12 Aprile 2023

Da Cosa Nostra a Cosa Grigia. “L’invisibile – Matteo Messina Denaro” di Giacomo Di Girolamo

di Daniele Di Martino

Si è comunemente portati a pensare che i grandi avvenimenti capitino in giorni speciali, magari in concomitanza di ricorrenze significative che ne accrescano il valore intrinseco e che incidano in modo indelebile quella particolare data nella memoria, per sempre. In realtà accade raramente, ed è così che l’arresto di Matteo Messina Denaro, ultimo capo di Cosa Nostra, inserito dall’FBI tra i cinque latitanti più ricercati al mondo, avviene il 16 gennaio 2023, a pochi mesi dal compiere 30 anni di latitanza, in un normalissimo lunedì mattina e senza che ce ne fosse il minimo sentore.

Da quel momento sono nati decine di dibattiti: è stato un successo delle forze dell’ordine o ha scelto di farsi prendere perché malato terminale di cancro, che necessita di costose cure? Forse si è trattato di un’ultima beffa nei confronti dello Stato? La sua cattura segna la fine di Cosa Nostra o, come nel caso di Riina, è stato consegnato da chi vuole succedergli? Al momento non è dato saperlo.

Quel che è certo, però, è che l’arresto di Messina Denaro pone fine a uno dei più lunghi e sanguinosi capitoli della storia di Cosa Nostra, e ci dà l’occasione per guardarci indietro e riannodare i fili di ciò che è stato, dei responsabili e dei correi di un periodo caratterizzato dal dominio dei corleonesi.

L’arresto di Matteo Messina Denaro

Un buon punto di partenza ce lo offre il giornalista Giacomo Di Girolamo con il suo L’invisibile – Matteo Messina Denaro, edito dal Saggiatore. Un libro inchiesta che l’autore, rivolgendosi allo stesso boss, definisce una «sorta di piccola enciclopedia della mafia che ho compilato in questi anni – della mafia delle mie, delle nostre parti –, con nomi e fatti, e cifre e date, (in cui) ti vedo, vedo te che sei il motore immobile di tutto quello che ho raccontato, affari e orrori».

Un libro, già pubblicato nel 2010 e oggi completamente riscritto e aggiornato alla luce di nuovi dati e nuove informazioni, che parla di mafia in modo atipico già nella sua impostazione. Non si tratta, infatti, di una fredda cronaca in rigoroso ordine cronologico. Di Girolamo immagina invece una chiacchierata con il boss, durante la quale lo chiama semplicemente “Matteo”: un tentativo, a mio avviso riuscito, di smitizzare la figura «dell’imprendibile e potente ultimo capo della mafia».

Giacomo Di Girolamo

Con questo espediente, l’autore racconta la carriera del boss dentro Cosa Nostra: da giovane killer spietato e amante della bella vita a erede, pur da secondogenito, del padre, già influente capo mafioso; dal riconoscimento come pupillo di Riina all’inizio della latitanza, durante la quale scala rapidamente le gerarchie dell’organizzazione, sino a diventarne uno degli elementi di spicco prima e capo indiscusso poi. Una carriera che lo vede non solo presente ma anche protagonista delle varie stagioni di trasformazione che Cosa Nostra ha subito dalla presa del potere dei corleonesi di Riina ad oggi, passando per la reggenza di Provenzano.

 Esaminando documenti scritti a lui attribuiti, ne emerge un Messina Denaro che vede sé stesso come un boss lontano dagli stereotipi mafiosi: moderno e dai gusti raffinati, attratto dal lusso, vestiti di alta sartoria e donne bellissime, amante della letteratura e della cultura al punto da citare la Bibbia e Pennac nei suoi “pizzini”. Una sorta di salvatore della Sicilia, un visionario benefattore che si sente ingiustamente perseguitato dallo Stato. Persecuzione che considera un peso che egli accetta come l’inevitabile fardello dei grandi uomini destinati a grandi imprese, incompreso e calunniato. Un’immagine folle della realtà che egli vede riflessa in uno specchio distorto.

Tuttavia, pagina dopo pagina, rimuovendo gli strati di quest’immagine mitizzata, l’analisi di Di Girolamo ci restituisce la sua vera natura: quella di un mafioso senza scrupoli, sadico e sanguinario, capace di macchiarsi di ogni genere di crimine, compreso sciogliere le sue vittime nell’acido e vantarsi che, con le persone che ha ammazzato, potrebbe riempirci un cimitero.

Matteo Messina Denaro

Da questa ricostruzione dell’ascesa di Messina Denaro nasce una narrazione in cui Di Girolamo sfrutta la figura del boss di Castelvetrano per parlarci più ampiamente della storia della mafia degli ultimi quarant’anni. Un lavoro certosino e a tratti maniacale, con il quale ricostruisce i fatti, e non solo quelli di sangue, noti e meno noti.

Di Girolamo fa nomi e cognomi. Tracciando fili apparentemente invisibili, collega tra di loro fatti e persone che sembravano slegati e riesce, infine, a comporre una figura finalmente nitida e completa.

Il quadro che ne emerge è impressionante anche per il lettore più informato: l’autore ci mostra come nel corso degli anni, anche per volontà dello stesso Messina Denaro, Cosa Nostra si sia adattata ai tempi moderni. Non più “semplicemente” collusa con i mondi della politica e dell’imprenditoria, ma fusa con essi, fino a divenire un’entità ibrida dai contorni sempre più sfumati e indefiniti che Di Girolamo definisce “Cosa Grigia”.

Ilustrazione di Valentina Vinci

Ci troviamo davanti, così, a un’operazione di inabissamento dopo l’eclatante epoca stragista, una sorta di normalizzazione della mafia, resa possibile anche grazie a una sterminata quantità di imprenditori e professionisti insospettabili che, al momento del bisogno, si mettono a disposizione, appianando in modo discreto ed efficace qualsivoglia problema o intoppo che possa ostacolare gli obiettivi dell’organizzazione.

Di Girolamo chiude, infine, con una riflessione amara, che farà forse storcere il naso ai più, ponendo l’accento sulla silenziosa collaborazione di tutti gli onesti cittadini siciliani, avvenuta ogni volta che ci siamo rivolti ai sopra citati politici, imprenditori e professionisti, spesso chiacchierati, sebbene fino a quel momento non indagati. Ogni volta che abbiamo utilizzato strutture notoriamente legate a loro per delle nostre normali attività di svago, o magari anche per manifestazioni benefiche, umanitarie e persino nell’ambito della lotta alla mafia e al racket. Ogni volta, insomma, che non ci siamo posti troppe domande.

Illustrazione Giorgio De Marinis

«Noi siciliani oggi siamo come depotenziati. Siamo di sale, appunto. Non siamo morti, ma neanche vivi. Versiamo in una specie di indeterminato letargo, convinti che prima o poi tutto questo passerà, che tanto c’è sempre una via di salvezza, che la mafia riguarda sempre altri, che il più grande degli scandali pubblici non è minimamente paragonabile al più piccolo dei benefici individuali. Educhiamo i nostri figli a essere intelligenti, ma coltiviamo la speranza che diventino, più che altro, furbi.» A chi consiglio, dunque, la lettura di questo libro? A tutti. A ogni singolo siciliano (e non) che si dichiari onesto, e soprattutto a coloro che, come il sottoscritto, ritengono di fare quotidianamente tutto il possibile per dissociarsi da qualsiasi azione o evento legati alla mafia. Un libro necessario, che racconta la storia recente di Cosa Nostra e le sue trasformazioni. Che tenta di definire i contorni e le caratteristiche di ciò che è divenuta oggi, per poterla riconoscere e contrastare con un’antimafia che non usi armi e strategie desuete, demagogiche e legate al passato, ma che possa trovarne di nuove, più moderne ed efficaci.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Daniele Di Martino

In antitesi con la natura tecnica dei suoi studi e del lavoro svolto, si appassiona alla lettura di romanzi thriller, spionaggio e azione. Nel tempo amplia le proprie letture a molti altri generi, sviluppando in particolare una forte passione per saggi e romanzi di storia contemporanea, distopici e ucronici.

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