3 Settembre 2022

Il colore (non) conta: “Il diritto di contare” di Theodore Melfi

di Miriam Grillo

Nell’America degli anni Sessanta i bianchi dominavano incontrastati sugli afroamericani e ciò «comportò la separazione fisica nella vita sociale, il confinamento dei neri in alcuni settori occupazionali a basso reddito e la loro esclusione dal voto» (Segregazione razziale negli USA in Dizionario di storia (2011), www.treccani.it). 

Si tratta dell’opera dell’uomo che si distacca dalla sua essenza: l’umanità. La segregazione razziale è il fulcro attorno al quale si svolgono e intrecciano le tre straordinarie storie narrate in questo film, reali tanto quanto la segregazione. Nella quotidiana battaglia contro la discriminazione lottano per farsi strada, con sacrifico e determinazione, le matematiche afroamericane Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe), che lavorano alla West Area Computers del Langley Research Center (Hampton, Virginia) come “calcolatrici umane” per la NASA. Ebbene sì, l’agenzia aerospaziale americana non disponeva ancora di computer in grado di effettuare in breve tempo dei calcoli affidabili, mentre il cervello umano si prestava perfettamente per questo compito. Ma cosa accade quando un essere umano non riconosce un suo simile, scontrandosi così con il suo più grande nemico, l’ignoranza? 

Il diritto di contare, regia di Theodore Melfi (2016)

Il regista Theodore Melfi lo descrive nel suo film del 2016, Hidden Figures, ispirato all’omonimo libro di Margot Lee Shetterly, in cui queste tre matematiche, vittime di razzismo sul luogo di lavoro, si fanno portavoce di una sofferenza collettiva, che accomuna le vite di uomini e donne nati con un solo ma grande difetto: il colore “sbagliato” della loro pelle. In Hidden Figures vediamo come per i bianchi, oltre alla pelle, anche l’intelletto sembra avere un colore, come se l’unico degno di nota fosse il proprio.

Questa storia, per lo più al femminile, si svolge prevalentemente all’interno della base aerospaziale dove “bianchi” e “neri”, termini che dovrebbero essere utilizzati solo per distinguere le pedine della scacchiera, lavorano separatamente. Tutto è diviso: bagni, mense, postazioni di lavoro. Gli sguardi carichi di disprezzo e le offese sottili ma taglienti sono il pane quotidiano per le tre amiche afroamericane e per le loro colleghe matematiche. È in queste condizioni che devono sopravvivere ogni giorno. Per tutte loro c’è un doppio svantaggio, come se l’essere discriminate perché nere non fosse abbastanza: sono anche donne e quindi doppiamente inferiori. Ma esse dispongono di un’arma che pochi possono vantarsi di possedere: una mente geniale, che nemmeno il bianco più razzista avrebbe potuto ignorare, soprattutto perché la posta in gioco riguardava il futuro dell’America, nello specifico delle spedizioni spaziali. Il russo Jurij Gagarin infatti era stato il primo uomo nella storia a effettuare un volo spaziale e, naturalmente, la NASA non poteva essere da meno. 

Katherine, Dorothy e Mary donano con passione e tenacia tutte sé stesse per vincere le resistenze dei colleghi “superiori”, dimostrando di essere tra le migliori risorse umane che la NASA possiede. Nel corso della storia, la loro grinta cattura l’attenzione dello spettatore che, sospeso tra stupore e suspense, osserva lo scorrere sullo schermo delle vicende che mostrano le protagoniste atte a pensare l’impensabile, a compiere l’irrealizzabile, a conquistare l’inafferrabile. 

Hidden Figures significa “figure nascoste”, ma in Italia il film è conosciuto come Il diritto di contare. Quest’ultimo titolo è doppiamente emblematico, perché se da un lato fa riferimento al diritto di lavorare di queste donne, facendo ciò per cui avevano studiato, ovvero “contare”, dall’altro sottolinea l’importanza che per ogni essere umano ha l’essere considerati e il considerarsi persone di valore. Contare significa: «Reputare, stimare, attribuire valore o importanza […] Avere autorità, credito, importanza; valere» (Contare in Vocabolario online, www.treccani.it). 

Qualcuno ha forse il diritto di attribuire un valore a un’altra persona? No. Nessuno. Eppure tanti uomini, nel corso della storia, si sono arrogati il diritto di decretare chi potesse “contare” e chi no, come se un essere umano avesse il diritto di esercitare tale potere su un proprio simile. Tali tematiche fanno affiorare alla mente tanti volti famosi della storia, volti che per le loro azioni suscitano, o almeno dovrebbero suscitare, sentimenti di disapprovazione. 

Questo è ciò che Theodore Melfi è riuscito a trasmettere riportando alla luce le “figure nascoste” delle donne afroamericane dietro le quinte della NASA. Ma la loro storia è quella di tante altre vite, che si snodano all’interno del ventaglio più ampio dell’ineguaglianza, in tutte le sue forme. Come in passato, ancora oggi troppe persone sono poste ai margini della società, in troppi soffrono per le decisioni di altri. Troppi i palcoscenici della vita colmi di “gente per bene” che si esibiscono in fuorvianti spettacoli a discapito di chi sta, appunto, “dietro le quinte” perché “non conta”. Ma tutti hanno il diritto di contare e tutti dovrebbero essere protagonisti della propria storia. 

Katherine, Dorothy e Mary questo lo sanno bene. Le loro vicende danno forma a una rivoluzione che ha inciso profondamente nelle loro vite e in quelle di tante persone all’interno della NASA. Come tanti grandi della storia, queste donne hanno lottato per i diritti degli ultimi, per chi è stato disumanizzato in quanto “diverso”, vincendo ogni battaglia con intelligenza, coraggio e perseveranza. La celebre frase di Gandhi “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” è sempre incredibilmente attuale e ben esemplifica le vicende raccontate in Hidden Figures

Il diritto di contare spetta a tutti. Che siano donne o uomini, bianchi o neri, ricchi o poveri, qualunque siano le loro caratteristiche. E chiunque creda in questo diritto dovrebbe, almeno una volta, vedere questo film.

Per concludere, segnaliamo il fatto che nel 2017 il film ha vinto il premio SAG Awards per il miglior cast, che sicuramente è tra gli ingredienti che rendono la pellicola un must.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Miriam Grillo

Nasce a Catania il 20 Gennaio 1997. Si diploma in Grafica Pubblicitaria ma poi cambia percorso di studi, infatti, si laurea in Scienze dell’educazione e della formazione il 19 novembre 2020. Attualmente frequenta il secondo anno di laurea magistrale in Consulenza pedagogica e progettazione educativa presso l’università di Messina. Dal 17 ottobre 2021 è Terapista ABA.

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