14 Giugno 2023

Il gene della morte. “Anatomia di un suicidio” di Alice Birch

di Emanuela Chines

Quando muore un lupo il branco può disgregarsi.

Cosa accadrebbe se il gene del mal di vivere potesse essere trasmesso di madre in figlia? La risposta di Alice Birch, drammaturga e sceneggiatrice inglese nata a Malvern nel 1986, è il dramma Anatomia di un suicidio.

Pubblicato dal Saggiatore in questo turbolento 2023 e rappresentato al Piccolo Teatro Grassi tra il 23 febbraio e il 19 marzo dello stesso anno, Anatomia di un suicidio mette in scena le storie di tre donne legate da un rapporto di parentela e dalla tendenza all’annichilimento definitivo. La Birch decide di sezionare col bisturi affilato della scrittura momenti pregnanti delle vite di Carol (la madre), Anna (la figlia) e Bonnie (la nipote). Tre generazioni presentate contemporaneamente sul palcoscenico, una famiglia la cui linea femminile sembra condannata a infelicità e insoddisfazione.

Alice Birch

Le tre donne, infatti, sono intrappolate nelle gabbie sociali che definiscono la femminilità secondo una visione patriarcale e maschilista. Una donna, per essere realizzata/accettata, deve essere moglie e madre, i suoi compiti sono fare la massaia e crescere i figli. Questo è ciò che sa Carol, tabagista incallita e donna distaccata e incupita da un matrimonio infelice. A lei, infatti, sta stretto il ruolo di angelo del focolare, vorrebbe solo andarsene dalla sua «casa che va a fuoco», dalle persone saccenti che la trattano come una stupida. Tuttavia, Carol cresce ugualmente – e con sforzo quasi eroico – sua figlia Anna prima di suicidarsi: un suicidio che avviene fuori scena, come le uccisioni nelle tragedie greche.

Locandina della rappresentazione teatrale al Piccolo di Milano.

A differenza di sua madre, Anna assume il ruolo dell’inetto novecentesco: cerca di annichilirsi e uccidersi in ogni modo pur di non pensare al suo trauma. Le cose peggiorano con il matrimonio e la maternità, eventi che acuiscono il vuoto dentro di lei e la indirizzano verso il plateale suicidio in vasca. Viene in mente Marat, ma quella è un’altra storia.

Osservando l’ultima discendente di Carol, Bonnie, si può vedere come lei sia destinata a spezzare la “maledizione” della linea femminile di famiglia.

In primo luogo, invece di fare la casalinga come le sue antenate, svolge la professione medica. In secondo luogo, Bonnie si frequenta con altre donne, non riconoscendosi eterosessuale e andando contro la “norma” (NdA: detesto questo termine, ma non ne trovo uno appropriato). Infine, nelle ultime scene dell’opera, la donna si sterilizza per non diventare madre: «il filo si interrompe», impedendo al gene dell’infelicità di perpetuarsi.

Concentrandoci, invece, sulla struttura del dramma, si notano quattordici scenari, descritti con nomi o verbi comuni come «OSPEDALE» o «CUCINANDO» (maiuscolo nel testo), che si incrociano con tre linee temporali (A, B e C). Queste ultime corrispondono agli archi vitali di Carol, Anna e Bonnie. Ogni scena mostra frammenti delle esistenze delle protagoniste, organizzati sia come una catena, sia come una partitura d’orchestra. In ogni frammento, infatti, ci sono elementi che riecheggiano in tutte le linee temporali, come il canto dei cetacei nei vasti oceani.

Non a caso l’acqua è l’elemento più diffuso nel testo. Da sempre legata alla femminilità, alla purificazione e agli strati più profondi della personalità, infatti, essa si manifesta in tutta la sua ambiguità, soprattutto nella scena 11 B. Qui Anna, insonne e diventata madre da poco, descrive il suo incubo a un’infermiera: una vasca enorme e piena di vapore dove la protagonista fa nascere un maschio. Il bambino, però, si disgrega a contatto con la madre e con il fondo della vasca, che diventa un abisso. Qui ci sono cose disgustose e pericolose (vetro, feci, scarafaggi), e accanto c’è sua figlia: «è buio e bagnato ma è qui che la vita comincia e finisce», dice la stessa Bonnie.

Una scena dello spettacolo.

Altro elemento fondamentale e ambiguo è la casa di famiglia, luogo che ha la doppia valenza di ameno paradiso di campagna e abisso infernale pieno di dolore e morte. Ricordi e fantasmi del passato infestano ogni foglia, ogni mattone di questo posto, celati agli occhi di tutti, tranne che delle protagoniste.

Soprattutto per Bonnie, «il fatto di aver scelto di Stare qui [nella casa] è In Realtà una cosa veramente Personale e Difficile e Complicata e non qualcosa che [ha] ampiamente affrontato e superato».

I traumi sono sempre qualcosa di atroce, vere e proprie Erinni che pesano sul nostro cuore e tormentano i nostri sonni. Affrontare questi mostri feroci, però, è quello che cerca di fare Bonnie, finché non decide di negare al mal di vivere la possibilità di propagarsi.

Bonnie è una sorta di antieroina che agisce per salvare se stessa e le probabili vite che avrebbe potuto generare dalla sofferenza.

Una scena dello spettacolo.

Dopo aver letto questa pièce, chi scrive non ha fatto a meno di pensare ai molteplici significati del termine abisso. Profondità marina o burrone, inconciliabile distanza tra due persone o inferno: l’abisso è sempre lì, a ricambiare nietzschianamente il nostro sguardo ogni volta che lo fissiamo. Spesso è proprio il teatro, infatti, a metterci in contatto con l’abisso del nostro essere, considerato il fatto che questa forma d’arte esiste fin dalla notte dei tempi.

Una scena dello spettacolo.

Dalla prima rappresentazione rituale ai drammi contemporanei, il teatro ha sempre fatto vibrare le corde più profonde dell’essere umano, soprattutto quando si tratta di testi scritti e messi in scena dai grandi artisti. E la Birch ha dimostrato ampiamente di far parte di questa categoria con Anatomia di un suicidi. Vi consiglio di leggerlo, dato che non sono previste altre messe in scena. Per ora, come fareste per le opere shakespeariane, potete usare il vostro ingegno e la vostra immaginazione per vedere lo spettacolo.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Emanuela Chines

Palermitana classe 1991, si diploma al liceo classico Giovanni Meli della propria città. Si laurea in DAMS all’Università degli Studi di Palermo, specializzandosi in spettacolo.

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