Nemo Nobody (Jared Leto), un perfetto signor nessuno, si risveglia in un letto d’ospedale e si guarda attorno: ogni cosa è illuminata di un bianco abbacinante e asettico. Un uomo con degli strani tatuaggi sul volto, che richiamano i test di Rorschach, lo osserva e lo invita a ricordare. Chi è? Dove pensa di trovarsi in quel momento? Ma Nemo, guardandosi le mani e intravedendo il proprio volto su uno specchio, fa fatica a rispondere in maniera razionale. Per lui è il 2009 e ha ancora trentaquattro anni. In realtà, gli fa presente il dottore, l’anno è il 2092 e Nemo ha 118 anni. E, cosa più importante di tutte, appartiene a una categoria di esseri umani che non esiste più da tempo: è l’ultimo mortale rimasto in vita sulla Terra. Si presenta così il mondo in cui si risveglia il protagonista del film: una società che ha dimenticato ormai le guerre, il lavoro e la preoccupazione per la morte, al punto tale da aver reso obsoleto l’atto sessuale, non solo con lo scopo di procreare, ma anche per il semplice piacere. Nemo non riesce a riconoscersi in sé stesso e in questa utopia malata in cui si è ritrovato. E mentre la società è chiamata a scegliere, come se si trattasse di un gigantesco Grande Fratello, se far morire Nemo o dargli l’immortalità, egli ricorda. Ricorda, principalmente, di essere sempre stato costretto a scegliere, condannato dalla consapevolezza che tutto rimane possibile finché non si prende una decisione.
Inizia così uno dei film di fantascienza più emblematici e meno conosciuti in Italia, con protagonista il frontman dei 30 Seconds To Mars. Forse uno degli ultimi film a cui Jared Leto abbia preso parte e che valga la pena di vedere, prima che l’attore sprofondasse – da Blade Runner 2049 in poi – in ruoli sempre meno convincenti, impantanandosi sempre più nelle vesti di antieroe o antagonista. Infatti è evidente il salto nel vuoto compiuto dall’attore, che è passato da film come Requiem for a Dream o Alexander, per poi arenarsi con Morbius.
Con Mr. Nobody Leto riesce a immergere lo spettatore nella complessa storia imbastita da Jaco Van Dormael, che nulla ha da invidiare a Inception di Nolan, per quanto la parte fantascientifica tocchi solo l’inizio e la fine della pellicola. Con un espediente narrativo originalissimo, infatti, fin dall’inizio del film scopriamo che Nemo ha la facoltà di vedere le conseguenze di ogni scelta che è chiamato a compiere, nella consapevolezza che, finché non si sceglie, tutto rimane possibile. Sarebbe troppo semplice dire che Nemo ha la facoltà di vedere il futuro, si rischierebbe di non rendere bene l’idea di quanto sia complesso davvero il film. Lo spettatore, infatti, si ritrova a osservare la vita di Nemo divisa su tre binari differenti, che altro non sono che i percorsi che si dipanano da altrettante differenti scelte possibili.
Il montaggio, come possiamo immaginare, non è per niente lineare e risulta quindi complesso seguire la storia e afferrarla del tutto in una sola visione. Le tre vite ipotizzate da Nemo scorrono alternandosi tra di loro, ora confondendosi, ora mostrandoci altrettante alternative derivate da una decisione presa al posto di un’altra, ora tornando addirittura indietro, come se la mente di Nemo fosse in grado di riavvolgere il tempo e cambiare totalmente il corso degli eventi. A questo dobbiamo aggiungere gli intermezzi filosofico-metafisici, narrati dall’ancora trentaquattrenne Nemo in un programma televisivo, che tentano di contestualizzare quello che lo spettatore sta osservando e, al contempo, cercano di interrogarlo sui misteri più complessi e in apparenza irrisolvibili con cui l’essere umano si è da sempre dovuto confrontare, dal Big Crunch alla Teoria delle Stringhe. Incredibile, a pensarci, quanto possano risultare inutili certi quesiti nel contesto del film, se si considera che alla fine l’essere umano riuscirà a risolvere tutto con il “semplice” raggiungimento dell’immortalità.
Oltre a un montaggio originalissimo e intelligente, che suggerisce la cura messa dal regista per questo progetto, il film si concentra molto sull’aspetto fotografico, dando allo spettatore la possibilità di riconoscere immediatamente le tre vite di Nemo con un saggio uso dei colori. Gli abiti dei tre personaggi femminili, inoltre, segnano delle nette distinzioni non solo sul piano visivo, ma anche su quello interiore: Anna (Diane Kruger), Elise (Sarah Polley) e Jeanne (Linh Dan Pham) indosseranno sempre vestiti dello stesso colore, per far sì che sia chiaro fin dal principio quali siano le loro caratteristiche comportamentali e sentimentali. Comprendiamo, grazie a queste differenze cromatiche, come le donne interagiscano con la realtà circostante; la loro capacità, in maniera più o meno superficiale, di fare introspezione ed eventualmente maturare, pur conservando delle caratteristiche di partenza, mantenendo così una coerenza narrativa. Capacità, questa, che pochi sceneggiatori ormai riescono ad avere.
Un ultimo aspetto importante del film è la colonna sonora. Composta dal fratello del regista, Pierre Van Dormael, tocca punte di commozione appagante e alterna diverse versioni di Mr. Sandman del trio The Chordettes degli anni ’50. Versioni che si adattano al periodo attraversato da Nemo in quel momento e ai suoi comportamenti, attraversando le varie età della vita. La scelta di questa canzone non è per niente scontata e ci suggerisce quella che potrebbe essere la vera natura del film.
Mr. Nobody in Italia esce in ritardo rispetto agli Stati Uniti: nonostante sia stato presentato al 66° Festival di Cannes e abbia vinto due premi, diventando un film di culto tra gli amanti del genere fantascientifico per la sua capacità di mescolare filosofia, fantascienza e dramma in quasi tre ore di suspance, nessuno è riuscito a ottenerne i diritti fino al 2016. Diciamo le cose come stanno però: le case di distribuzione italiane non avevano alcun interesse per la pellicola, bistrattata e ignorata. L’interesse è scattato qualche anno dopo, quando su YouTube è comparsa una versione integralmente doppiata in italiano. Raicom ha preso al volo l’occasione, distribuendo il film nel paese “solo” sette anni dopo l’uscita effettiva.
Nonostante queste magagne, sintomo di un cinema ancora incapace di riconoscere il potenziale di una pellicola e più interessato al guadagno, ad oggi Mr. Nobody è un film che ha molto da comunicare allo spettatore. Il progetto di Jaco Van Dormael non è una storia sdolcinata per passare due ore e mezzo in tranquillità e relax, bensì un storia che vuole penetrare dentro l’animo di chi la guarda, nel tentativo di fornire gli strumenti necessari per osservare la vita con più attenzione. Nel ripercorrere gli eventi che lo hanno portato fino ai 118 anni, Nemo si interroga sul senso della vita, sull’irripetibilità dei gesti, su come una piccola azione possa portare a conseguenze di grande impatto anche a distanza di decenni. Che, per quanto tutto sembri in balia del caos o del caso, ogni cosa è, in realtà, in qualche modo collegata.
Il finale ci regala uno dei momenti più alti della pellicola stessa in una scena che sembra confermare e al contempo contraddire l’intero film, lasciando di sasso lo spettatore mentre ancora si chiede cosa, esattamente, abbia visto fino a quel momento.
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Il nostro giudizio
È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.
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