1 Luglio 2023

Viaggio di una madre. “Tutto su mia madre”, regia di Pedro Almodovar

di Serena Costa

Una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha sognato di se stessa.

Per capirlo mi sono serviti così tanti anni che non li conto più, e non chiedetemelo, che non sta bene domandarlo a una signora, quale io sono. Vi vedo storcere il naso e le labbra, li vedo i pregiudizi nei vostri occhi a scoprirmi le vergogne. Perché avete tutti questo grande interesse per il mio pene? Non sono mica l’unica ad averlo, eppure solo a me chiedete di mostrarvelo, magari insieme ai miei seni perfetti disegnatemi su misura. Quanto ho sognato e immaginato che forma dovessero avere questi occhi, questi zigomi, queste labbra, il mio naso, e maledette le botte che hanno preso: il mio corpo è un tempio pieno di mercanti che si sgolano per svendermi pezzo per pezzo… Gesù Cristo sono io che porgo l’altra guancia all’ennesima botta, all’ennesima notte senza ricevere amore, all’ennesimo anno in cui l’amore esorbita da ogni poro del mio corpo attraverso tutti i miei umori! Sentite la blasfemia delle mie parole, guardate l’eresia del mio corpo! Volevo solo dare amore, volevo solo piacervi a ogni costo… Sono Agrado, e adesso un po’ di amore riesco a farlo anche a me stessa. 

Sorrido dolcemente del vostro disprezzo e l’emarginazione è un ricordo lontano…

Tutto su mia madre è un film di Pedro Almodóvar del 1999 che è stato presentato in concorso al 52º Festival di Cannes, dove ha vinto il premio per la miglior regia. Ha inoltre conquistato l’Oscar e il Golden Globe per il miglior film straniero. Per esprimere la grandezza fragile e struggente dell’opera, scelgo come punto di partenza la didascalia che la chiude: «A Bette Davis, Gena Rowlands, Romy Schneider… A tutte le attrici che hanno fatto le attrici, a tutte le donne che recitano, agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri. A mia madre». 

Quanti modi esistono di essere donne? Quanti modi esistono di essere madri? In quanti modi è possibile concepire l’amore e come questo possa essere capace di vita e capace di morte? 

Esteban ha diciassette anni e vuole diventare uno scrittore. I suoi sogni sono sorretti dalle braccia di sua madre, Manuela, e dal suo amore incondizionato. Vivono a Madrid

Per festeggiare il suo compleanno, i due vanno a vedere Un tram chiamato desiderio dove Huma è l’attrice che interpreta Blanche DuBois. Alla fine dello spettacolo la insegue per un autografo, ma un’auto lo travolge. Esteban muore

L’inizio del film è un chiaro omaggio a La sera della prima di John Cassavetes, a quelle scene iniziali in cui la diva protagonista (la moglie del regista, l’immensa Gena Rowlands) è inseguita dai fan. La stessa, infatti, sarà perseguitata dall’immagine della ragazza che per avere un suo autografo fu travolta da un’auto, perdendo la vita. 

Manuela, frantumata da un dolore inguaribile, ritorna sui passi della sua storia che diciassette anni prima aveva deciso di dimenticare, e parte per Barcellona. Il suo obiettivo è ritrovare la persona che un tempo ha amato e con cui concepì il figlio. 

Battendo strade sterrate dove bidoni infuocati, tacchi vertiginosi, gonne inguinali e calze a rete incendiano l’aria dall’odore pungente del sesso, ritrova Agrado, l’amica perduta, l’amica di sempre, una transessuale che lavora come sex worker, così piena di amore, vita e gioia nonostante i lividi sulla pelle e sul cuore. Ha scelto di chiamarsi Agrado perché ha vissuto sempre per fare piacere agli altri, come se la sua fosse una missione. 

L’ironia della sorte porterà Manuela di nuovo a teatro come assistente proprio di quella Huma che il figlio adorava, e salirà perfino sul palcoscenico: Un tram chiamato desiderio ha segnato la sua vita. Non solo l’opera è indissolubilmente legata alla morte del figlio, ma proprio recitandola tanti anni prima aveva conosciuto l’amore da cui nacque il suo Esteban, lui Kowalski, lei Stella. 

Huma, da parte sua, è una primadonna capricciosa e smaniosa, pazza di un folle amore per un’attrice che lavora con lei, Nina, una tossicomane che spinge quotidianamente la vita al limite e le fa temere che ogni loro incontro possa essere l’ultimo. 

Un’altra persona che entra nella vita di Manuela, infine, è Rosa, una giovanissima suora, ingenua e con gli occhi indifesi e innocenti, pronta a partire in missione per El Salvador, ma che scopre di essere incinta e malata di HIV. 

Le vite di queste donne si intrecciano e il legame fra loro diventa profondo, viscerale, determinante. Il dolore di Rosa e Manuela ha una radice comune, mentre Huma e Agrado, in modo del tutto imprevisto, non potranno più rinunciare l’una all’altra. 

Ho detto troppo, dicendo troppo poco. 

«C’è un amore più forte degli dei / a saperlo spiegare che filosofo sarai…» Canticchio questo verso dicendomi che solo spogliandoci di tutti i pregiudizi e i preconcetti, destrutturando le nostre sovrastrutture, possiamo conoscere l’amore, nel senso più ampio e più vero del termine.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Serena Costa

Nata ad Avola il 3 settembre 1994 si è diplomata al liceo scientifico Ettore Majorana nel 2013. Si è iscritta in giurisprudenza e ha studiato per tre anni con abnegazione e ottimi risultati prima di affrontare una crisi definibile identitaria che l’ha riportata alla passione più profonda che ritiene coincidere con la sua natura: la letteratura.

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