Si insinua a causa di una frase mozzata, perché una testa si inclina in avanti e torna indietro con un movimento quasi impercettibile e tutto cambia. È solo un istante, è una fantasia che nel pensiero si somma a un fatto reale, a un’immagine catturata accidentalmente, mentre gli occhi distratti si muovono: così quell’immagine inciampa in quella fantasia e le due cose nella memoria si sommano e confondono, diventano indissolubili e la verità rimane sul fondo senza più fiato, annacquata e poi annegata e il suo corpo esanime si frantuma in milioni di pezzi minuscoli. Chi può ricomporre il puzzle?
Aspettavo in macchina che mio padre tornasse, aspettavo in cucina, la finestra era aperta e uno zingaro chiedeva l’elemosina, aspettavo tornasse mia madre con un pacco di pasta da donargli: una mano amata ha afferrato il mio polpaccio, una mano sconosciuta mi ha strattonato verso la finestra; una voce bassa e perentoria mi accusava, un dito sulle labbra a intimare il silenzio, a coprire una bocca piena di denti d’oro. Quando la nebbia si addensa intorno alla mia mente quella voce di urlo sussurrato, di rimprovero e di scherno, torna, mi perseguita, non riesco a distinguere neanche una parola, eppure mi atterrisce e calco i piedi sul pavimento per sentire la terra e ritornare al presente. Quando il sole è accecante, ritorno a quel raggio di sole che violento mi colpiva gli occhi attraverso il vetro che spingevo per salvarmi.
Cosa c’è di vero in queste immagini che ritornano prepotenti quando sono più vulnerabile? Mamma raccontami la verità, io non l’ho mai saputa.
Il sospetto è un film scritto e diretto dal danese Thomas Vinterberg, presentato al festival di Cannes nel 2012, dove Mads Mikkelsen ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile.
Il film inizia con un uomo nudo, in sovrappeso, ubriaco, che corre su una passerella di legno in mezzo a una foresta e si tuffa in acqua goffamente. Gli amici ugualmente ubriachi ridono, scherzano, e anche Lucas, il protagonista, si tuffa in acqua completamente vestito: festeggiano la fine di una battuta di caccia al cervo. È novembre. Un altro corpo nudo ma assolutamente inopportuno, tanto da essere repellente, è lo spettro intorno a cui si costruisce la realtà irreale che mantiene alta la tensione del film.
Lucas è separato dalla moglie, che si sottintende problematica, e sta per ottenere che il figlio adolescente vada a vivere da lui: il ragazzo non desidera altro. Lavora in un asilo e i bambini lo adorano, in particolare Clara, la figlia del suo migliore amico. La bambina trova in Lucas un rifugio ogni volta che i genitori si accapigliano, la dimenticano a scuola o al supermercato, e lui è sempre lì che le tiene la mano e l’accompagna a casa. Guarda la strada in modo che Clara possa stare attenta a non pestare le linee del marciapiede.
A guidare entrambi, precedendoli di qualche passo, la cagnolina Fanny. Clara adora Fanny ed è innamorata di Lucas, così si decide a dichiararsi con un regalo e un bacio sulle labbra. Dolcemente, Lucas la respinge, cerca di farle capire che quel bacio non va bene.
È dicembre, il Natale si avvicina, Clara gioca con la realtà per un attimo, è solo uno scherzo, è solo un dispetto, ma gli adulti le credono e la realtà precipita e si perde, neanche lei la ricorda più. Almeno per un po’. Il mostro ha un volto che era tanto caro e familiare, il mostro va prima isolato, poi torturato e ucciso.
Lo spettatore conosce tutta la verità, la conosce nel dettaglio, conosce il meccanismo che si è innescato nella mente della bambina, da dove la fantasia prende forma, quale immagine ha associato a un fatto mai accaduto e del quale non ha alcuna coscienza e comprensione. Eppure sente incombere sulle spalle e sul petto il sospetto insostenibile del crimine abominevole. Non è il buio a essere premonitore, ma una luce accecante che cancella i lineamenti, e proprio quando i battiti ricominciano a essere regolari, uno sparo distrugge il silenzio alle prime luci dell’alba.
© Riproduzione riservata.
Il nostro giudizio
Nata ad Avola il 3 settembre 1994 si è diplomata al liceo scientifico Ettore Majorana nel 2013. Si è iscritta in giurisprudenza e ha studiato per tre anni con abnegazione e ottimi risultati prima di affrontare una crisi definibile identitaria che l’ha riportata alla passione più profonda che ritiene coincidere con la sua natura: la letteratura.
Potrebbe interessarti: