Occhionero aveva capito che la verità è meno interessante di quello che vorremmo, e che fuggire dalla realtà è l’unico modo per rendere accettabile una storia. L’immaginazione rende più tollerabile la vita, chi vuol sapere cosa c’è dietro resta sempre deluso.
Che cosa distingue una storia da una buona storia? Che cosa vale la pena di essere raccontato e perché?
Il genere western, che fa subito pensare ad ambigui eroi solitari e rossi tramonti fra dune di terra bruciata, ha sfornato miti e leggende dalle atmosfere epiche ed evocative che affascinano da oltre un secolo numerosi lettori e spettatori. Da Sergio Leone all’incredibile versatilità di Larry McMurtry, da John Ford ai libri di Cormac McCarthy, tanti hanno sfruttato gli espedienti di questo genere. E Daniele Pasquini, scrittore e addetto stampa toscano, li conosce molto bene e li utilizza per mescolarli sapientemente all’interno del suo ultimo romanzo, Selvaggio Ovest, edito da NN editore. La tipica ambientazione della frontiera americana si sposta però in un territorio altro: la Maremma toscana, e i protagonisti della sua storia non sono cowboy americani, bensì i butteri e la gente che con loro abita queste terre.
La storia inizia a prendere forma alla fine dell’‘800, epoca in cui l’eroico Buffalo Bill inizia a portare in giro per il mondo il suo Wild West Show, uno spettacolo nel quale sono inscenate le lotte tra pistoleri e capi indiani, e che è volto alla ricerca di gloria postuma e incassi sempre più ingenti. Il vero tempo dei cowboy è finito e non ne restano che le sue rappresentazioni. Mosso dal desiderio di portare la sua fama in capo al mondo, Buffalo Bill decide di estendere il suo tour fino a Roma, esibendosi persino davanti al Papa, per poi risalire il Paese da poco unificato e giungere a Firenze. Ed è proprio in Toscana che conosciamo i veri protagonisti di questa storia, gli abitanti della Maremma, una terra in cui «nel mezzo non c’era niente, solo miseria e acqua putrida […]. La gente a fine primavera scappava via, perché morivano come nespole cadute e destinate a marcire al suolo […]. Restavano in pochi in Maremma, solo chi non poteva partire». E sono proprio le vicende di coloro che non vanno via e restano in queste terre desolate che ci faranno angosciare e fremere. Osserviamo dipanarsi parallelamente le storie di personaggi molto diversi fra loro ma i cui destini si intrecceranno: storie di butteri dalle mani e cuori induriti dal lavoro incessante, di banditi che rifuggono la legge per inseguire la loro personale giustizia, di carabinieri che danno loro la caccia per toccare con mano un attimo di gloria: storie di sangue e di vendetta. E alla fine i destini di queste povere anime si incroceranno con quello del celebre Buffalo Bill. A cosa porterà l’incontro di due mondi così lontani eppure così terribilmente simili?
Il Wild West Show, espediente narrativo qui utilizzato da Pasquini, fu veramente, alla fine del XIX secolo, lo spettacolo che accese nella mente degli europei e di tutto il resto del mondo la fascinazione per le storie di pistoleri e di indiani, e contribuì significativamente alla successiva nascita del genere Western; il romanzo, tuttavia, mescola in maniera da non poterli più discernere l’uno dall’altro fatti realmente accaduti e immaginazione, suggestioni letterarie e articoli di giornale, realtà e trasfigurazione della stessa. Anche i paesaggi delineati con tanta apparente precisione, i campi desolanti e acquitrinosi della Maremma, seguono in parte una mappa realistica del territorio e in parte meno, adattandosi alle necessità della finzione letteraria.
La struttura del libro è quella del romanzo corale: seguiamo dunque le storie di svariati personaggi, intervallate talvolta dalla trascrizione di lettere, alcune scritte di pugno da Buffalo Bill e altre che provengono dalla penna di nomi più e meno noti (fra cui persino lo scrittore Mark Twain). I protagonisti, resi in maniera vivida sulla carta, non ci vengono mai presentati attraverso descrizione prolisse aderendo in pieno alla tecnica dello show, don’t tell: il narratore non ha bisogno di presentarceli con la sua voce, poiché essi si presentano da sé. Per mezzo delle loro azioni, delle loro parole e dei silenzi, osserviamo il coraggio, l’orgoglio o le insicurezze che li contraddistinguono; così impariamo a conoscere l’ambiguità morale di Occhionero, che tenta di difendere i più deboli ma uccide chiunque gli si metta contro, la crudeltà del suo compagno Rogo, che usa il fuoco per spazzare via i suoi problemi, il desiderio di Donato di scoprire orizzonti che vanno oltre quelli della Maremma, la forza straordinaria di Gilda, che riesce a sfuggire da un padre che la svende ai banditi per placare la miseria e la fame.
Ma cos’è che rende questi personaggi che incrociamo brevemente così interessanti e vicini a noi? In fondo, «I butteri e la gente di Maremma non avevano grandi cose di cui parlare. Le storie che si raccontavano erano sempre le stesse». Eppure, Pasquini di cose da raccontare su di loro ne ha parecchie.
Di certo però, quello che accade nella realtà non è mai sufficientemente straordinario, bisogna sapere come narrarlo: trovare parallelismi e simboli là dove la verità grezza non ne offre, far risaltare l’epicità dei fatti laddove si vede un barlume di eroismo, trascurando tutto ciò che è trascurabile.
Una delle idee predominanti del romanzo è infatti quella della “storia”; una storia che diviene quasi leggenda, che trasfigura i fatti reali, poiché l’uomo ha da sempre la tendenza a ricamare sui fatti accaduti, rendendoli man mano più elaborati e fantasiosi. Molti dei personaggi raccontano storie o sono protagonisti di storie altrui. Ad esempio, nelle prime pagine del libro la figura di Giuseppe viene introdotta attraverso il racconto, di tenore quasi mitico, di come abbia preso un falco al laccio al primo colpo; il motivo per il quale Occhionero abbia perso un occhio stuzzica la fantasia di tutti, e ognuno propone la sua rocambolesca versione dei fatti; Buffalo Bill narra del suo viaggio impossibile come corriere del Pony Express, e ogni volta le miglia percorse aumentano sempre di più, benché l’impresa sia già sorprendente di per sé. Il Wild West show, su tutti, mira a mostrare «la verità riprodotta e magnificata della storia di questo mondo»; per attirare il pubblico la verità dev’essere parzialmente nascosta, e la penosa condizione degli Indiani, prigionieri del governo statunitense, non può essere resa manifesta.
E questo gioco di storie che si intrecciano e trasfigurano la realtà all’interno del libro è proprio quello che in qualche modo conduce lo stesso autore, che a partire da fatti reali ci restituisce una versione magnificata dei fatti e manipolata dalla fantasia. Tuttavia, la commistione fra reale e immaginario è perfettamente organica, tanto che non sapremmo mai dire dove finisce il vero e comincia il fantastico. «La verità non serve a niente quando sai truccartela.» Eppure, attraverso mondi di fantasia e vicende immaginarie, ciò che si percepisce è la ricerca di qualcosa che sia profondamente vero. E mentre Buffalo Bill, solitamente dipinto come eroe impavido, diviene l’ombra di se stesso, inseguendo a ogni costo una gloria autocelebrativa e i soldi dei suoi spettatori, la realtà bruta della Maremma rappresenta un diverso tipo di eroismo, che passa inosservato e che non cerca il consenso altrui. Sembra che Pasquini interroghi il suo lettore sulla differenza fra il vero e l’autentico. L’importante però, alla fine, è forse cercare di restituire, in un modo o nell’altro, un’idea della vera essenza delle cose, formulando riflessioni universalmente significative: sulla giustizia, sull’onore, sull’avidità umana e su cosa sia veramente l’identità di un uomo.
«Quando racconti una cosa a qualcuno non sai mai cosa capisce. E poi non sai quel che racconterà agli altri, e tante volte la storia che si racconta finisce per diventare un’altra storia […] Tanto vale che te la conservi», dirà uno dei personaggi. E invece bisogna continuare a raccontare, perché sebbene il tempo e le voci differenti rimescolino i fatti, il senso profondo, i sogni e gli ideali a cui ognuno di noi aspira, talvolta si ritrovano anche in una storia inventata, in una mezza verità. Lo scrittore è colui che più di ogni altro può compiere in maniera efficace questa operazione, trasfigurando la realtà, sì, ma con criterio e giudizio e con scopi ben precisi.
«La verità non serve a niente quando sai truccartela», si diceva citando una battuta del libro, e tuttavia io ho tentato di essere più vera possibile nel presentarvi le atmosfere e gli elementi che insieme danno forma a questo splendido romanzo; a trascinarvi in un mondo tra realtà e finzione, fra le colline e gli altopiani della Maremma, fra la polvere innalzata dal trotto dei cavalli, ci penserà Daniele Pasquini con la sua storia.
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Il nostro giudizio
Nata a Milano il 14 giugno 1998. Dopo aver frequentato il liceo linguistico Alessandro Manzoni, si laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Statale di Milano. Nel 2022 ha conseguito un master in editoria presso la Villaggio Maori Edizioni. Attualmente collabora con San Paolo Edizioni alla redazione di testi per la rivista PagineAperte.
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