6 Maggio 2023

Un mistero italiano. “Vatican Girl: La scomparsa di Emanuela Orlandi”, regia di Mark Lewis

di Antonio Messina

Fin dai primi anni del ‘900, l’Italia è stata teatro di episodi misteriosi che si sono, man mano, rivelati essere complesse macchinazioni tra lo Stato, la Mafia e a volte anche la Chiesa. Ricordiamo tutti gli attentati delle Brigate Rosse, il rapimento di Aldo Moro, il caso delle sacche di sangue destinate alla trasfusione infettate dall’HIV e tutte le stragi di mafia ricollegate il più delle volte a figure politiche insospettabili e di spicco. Di sicuro, uno dei più grandi misteri irrisolti è quello della sparizione dell’agenda di Paolo Borsellino, rubata subito dopo l’attentato a Capaci nel ’93. E chi poteva parlare oggi è ormai deceduto oppure ben protetto da figure che agiscono nell’ombra. La mancata risoluzione di queste e molte altre situazioni controverse, nel tempo, ha fatto in modo che l’opinione pubblica si sia in qualche modo convinta – abituata – che non ci sia la possibilità (o, meglio, la volontà!) di scoprire le carte e fare chiarezza. Con l’arresto del boss super-latitante Matteo Messina Denaro, presunto successore di Totò Riina, la coltre di nebbia potrebbe iniziare forse a diradarsi, ma ci sono ancora tante e troppe zone d’ombra nella storia del nostro Paese che forse non vedranno mai uno spiraglio di luce. Ad esempio, quello che tutt’oggi è uno dei più oscuri e scabrosi misteri italiani rimane ancora un segreto coperto e ben protetto. Parliamo, ovviamente, del caso Orlandi.

È il 22 giugno del 1983 ed Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, esce di casa per dirigersi all’Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria, dove segue le lezioni di solfeggio e canto. Da quel pomeriggio, Emanuela non farà mai più ritorno a casa. Le ricerche partono dopo le 21.00 di quella sera stessa, ma di Emanuela non c’è traccia e a mezzanotte i cancelli di Città del Vaticano vengono chiusi fino al mattino. Ancora oggi, a distanza di ben quarant’anni, di Emanuela Orlandi non si hanno tracce, ma solo labili indizi, testimonianze dubbie, strane telefonate e un intricato reticolo di domande ancora senza risposta.

Quello che sembra un “semplice” caso di sparizione come ce ne sono in tutto il mondo comincia ad assumere le sembianze di un vero e proprio mistero: le prime telefonate che la famiglia Orlandi riceve sono da parte di un uomo dei servizi segreti stranieri, conosciuto come “l’Amerikano” – così verrà soprannominato dalla stampa per via del suo accento – in cui viene confermato che la ragazza è stata effettivamente rapita. Il riscatto non prevede denaro, ma la scarcerazione di Mehmet Alì Agca, l’uomo che il 13 maggio del 1981 tentò di uccidere Giovanni Paolo II in piena luce, davanti a migliaia di persone e in diretta televisiva. L’Amerikano chiede una linea diretta con il Vaticano e conferma che Emanuela si trova in mano ai Lupi Grigi, un gruppo di terroristi di matrice islamica che, appunto, richiede la scarcerazione dell’attentatore. Alla famiglia Orlandi verranno dati venti giorni a partire da quella telefonata, prima che la ragazza venga uccisa. Ma questa, come altre piste, più in là si rivelerà essere solo uno dei tanti vicoli ciechi, apparentemente creati ad hoc per sviare l’attenzione sul vero motivo del rapimento di Emanuela.

Ad essere coinvolti in questo caso saranno, poi, oltre alle forze dell’ordine, anche giornalisti, editori, mitomani e perfino la Banda della Magliana. Le testimonianze – seppur di dubbia veridicità – di diverse persone apparentemente coinvolte in maniera diretta, che hanno continuamente confermato di averla incontrata e di esserne stati a contatto per diverso tempo, non producono i risultati sperati. Le indagini porteranno la famiglia Orlandi a cercare la ragazza in Francia, in un convento, per poi seguire piste e percorsi rivelatisi, ancora una volta, dei buchi nell’acqua. Eppure, dire che non vi sono risultati non è del tutto vero: stranamente il punto di arrivo di quasi tutte le piste è sempre il Vaticano, e questo amplifica la presenza e le responsabilità che comporta un simile coinvolgimento. E qui la situazione diventa incredibilmente oscura e l’impatto mediatico è talmente forte che la scomparsa di Emanuela fa il giro del mondo. Com’è possibile che il Vaticano possa essere implicato in una cosa del genere? Sembra talmente strano e inverosimile che a tratti può anche apparire come un caso inventato di sana pianta, la trama di un libro o un racconto di Dan Brown. Ma ci sono questioni economiche in ballo, e una presunta violenza sessuale nei confronti della ragazza. Si sente spesso parlare di preti che molestano ragazzini e ragazzine in contesti per lo più circoscritti, e già di per sé questo la dice lunga sul candore delle figure ecclesiastiche. Ma un caso di abuso sessuale in Vaticano susciterebbe uno scandalo senza precedenti, che metterebbe in bilico la credibilità di un’istituzione millenaria che ha il compito di farsi portavoce di Dio. Soprattutto se gira voce che anche il Papa sia a conoscenza della verità, ma non parli.

A occuparsi del caso Orlandi dal punto di vista “mediatico”, a quarant’anni di distanza, è la docu-serie Vatican Girl: La scomparsa di Emanuela Orlandi, per la regia di Mark Lewis, prodotta da Netflix. La serie narra le vicende del caso tramite le voci di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, e Andrea Purgatori. La docu-serie si destreggia tra le fila di una ragnatela labirintica, attraverso le interviste fatte negli anni a diverse persone che hanno avuto a che fare in maniera diretta o meno con la ragazza, con un montaggio molto intelligente che alterna le interviste a immagini di repertorio di emittenti televisive, riprese private, documenti ufficiali, telefonate registrate dalle forze dell’ordine e persino presunte registrazioni audio della voce di Emanuela, alla ricostruzione della vicenda da parte di Andrea Purgatori e dei componenti rimasti in vita della famiglia Orlandi. Lo spettatore si ritrova catapultato al centro di una vicenda macabra e a tratti poco chiara per la sua natura e per come le persone coinvolte la gestiscono, senza che vengano mai date certezze reali, in una spirale senza fine che si allarga sempre più man mano che gli anni passano.

Vatican Girl ci mostra in maniera certosina e con il giusto pathos tutti i dettagli della vicenda, senza tralasciare nulla al caso e senza avanzare ipotesi che possano in qualche modo rendere ancora più assurda la vicenda. Andrea Purgatori si dimostra essere un ottimo narratore super partes: non si assume la responsabilità di aggiungere qualcosa che non è mai stato detto o fatto e analizza per filo e per segno tutte le parole, i documenti e i fatti, senza mai esporsi. Ma la domanda sorge spontanea: in tutto ciò, il Vaticano come si è comportato? Il fatto che i sospettati all’interno dell’istituzione ecclesiastica non si siano mai prestati a interviste dello stesso calibro di quelle fatte a Sabrina Minardi e Marco Accetti – il presunto “Amerikano”, rivelatosi poi un mitomane – potrebbe fare sospettare che si stia effettivamente nascondendo qualcosa di grande e tremendo.

Pietro Orlandi, tutt’oggi, dopo quarant’anni, non ha perso la speranza che prima o poi la verità venga a galla. Non solo perché ogni prova poteva dimostrare che Emanuela fosse viva, ma anche perché pare che in seguito alla sua elezione Papa Francesco stesso abbia detto all’uomo che «Emanuela sta in cielo», facendo dunque presumere che la ragazza sia ormai morta e che, soprattutto, esista ancora chi conosce come si è svolta la vicenda. Non si tratta più, a questo punto, di avere la certezza che Emanuela possa essere viva, ma di sapere dove si trovi eventualmente il suo corpo e soprattutto perché qualcuno abbia dovuto (o voluto) rapirla. Una cittadina vaticana adescata da un presunto rappresentante dell’Avon con la promessa di un lavoro, fuori dalle mura di quella che a tutti gli effetti dovrebbe essere una fortezza di sicurezza e limpidezza ma che, se fosse vera la pista dell’abuso sessuale, all’interno è più marcia di una mela avvelenata dal più grande dei mali: il potere.

La docu-serie non si pone nessun obiettivo all’infuori di fornire un semplice resoconto della vicenda e mettere sul tavolo tutti i fatti – nuovi per chi non ha mai seguito il caso, vecchi per chi, invece, l’ha vissuto fin dal principio – per come sono stati narrati e smentiti, ma potrebbe essere forse un punto di partenza ideale per riprendere seriamente in mano il caso Orlandi, fare chiarezza e, magari, far sì che qualcuno all’interno del Vaticano si faccia avanti per parlare. Anche solo per smentire le accuse mosse da tutti gli intervistati con una sicurezza tale da far apparire il mistero meno intricato di quanto si pensi.

E forse è così. Forse la verità l’abbiamo sempre avuta sotto il naso, ma non riusciamo a vederla.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

Leggi di più


Potrebbe interessarti: