23 Dicembre 2021

Tre al prezzo di uno. “Spider-Man: No Way Home”, regia di Jon Watts

di Antonio Messina

Quando Tom Holland, il ragazzino che apparve per la prima volta sul grande schermo in The Impossible, fu scelto per interpretare la nuova incarnazione dell’arrampicamuri di casa Marvel, il malcontento dilagò e si estese a macchia d’olio: come avrebbe potuto mai rendere giustizia al personaggio un attore di appena diciannove anni? Ma ciò che tutti sembravano aver dimenticato, in quel periodo, era che Peter Parker diventa l’Uomo Ragno all’età di appena quindici anni: l’attore era più vicino all’incarnazione fumettistica di quanto non lo fosse un già trentenne Tobey Maguire, che doveva fingere di essere un liceale dall’aspetto troppo cresciuto.

Dal momento in cui lo Spider-Man di Holland viene introdotto nel Marvel Cinematic Universe con Captain America: Civil War, l’attore di strada ne ha fatta parecchia, e ne ha fatta fare anche al suo Spider-Man: il suo personaggio ha affrontato nemici terrestri e non, è stato cancellato dalla realtà per cinque anni interi e ha combattuto “un alieno viola”, per poi essere accusato di omicidio e smascherato in diretta mondiale.

Spider-Man: No Way Home si apre esattamente dove finiva la scena dopo i titoli di coda di Spider-Man: Far From Home, con Mysterio che, in punto di morte, rivela l’identità di Spider-Man al mondo intero. Per rimediare a questo problema, Peter Parker si rivolge a Stephen Strange, aka Doctor Strange, per fare in modo che tutti dimentichino l’identità segreta di Spider-Man. Le motivazioni di Peter Parker sono quanto più altruistiche possibile, ma qualcosa va storto mentre Strange lancia l’incantesimo, aprendo erroneamente le porte del Multiverso. Questo comporterà l’arrivo di molteplici villains nella realtà del MCU, da altre realtà che altro non sono che quelle dei film precedenti. Toccherà, dunque, a Spider-Man – e forse molto più a Peter Parker – trovare la soluzione a questo problema, che non sia la più drastica proposta da Strange stesso.

Non è facile parlare di ciò che avviene in questo film senza rischiare di fare troppi spoiler a chi non lo ha ancora visto, ma i trailer ci hanno mostrato molto più di quanto avrebbero dovuto e possiamo liberamente parlare dei nemici, nello specifico, che appaiono in questo film. Il ritorno dei cinque iconici cattivi affrontati dai diversi Peter Parker nei film precedenti non è solamente un’operazione di puro fan service. Il trovarsi in una realtà che non gli appartiene non impedisce loro di interagire in maniera intelligente: Goblin, Dock Ock e L’Uomo Sabbia, infatti, provenendo dalla stessa realtà – quella di Tobey Maguire – si conoscono e sanno cosa è successo a ognuno di loro mentre combattevano contro Spider-Man. Lo stesso vale per Electro e Lizard, che provengono dalla realtà dello Spider-Man di Andrew Garfield. L’interazione tra loro è profonda, ognuno di essi ha mantenuto la propria personalità e il ritorno degli attori iconici a interpretarli non fa altro che elevare questo aspetto a un livello talmente alto da estasiare lo spettatore che abbia una conoscenza approfondita dei personaggi in questione.

Una nota di merito va alle prove attoriali di Willem Dafoe e di Alfred Molina, che riprendono i panni dei due villain meglio scritti fino a ora, riconfermandosi tremendamente perfetti per il ruolo che interpretano. Il primo, nei panni di Green Goblin, fa del suo personaggio non solo il villain principale della trilogia di Raimi, con il primo film e le conseguenze che la sua morte si trascina nei film successivi, ma anche di questo terzo capitolo, chiudendo definitivamente la sua storia. Il suo Green Goblin qui è molto più folle e molto più violento, la sua presenza scenica fa paura e non nascondiamo che in sala è stato palpabile il desiderio degli spettatori di vederlo morto per mano dell’eroe. Il Dock Ock di Molina, invece, leggermente ringiovanito dalla CGI, si riconferma essere lo scienziato votato alle scoperte per il bene comune, confermando ancora una volta il perché fu lui a rendere Spider-Man 2 il film per eccellenza sul personaggio.

Spider-Man: No Way Home chiude la trilogia con Tom Holland e stavolta lo fa in maniera concreta, credibile, magistrale, con un finale che fa commuovere per una potenza emotiva derivata dalla consapevolezza che molte cose non saranno mai più le stesse, ma, oltre a ciò, apre la strada al vero Spider-Man. In che senso?

La scelta attoriale di Tom Holland si è rivelata più che corretta. In linea non solo con l’incarnazione fumettistica, ma anche con la caratterizzazione del personaggio stesso, in questi anni è cresciuto come attore, ha imparato a prendere confidenza con il personaggio che interpreta e ha sempre aggiunto degli elementi in più al suo Spider-Man, tra un film e l’altro, fino a fargli raggiungere la maturità che vediamo in No Way Home, allo stesso modo in cui fece Robert Downey JR. con il suo Iron Man. Peter Parker e Spider-Man avevano bisogno di crescere, di seguire un percorso difficoltoso prima di arrivare a questo punto. Se fino a poco tempo prima avevamo visto l’eroe costantemente affiancato prima da Tony Stark, poi dagli Avengers, con un costume ipertecnologico, qui dovrà cavarsela davvero da solo. Lo stesso aiuto che riceverà durante il terzo atto non verrà da una richiesta esplicita dell’eroe, come avveniva inizialmente, ma sarà una scelta che egli dovrà fare senza farsi prendere dalle emozioni. Ci aspettiamo, in futuro, dunque, un Peter Parker emotivamente gravato dal peso delle conseguenze delle proprie azioni, un adulto che si prende le proprie responsabilità e uno Spider-Man che rifiuta di lavorare in coppia per evitare che altri, al suo fianco, possano farsi del male, come accaduto in passato.

Dai toni seri, con parecchia introspezione e più Peter Parker che Spider-Man, possiamo dire che finalmente il personaggio esce dal circolo vizioso della “maledizione del terzo film”, consacrando l’accordo Sony/Disney come uno tra i più riusciti, promettendo grandi cose per il futuro di uno Spider-Man finalmente consapevole che “da un grande potere derivano grandi responsabilità”.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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