15 Gennaio 2024

E voi come vivrete? “Il ragazzo e l’airone”, regia di Hayao Miyazaki

di Giulia Chines

Entrando in una sala gremita inaspettatamente di gente, le luci soffuse e il chiacchiericcio costante, non potevo aspettarmi quello che avrei visto. Il ragazzo e l’airone, con lo stile dolce e immaginifico di Hayao Miyazaki, mi ha portata in un viaggio quasi mitologico e a tratti dantesco nel mondo del regista. Il film si ispira al libro E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino, da cui trae il titolo originale e le tematiche. Chi scrive non pretende, con questa recensione, di esaurirle tutte, poiché troppo vaste.

1943. Dopo che Mahito, ragazzo di 12 anni, ha perso la madre in un incendio avvenuto in un ospedale di Tokyo durante la guerra, il padre decide di trasferirsi con lui in campagna, dove risiede la sua nuova moglie nonché cognata Natsuko, che subito vediamo incinta. In questa tenuta immersa nel verde e dal sapore antico, Mahito viene quasi perseguitato da un airone cenerino parlante che lo incita a seguirlo in un mondo fantastico con la promessa di rivedere la madre, in realtà ancora viva. Il ragazzo rifiuta ma, seguendo la matrigna – e accompagnato controvoglia dalla domestica Kiriko –, si ritrova in un universo parallelo all’interno di una torre, fuori dalle regole dello spazio e del tempo, dove tutto si incontra e dove la magia può nascondere anche orrori.

Quello che ci appare è infatti un paesaggio dove coesistono vivi e morti, dove creature portate dal mondo esterno mutano e si moltiplicano sviluppando una feroce fame per la carne umana. Colpisce che queste creature siano tutti uccelli: l’airone, che ci ricorda quasi un folletto dispettoso, i pellicani, che sembrano anime in pena, e i parrocchetti, paradossalmente i più spietati.

In particolare, l’airone ha aspetti misti di trickster e guida. Inganna il protagonista, ma finisce per aiutarlo. Non sorprende, essendo l’airone nel folclore giapponese un simbolo del trapasso, il passaggio nel mondo dell’aldilà (ed è questo che dunque appare al protagonista?). Ma l’airone che vediamo è grigio, non è il bianco della purezza, è l’inquietante ed è l’inganno. Eppure il personaggio fa da “Virgilio” a Mahito nel suo viaggio fra i morti alla ricerca della matrigna Natsuko, anche se non sin dall’inizio. Il ragazzo viene guidato anche da Kiriko, una pescatrice che dà da mangiare alle anime dei bambini che poi dovranno incarnarsi, e che altri non è se non la vecchia che lo ha accompagnato all’inizio nella torre.

Il parallelismo con la figura dantesca non ci sovviene a caso. Quello che vediamo nella pellicola è un viaggio a spirale verso l’alto, un percorso di pause e rivelazioni, di misticismo e di crescita. La scoperta di spiriti e anime pronte a incarnarsi nel “mondo di sopra” certo si allontana dal modus della Divina Commedia, ma rimane la scoperta di sé all’interno della traversata nell’aldilà. Kiriko, pescatrice che lo salva e lo trasporta nel mare, mostrandogli le anime defunte che mendicano cibo, remando nelle loro barche, ci ricorda alcune rappresentazioni del traghettatore Caronte. I pellicani, inoltre, spingono il protagonista oltre quelli che sembrano dei cancelli paradisiaci, anticamera della rivelazione, dentro i quali sta un altare-grotta di pietra per il quale, si dice, Mahito non deve avere alcuna curiosità. Non dirò ciò che si cela dietro di esso, poiché ritornerà più avanti nel film ed è parte della scoperta-rivelazione del protagonista e del pubblico insieme a lui.

Altro personaggio-guida è la venerabile Himi, una giovinetta con il potere del fuoco che porterà Mahito nel cuore della torre – fino a incontrare il signore di questo non-luogo – e che, quasi immediatamente, rivelerà al protagonista di essere sorella di Natsuko. È subito chiaro che nella torre il tempo si distorce e, infatti, ci viene presentato il racconto di una delle domestiche: lei lavora nella tenuta da ben 60 anni e in passato la giovane padrona (madre di Mahito) era sparita per circa un anno, tornando dalla torre in perfetta salute come se non fosse passato un giorno. Scopriremo alla fine che sarà proprio questo incontro con il figlio futuro a spingere Himi a ritornare nel mondo reale.

Ma facciamo un passo indietro. Perché il viaggio in questo mondo? Al di là del porci dinnanzi l’intero manifesto della sua arte (le vecchiette che ci ricordano la Strega delle lande, Yubaba ecc., ma anche i riferimenti paesaggistici a Porco rosso, la presenza costante degli aerei, passione conclamata del regista e così via), è il percorso del protagonista alla scoperta della vita. Il centro del film intero, a parere di chi scrive, è proprio la scelta di vivere la realtà, per quanto macchiata di dolore e sofferenza, piuttosto che un mondo “perfetto” di sogni. Il protagonista scopre il senso del ricordo delle persone care e il valore di ciò che si ha ancora. Mahito teme il nuovo germoglio che sboccia nella zia, teme di non essere più fondamentale nell’esistenza del padre e vive solo del rimorso di non avere salvato la madre. Ma ciò che ottiene dal viaggio che intraprende è la consapevolezza che può chiamare “mamma” la matrigna, che può volerle bene e che può accettare il costruirsi di una nuova famiglia. Al di là del dolore che ognuno di loro vive, ciò che conta è il vivere stesso. Così il ragazzo decide di non alimentare quel mondo di sogni, ma tornare alla realtà e, incontrandolo, la stessa scelta sarà compiuta da Himi, che vorrà ritornare al suo tempo per poter dare alla luce il figlio che ha conosciuto.

Hayao Miyazaki

Il ragazzo e l’airone è un film sulla vita, sul potere della scelta di vivere. È un film che ci ricorda, con una chiave diversa, il tema de La storia della Principessa Splendente (2013). Laddove Takahata ci mostrava un essere che sceglieva di vivere, sceglieva il dolore e la gioia che solo la vita può dare, rifiutando la perfezione di un mondo lunare in stasi, allo stesso modo Miyazaki fa sì che Mahito scelga la vita, perché vale sempre la pena vivere davvero per godere della gioia.

Paravento in lacca della fine del 1700

Il ragazzo e l’airone è un manifesto, poetico e artistico, di un uomo che chiude il ciclo della sua esistenza in grande. Riprende il viaggio di Chihiro ne La città incantata, fra prove e spiriti da conoscere, i tratti autobiografici di Si alza il vento, la potenza immaginativa messa accanto al dolore della guerra de Il castello errante di Howl, le architetture improbabili di Laputa. Con il suo stile colorato e i caratteristici sfondi simili a quadri, con scelte registiche sempre impeccabili, questo film è il perfetto addio di Miyazaki al cinema. E non poteva non finire tutto con la grande domanda che attraversa, sottesa, ogni suo capolavoro: e voi come vivrete?

© Riproduzione riservata.

Giulia Chines

Nata a Palermo nel 1994, si diploma al Liceo scientifico Galileo Galilei della propria città. Prende una laurea triennale in Studi filosofici e storici e una magistrale in Scienze filosofiche e storiche all’Università degli Studi di Palermo, approfondendo in particolar modo gli studi antropologici di René Girard rispetto al capro espiatorio e agli stereotipi di persecuzione, oltre che al rapporto violenza-religione.


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