25 Aprile 2021

Vivere la guerra partigiana: un’autobiografia emotiva. “La casa in collina” di Cesare Pavese

di Giada Di Pino

Ogni generazione ha il suo incubo, la sua trincea. 

L’incubo di Pavese, e degli scrittori e intellettuali suoi contemporanei, è stata la guerra. Per noi oggi è una parola lontana, che ci rimanda ad altri continenti, ad altri popoli, ad altri tempi, quasi come fosse un racconto di fantasia, finché non ci si imbatte in un libro come questo, che della guerra, della guerra partigiana nello specifico, racconta non i fatti ma le emozioni. E le racconta senza mai nominarle: senza descriverle con le parole, senza evocarle. 

Pavese riesce a irradiare nel lettore la paura, l’angoscia, l’impotenza, l’umiliazione, l’adrenalina, lo shock di fronte alla morte, lo smarrimento, il profondo senso di solitudine, e di colpa per l’essere ancora in vita, tramite la sola narrazione

Il segreto probabilmente sta nel fatto che il protagonista, Corrado, non è altri che lo specchio dell’autore: come l’autore, infatti, Corrado è scappato ai bombardamenti di Torino rifugiandosi sulle colline, e trascorre le sue giornate girovagando per i boschi insieme al cane Belbo. 

Non è stato tuttavia il solo: ben presto si ritrova a far parte di una piccola comunità di rifugiati che si incontra tutte le sere per parlare della guerra, della politica, della dittatura, della difficoltà del tempo in cui vivono, e insieme per rinnegarla tra balli, feste e risate. Ed è qui sulle colline che rincontra Cate, adesso madre di un figlio fin troppo simile a lui, e sembra l’inizio di un idillio, finché la guerra non raggiunge anche quel luogo che sembrava così distante dall’incubo.

Il tono sommesso e lento della narrazione prosegue anche nel precipitare degli eventi, adattandosi di più al carattere distaccato e apparentemente cinico del protagonista. Corrado è Cesare, Cesare è Corrado: in questa semi-autobiografia, Pavese non racconta tanto gli eventi che ha vissuto, o che ha visto accadere, ma piuttosto il suo dissidio interiore, la sua incapacità di prendere parte alla lotta e anche di disinteressarsene, e soprattutto il peso della colpa che sente nel petto a causa di questa sua inquieta immobilità. 

E mentre il protagonista è immobile, descritto quasi sempre come imperturbabile, privo di moti d’animo improvvisi e di gesti che non siano calibrati e accorti, il mondo attorno a lui ribolle di violenza, di agitazioni, di sparizioni, di morte. Una morte, quella in guerra, che rende tutti uguali, dove «ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione».

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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