4 Dicembre 2021

Apocalisse e zombie. “Army of the dead: Viva Las Vegas”, regia di Zack Snyder

di Antonio Messina

L’evoluzione della figura dello zombie, oggi, ha fatto dei grandi balzi in avanti tra il cinema e i videogiochi; dallo stupido e inetto mostro mangia cervelli, che si muove lentamente ma con passo inesorabile ed emette versi gutturali sbavando qua e là, siamo passati man mano agli zombie che corrono e si muovono con grande agilità, che si adattano, che interagiscono tra loro e si organizzano. 

Una cosa che accomuna tutti i prodotti di genere, però, è che queste creature mantengono la loro caratteristica primaria: si muovono e attaccano in massa. Questa evoluzione nel tempo, più di qualunque altro genere tra i disaster movie e i film di fantascienza in generale, ha involontariamente fornito quello che potremmo volgarmente definire come un “Manuale di Sopravvivenza” in caso di apocalisse zombie, descrivendoci non solo le più disparate origini di queste creature, ma anche il modo di ucciderli.

Insomma, lo sanno tutti che basta un colpo in testa. E lo sa anche Zack Snyder, il cui debutto dietro la macchina da presa avviene proprio con Dawn of the Dead, nel 2004: il remake dell’originale, diretto da Rob Zombie. E Zack Snyder, a distanza di diciassette anni, ci riprova con il sequel spirituale di quel film, rincarando la dose e rendendo il tutto molto più incasinato e divertente.

La storia comincia nel deserto del Nevada, a pochi passi dall’Area 51 dove un convoglio è incaricato di trasportare un carico segreto. Tutto potrebbe filare liscio, fino al momento in cui una coppia di neo sposini, parecchio distratta, impatta contro il convoglio, compromettendo non solo la missione, ma anche il carico. Inutile dire che questo è solo l’inizio: in men che non si dica, l’intera Las Vegas viene infettata dal portatore di una misteriosa malattia, un virus che trasforma la città in un vero e proprio cerchio infernale abitato solo ed esclusivamente dagli zombie. Solo Las Vegas, non tutto il mondo: solo quella piccola città in mezzo al deserto, isolata dai militari prima che la situazione sfuggisse di mano. 

In questo contesto, il signor Tanaka (Hiroyuki Sanada) incarica uno sgangherato gruppo di uomini e donne, che hanno avuto un ruolo importante durante l’invasione zombie di qualche anno prima, di recuperare i soldi da una cassaforte leggendaria, la Götterdämmerung, dentro un casinò, prima che il governo sganci una testata nucleare su Las Vegas per porre fine alla crisi. Inutile dirlo: il gruppo dovrà farsi strada tra i non morti per portare a compimento la missione.

Army of the Dead è quello che verrebbe fuori se Rob Zombie e il regista della trilogia Ocean’s, Steven Soderbergh, uscissero insieme e mescolassero tutte le loro idee più assurde per poi dare in mano il risultato a uno dei registi più visionari e chiacchierati degli ultimi anni.

Ciò che fa Zack Snyder, tuttavia, non è darci semplicemente degli umani in pasto a dei mostri privi di coscienza, tutto il contrario: il paziente zero, fin dal principio, si dimostra essere una creatura dall’intelligenza superiore, capace di cogliere quelli che sono i meccanismi sociali dell’essere umano e i simboli di cui esso si è fatto forte fino a quel momento, riadattandoli alla società degli zombie. Sì, usiamo la parola “società”, proprio perché l’orda di non morti è un gruppo con una scala gerarchica ben organizzata in cui ognuno ha dei ruoli specifici. Gli alpha sono quelli che tengono l’ordine e governano, tutti gli altri sono semplicemente dei sottoposti. Il gruppo messo insieme dal signor Tanaka deve far fronte quindi a scambi di favori con l’altra parte, deve adattarsi e tentare di rispettare dei limiti territoriali, raggiungere la cassaforte e uscire indenne dalla città.

Non è il classico heist movie, quindi, ma nemmeno il solito film sugli zombie. Un mix dei due generi che tenta di portare delle novità in campo e che prepara, ovviamente, le basi per un sequel già annunciato poiché le domande che il film ci pone sono più delle risposte stesse: qual è l’origine di questo virus? Chi sono gli uomini e le donne della spedizione precedente a quella guidata da Scott (Dave Bautista)? Perché gli zombie non sembrano proprio fatti solo di carne e ossa? E quelle luci nel cielo cosa sono?

Con un cast di tutto rispetto che riesce a immedesimarsi nella parte e un Dave Bautista che non è più l’ombra di un supereroe intergalattico, Zack Snyder mette su un film caciarone, trash quanto basta, ricco di citazioni ad altre pellicole e non solo, con delle scelte visive d’impatto e una discreta colonna sonora che spicca soprattutto durante i titoli di testa che, come quelli di Watchmen, vengono gestiti in maniera tale che lo spettatore possa rendersi conto delle conseguenze derivate dal prologo. Con molta probabilità vi ritroverete a canticchiare Viva las Vegas! con un sorriso, ripensando proprio a quel momento, a Elvis e Valentine.

Dopo questo film, uscito per Netflix, è stato distribuito Army of Thieves, il prequel che si concentra sul personaggio di Ludwig Dieter (Matthias Schweighöfer), approfondendo la storia della cassaforte, ultima di altre quattro ispirate all’opera di Richard Wagner, L’Anello dei Nibelunghi. Mentre è già in produzione il sequel, Planet of the Dead, che già dal titolo sembra promettere grandi cose. Forse, perfino un terzo capitolo.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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