ma estremamente densi di non detto. 

La penna di Missiroli ci regala una prosa frammentata e secca che, in alcuni momenti, sembra attingere alla brevità giapponese degli haiku e che oscilla continuamente tra il passato riassaporato attraverso i ricordi e il presente che viene vissuto nella sua immediata intensità. 

Momenti densi di vita, appunto, come denso di vita appare anche il tempo trascorso attorno ai tavoli da gioco, con la differenza che gli attimi vissuti davvero ci rendono fragili ma, proprio per questo, umani, mentre quelli vissuti a contare le carte, pur condensando quella stessa vita, la corrompono.

Avere tutto, già con il suo titolo emblematico, sembra porre il lettore davanti a due interrogativi. 

Il primo è una domanda che gli stessi personaggi si pongono più volte all’interno del romanzo: «Dove vorresti essere con un milione di euro in più e cinquant’anni in meno?». 

Il secondo interrogativo, invece, è meno esplicito ma continua a fare capolino tra le pagine: «La felicità è avere tutto o godere di quello che si ha già?». 

A ogni lettore la sua risposta.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Adele Licciardi

Nata a Ragusa il 26 maggio 1991, ha frequentato il liceo classico Secusio Bonaventura di Caltagirone. Dopo il diploma continua gli studi umanistici iscrivendosi alla triennale in Lettere moderne presso l’università di Catania e conclude il suo percorso universitario con la laurea magistrale in Filologia moderna nel 2022.

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