1 Novembre 2021

Ginevra, o della sopravvivenza. “L’isola di plastica” di Marco Sicari

di Giada Di Pino

Ginevra è una donna elegante, ricca, snob, capricciosa, cresciuta nel lusso e negli agi, abituata a prendersi cura sempre e soltanto di sé stessa. Persino il suo matrimonio con Andrea è improntato esclusivamente all’apparenza, per il prestigio delle due famiglie, ma è assolutamente privo di amore. Così come priva di amore è la relazione col suo cane, York, che per lei ha la stessa mera funzione di un souvenir. 

Una vita vana, quella di Ginevra, una vita piena solamente di fumo, di scarpe firmate e bei vestiti, di cene, di ozio, di televisione e cura del corpo, una vita piena di nulla. 

Questa è la donna che troviamo nelle prime pagine di questo romanzo, ma non è la donna su cui richiudiamo il libro alla fine

Tutto cambia per Ginevra quando, durante un viaggio d’affari in Giappone insieme al marito, uno tsunami travolge il gommone su cui stava prendendo il sole in compagnia di York, mentre Andrea pesca nelle vicinanze. Il mondo si capovolge, l’acqua sommerge ogni cosa, Andrea viene sbalzato chissà dove, ma Ginevra, miracolosamente, resta aggrappata al gommone fino alla fine della tragedia e lì si risveglia a distanza di qualche ora. Intorno a lei c’è solo l’azzurro del mare, i detriti trasportati dalla corrente e un incredibile York, rimasto vivo nonostante tutto. Ed è adesso che inizia davvero la storia di Ginevra, la donna dell’alta società milanese cresciuta negli agi e circondata dalla servitù, naufraga su un gommone di lusso in mezzo all’Oceano, trascinata dalle correnti verso l’isola di plastica.

L’isola di plastica potrebbe sembrare la storia di un naufragio come tanti altri. La storia di un naufragio avvenuto nel mondo digitale del XXI secolo, la cui vittima è non solo una donna, ma una donna incapace di fare qualunque cosa, di provare un qualsiasi tipo di sentimenti, una donna che vive ed ha sempre vissuto solo per sé stessa, l’antieroe per eccellenza. Ginevra è la protagonista assoluta, il focus attorno a cui ruota tutta la narrazione, che man mano che il romanzo prosegue si stringe sempre più su di lei in cerchi concentrici, lasciandola da sola a dominare le pagine

Il suo, inoltre, non è solamente un naufragio, ma un viaggio, un viaggio simbolico e metaforico, compiuto fisicamente, con il suo gommone, e sentimentalmente, con la sua anima. Nel viaggio fisico, Ginevra viene trasportata, suo malgrado e inerte, verso l’isola di plastica, trascinata insieme a tutti gli altri rifiuti: improvvisamente, la vita piena di lusso e di bellezza della donna si è trasformata in una vita piena di degrado, piena di spazzatura. E cos’è quell’immondizia se non tutto ciò di cui Ginevra, figlia del benessere così come tutti noi, ha riempito la sua vita precedente, consumando senza dare valore, sperperando, usando e poi semplicemente gettando via? 

Come in uno specchio deformante, la vita lussuosa di Ginevra è diventata ciò che essa in realtà è sempre stata: una vita piena solo di spazzatura, di tutto ciò che non ha valore. La sua esistenza, tutto ciò su cui basava le sue certezze e la sua vita, si è materializzata attorno a lei, nell’Oceano, in cumuli di rifiuti. Ecco ciò di cui viviamo, noi come lei: di spazzatura. 

E, come se non bastasse, della nostra spazzatura inondiamo ogni angolo del pianeta. Eppure, sarà proprio grazie a tutta quella spazzatura che l’antieroina protagonista di questo romanzo riuscirà a sopravvivere per mesi, imparando che anche il più minuscolo degli oggetti ha potenzialmente un valore inestimabile

Poi, c’è il viaggio dell’anima di Ginevra. Ella è inizialmente una donna bellissima, elegante e sicura di sé, con una vita da sogno, come ciascuno la vorrebbe; ma poi l’incubo la travolge e la fame e la stanchezza, la paura e l’impotenza la abbrutiscono: il corpo si sforma per la magrezza, la pelle si desquama, i capelli si aggrovigliano, la sporcizia e il sudore la ricoprono. Dalla condizione umana e pure privilegiata passa a una condizione subumana, degradata. Ma, paradossalmente, in questo suo abbrutimento, in questa sua regressione allo stadio animale, ella, costretta a fare i conti con sé stessa, ritrova quell’umanità che non aveva, che non aveva mai avuto e che è la sola che conta: scopre, cioè, che è capace di desiderare, di progettare e soprattutto di amare

Se quindi sotto i nostri occhi Ginevra diventa un essere degradato nel corpo, ella diventa in realtà umana nell’unico luogo in cui conta esserlo: il cuore. Ecco il viaggio dell’anima di Ginevra, dunque: un viaggio alla scoperta di sé stessa, ma soprattutto un viaggio alla scoperta della sua umanità.

L’isola di plastica di Marco Sicari ci trascina in questo viaggio impossibile, in questa deriva di degrado ambientale e umano, Terra e uomo stretti, avvinghiati insieme in un unico destino, in una lotta che è in realtà una simbiosi

Con una prosa scorrevole e avvincente, che costringe il lettore a restare incollato alle pagine, e con una protagonista da odiare e da amare insieme, ma che in fondo non è altro che lo specchio di noi stessi, relitti alla deriva in questo mondo pieno di rifiuti che non sappiamo usare e incapaci di conoscere fino in fondo le nostre potenzialità, questo romanzo ci costringe a guardarci allo specchio, a trovarci faccia a faccia con la superficialità affettiva e relazionale a cui il consumismo ci ha portato, la stessa superficialità che ha costruito le isole di plastica che galleggiano nell’Oceano Pacifico e che diventano ogni giorno più grandi.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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