7 Aprile 2021

The Greatest Showman

di Antonio Messina

Siamo nei primi anni del 1800, in America, e Phineas Taylor Barnum (Hugh Jackman), figlio di un sarto che lavora per una famiglia altolocata, ha in mente un grande sogno: diventare un uomo di successo e poter dare una vita agiata alla piccola Charity Harriett (Michelle Williams), dalla quale è separato per il suo rango inferiore. Inizia così la storia “del più grande show” del mondo, l’atto di nascita del circo inteso come forma di intrattenimento e spettacolo puro; di natura differente rispetto al teatro, ma con uno scopo comune: dare allo spettatore qualcosa con cui potersi per un po’ distanziare dalla realtà e la monotonia di tutti i giorni.

The Greatest Showman, regia di Michael Gracey (2017)

Dopo le prime battute, il musical di Michael Gracey ci trascina, nel giro di un singola canzone, dall’infanzia del giovane Barnum fino all’unione con Charity, per arrivare all’idea del primo progetto: un museo di animali unici e rari, imbalsamati. Dopo il primo fallimento, Barnum capisce che la gente ha bisogno di qualcosa di mai visto. Inizia così la sua ricerca di uomini e donne dalle qualità uniche per formare un gruppo di “freaks” composto da quelli che vengono comunemente definiti “scherzi della natura”: una donna barbuta, una coppia di incredibili trapezisti, l’uomo più alto del mondo, il nano più piccolo che si sia mai visto, e molti altri. Tutte figure che, in un contesto così delicato, non hanno mai trovato un vero e proprio posto nel mondo, a causa del razzismo, della paura del diverso, del ribrezzo per la deformità, poiché da sempre il mondo non è mai stato in grado di guardare oltre l’aspetto fisico.

È così che viene ufficialmente fondato il “T.P. Barnum Circus”, ma c’è ancora molta strada da fare perché la diversità di coloro che fino a poco prima erano reietti ed emarginati dalla società venga accettata e i sogni del fondatore si realizzino, facendo anche i conti con i suoi lati oscuri. Come tutti i musical che si rispettino, “The Greatest Showman” è un film ricco di balli e musiche, di colori sgargianti e scene spettacolari, forti anche delle tecniche del cinema moderno. La scenografia teatrale riempie ogni cosa, si ritrovano le forme classiche del circo che tutti conosciamo e la risata è dietro l’angolo con dei personaggi che, per quanto possano apparire grotteschi, rappresentano la tragicità della vita meglio di chiunque altro. Proprio la vita nelle sue varie declinazioni diventa il più grande spettacolo del mondo che è il palcoscenico sul quale gli uomini si esibiscono, nelle loro diversità senza mai dimenticarsi che proprio nelle piccole cose, nell’ordinarietà, sta la bellezza dello straordinario.

Nonostante la storia non sia proprio accurata rispetto a quella del vero Barnum, il regista riesce a tirare fuori un prodotto spettacolare, ricordandoci che se è vero che lo show deve andare avanti, è vero anche che “l’arte più nobile è quella di rendere gli altri felici”.

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Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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