Giulio e Stella convivono da diversi anni e stanno per sposarsi. La loro quotidianità è serena e infelice. Perché è nella natura di Stella essere infelice. Ma anche perché qualcosa è cambiato. Sembra sia tutta colpa di un pesce, anzi di tre pesci che, emblematicamente, portano i nomi della Trinità. Tre pesci condannati allo stesso destino: quando muore il primo, gli altri due lo seguono a distanza di poche ore. Tre pesci, che sono una prefigurazione del destino di Giulio, Stella e…Bobo. Questo evento, questo lutto che sembra quasi ridicolo per quanto è doloroso porta Stella a svelare il motivo della sua infelicità, del suo non volere più le nozze con Giulio: Bobo sta per avere un figlio. Ma chi è Bobo? Ed eccoci catapultati indietro nel tempo, nel 1992, quando la storia di Stella e Giulio ha inizio, quando entrambi non erano altro che dei ragazzini orfani di un genitore costretti a vivere insieme, sotto lo stesso tetto, e quando, fin da subito, la loro storia si intreccia a quella di Bobo. Tre ragazzini, tre destini, tre pesci nel vasto mare dell’esistenza le cui vite sono indissolubilmente legate, in un gioco di sentimenti contrastanti e complementari e di strade che si intrecciano.
Il romanzo che la Zupin ha imbastito è la storia della crescita parallela di due ragazzi del nostro tempo, nati a cavallo dei due secoli, e ha una struttura in qualche modo chiastica: diviso in quattro parti, sono le due centrali che narrano dell’infanzia e dell’adolescenza di Giulio e Stella. Una doppia formazione, dunque. Una riuscita e una no. Sebbene tutta la narrazione sia infatti filtrata dagli occhi di Giulio, è Stella la vera protagonista, il vero fulcro, il Sole attorno a cui tutti i personaggi ruotano, attratti nella sua orbita come satelliti, ma è anche un Sole pericoloso, capace di distruggere chi le si avvicina troppo. Questa è Stella, e non solo Giulio sembra risentire della sua aura distruttiva, ma anche lo stesso romanzo, che si attorciglia a spirale attorno alla protagonista femminile. La sua psicologia è contorta e instabile, e la Zupin la mostra bene attraverso i comportamenti atipici della ragazza, comportamenti che nella maturità tenderanno a sclerotizzarsi. Tuttavia, Stella è tanto pericolosamente luminosa quanto fragile, e questa sua tenera fragilità si svela pian piano nell’arco della narrazione, man mano che Giulio racconta la loro storia, ma soprattutto si svela nei suoi monologhi, capitoli ricorrenti che portano il nome di I cinque minuti di Stella. Il suo dolore profondo pervade tutto il romanzo, ma ad esso fa da contraltare un altro dolore, un dolore che è riuscito a diventare rinascita: quello di Giulio. Questo ragazzo silenzioso, che per tutto l’arco narrativo sembra non fare altro che prestare la voce al suo Sole, a quella donna che è il suo amore e la sua ossessione, trova, infine, la sua strada, i suoi cinque minuti.
Tra la storia d’amore e di crescita, tra i cunicoli oscuri della psicologia di Stella e le manie ossessive e ricorrenti dei personaggi, dietro le pieghe deformanti dello sguardo di Giulio, che cela una consapevolezza inconsapevolmente analitica, ci sono le parole. Sono quelle che costituiscono davvero il romanzo, sono quelle la vera cifra di Giulio, e sono la vera origine di ogni storia, perché
[…] qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure, invece verba volant – ma certe parole no, certe rimangono scolpite nella testa, e te le porti dietro per anni, che se le racconti nel modo giusto possono diventare secoli, e allora nascono i miti.
E quelle certe parole diventano nel romanzo della Zupin un paragrafo, una digressione di Giulio narratore, costituendo tutte insieme un piccolo dizionario, un dizionario del dolore e del salvamento. Il salvamento di Stella, della sua storia, della famiglia, sua e di Giulio, e di Giulio stesso. Soprattutto di Giulio, in realtà, perché è tutta sua la vera salvezza, il vero salvamento. E avviene tramite l’unico gesto che veramente può essere strumento di salvezza, con cui davvero si può salvare sé stessi e gli altri: il perdono. Salvamento, per quanto siano visibili i forti echi sveviani e pirandelliani, non è un romanzo dalle alte pretese letterarie. Originale nella sua costruzione, si configura tuttavia come un buon romanzo d’esordio, che può risultare gradevole al vasto pubblico in cerca di un libro dalla trama interessante ma non troppo impegnativo.
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Il nostro giudizio
Giada Di Pino
Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante.
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