16 Aprile 2022

The Adam Project

di Antonio Messina

Quando si decide di scrivere e produrre un film basato sui viaggi nel tempo è giusto tenere conto di determinati concetti che, per quanto inverosimili possano essere, ci diano una parvenza di plausibilità. La letteratura, il cinema e perfino i videogiochi ci hanno chiaramente fornito tutti gli strumenti necessari per mettere in piedi una storia che possa funzionare. Di solito, se si escludono le storie in cui il tempo ha le caratteristiche di un loop che si ripete o di un fiume che si dirama senza mutare il proprio corso principale, la forma più classica è quella in cui cambiando gli eventi del passato si cambiano anche quelli del futuro. Cosa succede, però, quando neanche questo viene preso in considerazione? Viene prodotto un film come “The Adam Project”.

The Adam Project, diretto da Shawn Levy (2022).

ll 2050 è l’anno in cui i viaggi nel tempo sembrano essere diventati ormai una tecnologia di ordinaria amministrazione, gestita, ovviamente, da agenzie governative molto grandi e potenti per il bene del mondo. Ma Adam Reed (Ryan Reynolds) non sembra pensarla allo stesso modo e decide di rubare il proprio jet per indagare su un misterioso avvenimento accaduto nel 2018. Tuttavia, durante il salto nel tempo – braccato dai responsabili della stessa agenzia per cui lavora – l’uomo si ritrova nel 2022. Ed è qui che incontra la versione dodicenne di sé stesso (Walker Scobell), che in quel momento sta facendo i conti con la morte del padre, Louis (Mark Ruffalo), riversando il proprio dolore sulla madre, Ellie Reed (Jennifer Garner). Il piccolo Adam si ritrova di fronte, così, non solo un uomo che proviene dal futuro, ma una versione di sé stesso che sembra aver vissuto una vita stupefacente e sulla quale fino a quel momento aveva semplicemente potuto fantasticare, grazie a tutti i film e i videogiochi di fantascienza con i quali è cresciuto. Purtroppo, l’Adam adulto non è lì per parlargli delle meraviglie di un futuro che meraviglie sembra averne poche: il suo scopo è quello di trovare la moglie, Laura (Zoe Saldana), apparentemente morta per mano della stessa agenzia governativa per cui entrambi lavorano.

Prodotto da Netflix, “The Adam Project” si presenta come un film di fantascienza eccellente e con un cast letteralmente stellare, composto da attori che hanno quasi tutti interpretato almeno una volta il ruolo del supereroe. Ma se qualche nome famoso sulla locandina basta ad attirare il pubblico, non è detto che il risultato finale sia altrettanto eccellente. Anzi: Ryan Reynolds, da quando ha interpretato Deadpool, sembra essere rimasto intrappolato nel ruolo di eroe dalla battuta pronta; apparentemente imbattibile, ricco di risorse e in grado di affrontare qualunque minaccia come se non questa non fosse realmente tale. A salvare un po’ il tutto è la razionalità dei personaggi di Laura e Louis, che sembrano voler costantemente riportare con i piedi per terra il protagonista, per stemperare l’atmosfera supereroistica che traspare continuamente dalla pellicola. Ma i problemi di “The Adam Project” non sono solamente legati alla figura del protagonista che sembra un mix tra lo Star Lord di “Guardiani della Galassia” e il già citato Deadpool: il film di Shawn Levy, purtroppo, come anticipavamo all’inizio, ha delle carenze imperdonabili a livello di logica. E mentre tutti quelli che fino a ora lo hanno elogiato come il nuovo “Ritorno al Futuro”, a noi sembra che di questa saga il film non abbia capito nulla.

Senza andare a svelare il finale, quella che ci viene presentata è una conclusione che si beffa dello spettatore, dandogli la sensazione che non sia cambiato realmente nulla e che quelle due ore di film siano state del tutto superflue. Sembra quasi che la sceneggiatura sia stata scritta con la presunzione di far vincere i buoni, a discapito della coerenza narrativa. Il finale, diciamolo pure, esclude perfino la possibilità di produrre dei sequel che possano effettivamente funzionare, a meno che non si vogliano semplicemente esplorare gli eventi che hanno portato il 2050 a essere un futuro “à la Terminator” di cui in “The Adam Project” non vediamo praticamente nulla, decontestualizzando così quasi del tutto le origini dei personaggi e dei conflitti in cui sono coinvolti.

È pur vero che il cinema e la televisione ultimamente ci hanno dato un’idea dei viaggi nel tempo a livello fisico e scientifico più che plausibile: “Ritorno al Futuro”, “Dark” e “Tenet”, ad esempio, ci suggerivano che cambiare gli eventi passati della propria linea temporale ha conseguenze di rilievo sul futuro o che per far sì che qualcosa avvenga è per forza necessario che altri eventi si scatenino, per quanto nefasti possano essere; “Avengers Endgame”, invece, ci parla di linee temporali parallele generate dai cambiamenti, lasciando in qualche modo intatta la linea temporale principale, introducendo così il concetto di Multiverso. In “The Adam Project”, non solo il concetto di multiverso viene esplicitamente escluso, ma i cambiamenti del passato sembra che non sortiscano alcun effetto sul futuro di alcuni personaggi. Quello che il film non ci dice, quindi, dovrebbe dedurlo lo spettatore, oppure semplicemente non si è tenuto conto del fatto che adesso il pubblico si aspetta una spiegazione logica: perché va bene la sospensione dell’incredulità, ma essa non può escludere del tutto il meccanismo più naturale della coerenza narrativa che rende credibile la storia stessa, per quanto sia basata su una tecnologia attualmente non esistente. Che sia proprio questo, alla fine, il problema? Forse è il pubblico che si aspetta troppo, arrivati a questo punto, dai film incentrati sui viaggi nel tempo?

“The Adam Project” è, in definitiva, un film di fantascienza che strizza l’occhio principalmente a “Star Wars” e molti altri film di genere; ricco di umorismo e scene d’azione di grande effetto, con effetti speciali impeccabili. Non manca la parte più sentimentale, in cui Levy esplora il rapporto padre/figlio con l’espediente del confronto tra le due versioni dello stesso personaggio, dove, anche se per un breve periodo, la versione adulta di Adam tenta di sopperire alla mancanza del padre, cercando di aiutare il sé stesso dodicenne a non farsene sopraffare. Ma oltre questi elementi, insufficienti per far venire allo spettatore la voglia di volerne sapere di più, il film non ha realmente molto da offrire, a parte il pericolo che stia per venire fuori un nuovo franchise degno dei peggiori blockbuster hollywoodiani.

© Riproduzione riservata.

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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