17 Dicembre 2022

Molto più di un semplice omaggio. “Black Panther: Wakanda Forever”, regia di Ryan Coogler

di Antonio Messina

Ne è passata di acqua sotto i ponti dall’uscita di Avengers: Endgame. Dei supereroi più iconici rimane ben poco, se non qualche membro sparuto che con la sconfitta di Thanos si è dedicato ad altre avventure, lasciando spazio alle nuove leve, quali Spider-Man, She-Hulk, Moon Knight e diversi altri. Tuttavia, tra le tante morti e/o scomparse, sia nel mondo reale che in quello immaginato da Kevin Feige, quella di Chadwick Boseman, interprete di Pantera Nera, ha fortemente scosso tanto il pubblico quanto il mondo del cinema per il modo inaspettato in cui è avvenuta.

L’improvvisa scomparsa dell’attore ha diviso in due gli spettatori: ricordando i diversi cambi di interpreti lungo i dieci anni precedenti per personaggi come Hulk, War Machine e il generale Ross (che verrà riportato sulla scena da Harrison Ford in Thunderbolts), in molti hanno espresso il desiderio di continuare a vedere T’Challa interpretato da un altro attore. Altri, invece, consapevoli dell’impatto che Boseman ha avuto nella rappresentazione del suo personaggio e che sostituirlo sarebbe stato un sacrilegio tale e quale al  far interpretare Tony Stark a qualcuno che non fosse Robert Downey JR., avrebbero preferito un passaggio di testimone che vedesse magari il ritorno di Killmonger, N’Jadaka, impersonato da Michael B. Jordan. Avrebbe avuto senso: con l’apertura del Multiverso la ricomparsa di questo personaggio poteva benissimo essere messa in scena. Ma non è andata in nessuno dei due modi. Per fortuna.

Parlare di Black Panther: Wakanda Forever senza dire che si presta a essere prima di tutto un sentito omaggio all’attore scomparso sarebbe impossibile. E il film, in questo, riesce perfettamente. Al contrario di molti altri che ne stanno scrivendo, però, noi vogliamo precisare una cosa: non è TUTTO il film a essere un omaggio a Chadwick Boseman. Senza dubbio l’intera pellicola si concentra sull’assenza della figura della Pantera Nera, ma a conti fatti, sulle quasi tre ore di film, questa operazione si riduce effettivamente a un paio di scene iniziali. Il resto è altro.

Come in molti hanno potuto constatare già dai trailer, il film si apre proprio con la morte e il funerale di T’Challa, un momento che in sala ha visto commuoversi diverse persone per l’impatto di alcune sequenze e, come dicevamo sopra, per ciò che ha significato la presenza di questo personaggio, da Captain America: Civil War fino ad Avengers: Endgame. Ma la vita deve andare avanti e la nazione più potente del mondo, il Wakanda, si ritrova adesso senza un difensore e, dunque, apparentemente vulnerabile. Gli Stati Uniti e l’Europa, nonostante il Wakanda si sia rivelato al mondo, protestano perché esso continua a non voler condividere il vibranio, il metallo che ha permesso alla  nazione di crescere a livello tecnologico, diventando a tutti gli effetti potentissima. Il perché è presto detto: come molte delle culture africane o sudamericane, che hanno un forte legame con la natura e danno valore alla vita così come alla morte, gli abitanti e i regnanti del Wakanda conoscono l’avidità degli uomini degli altri continenti e sanno che mettere il vibranio in mano a questi individui non è una buona cosa. Mentre questo metallo, infatti, viene utilizzato da loro come fonte di crescita ed evoluzione, gli altri paesi lo utilizzerebbero invece solo per costruire armi di distruzione di massa. Niente vibranio, quindi, al di fuori del Wakanda.

Ovviamente, le istituzioni governative del mondo non si fermano e trovano parte di questo metallo in fondo alle acque dell’oceano, senza sapere di star minacciando, così, un’altra nazione: Talokan, che ci viene presentata da Namor, il regnante di questo impero sottomarino nato dalle ceneri di una civiltà minacciata dai conquistadores spagnoli. Non andremo troppo oltre riguardo questo aspetto del film, per non fare  spoiler. Quello che possiamo dire è che scenografi e sceneggiatori hanno saputo fare un lavoro a nostro parere eccellente nella rappresentazione non solo della città sottomarina, della sua cultura e dei suoi costumi – letteralmente -, ma anche nella caratterizzazione del regnante, Namor, che è di fatto il villain dell’intera pellicola. 

La direzione presa dalla Marvel è molto semplice e al contempo funzionale: nei fumetti, Namor è il regnante di Atlantide, ma per non confondere gli spettatori che hanno già visto la città in Aquaman (James Wan, 2018), ne hanno cambiato le origini dandole un nuovo nome, un nuovo contesto e un significato differente rispetto al nome del suo re. Non si tratta di non rispettare le radici di una nazione o di un personaggio, ma di riuscire a mantenere un’identità e una simbologia che, anche con dei piccoli cambi di rotta, non rischiano di far affondare la pellicola. Anzi, il tutto è perfettamente incastonato. La presenza scenica di Namor è, in alcune scene, molto impressionante e le sue movenze ci sono sembrate abbastanza credibili.

Black Panther: Wakanda Forever, dunque, si erge su due piloni fondamentali: la mancanza di un protettore e l’orgoglio di due nazioni che, pur di non perire una sotto il piede dell’altra, sono disposte a combattere e a difendersi con le unghie e con i denti. Due elementi che il regista e gli sceneggiatori sono riusciti a tenere su per tutta la durata del film, senza lasciarsi prendere la mano dall’operazione nostalgia nella quale si sarebbe rischiato di inciampare più e più volte, concentrandosi di più sull’originalità della storia e l’introduzione di un nuovo impero di cui, molto probabilmente, sentiremo ancora parlare. Sicuramente rivedremo in un futuro non molto lontano l’affilata delicatezza di Talokan affiancata dalla furia del Wakanda.

Il tono della pellicola punta molto meno all’ironia rispetto agli altri film del Marvel Cinematic Universe e sono diverse le scene che tengono incollato lo spettatore per il forte impatto drammatico. Il film, però, ha un elemento in comune molto importante con le pellicole precedenti: introduce due personaggi, Namor, come dicevamo, e Iron Heart. Quest’ultima, della quale assistiamo alle origini qui, verrà poi approfondita in una serie tv a lei dedicata nel corso del 2023 e scommettiamo che avrà un ruolo importante nei prossimi due film corali che chiuderanno questa nuova saga, nel 2025, in quanto dal nome stesso intuiamo possa essere in qualche modo collegata al defunto Iron Man. Una buona occasione, tra le altre, per introdurre nuovi villains ed eroi.

Una nota di merito, riconosciuta già a pochi giorni dall’uscita del film in sala da diversi critici e media, va all’attrice Angela Bassett, che interpreta Ramonda, la Regina del Wakanda: nei panni di una madre affettuosa e protettiva, nonché protettrice del suo popolo in assenza di una Pantera Nera, riesce a regalarci momenti di grandissimo impatto e commozione.

In ultima analisi, possiamo definire Black Panther: Wakanda Forever un film ben riuscito e dalla trama solida. Se la storia non è poi la più delle originali e la pellicola avrebbe avuto pressappoco lo stesso impatto durando qualche minuto in meno (una delle ultime dichiarazioni del regista ci parla di un film in origine lungo oltre quattro ore), i protagonisti e i loro interpreti riescono a dare voce a quelle che ancora oggi sono considerate delle minoranze che non godono pienamente dei diritti che dovrebbero far sì che l’umanità diventi un’entità unica a prescindere dalla razza, dal sesso, dall’orientamento politico o dalla religione. Non parliamo certo di un film d’autore e l’obiettivo ultimo della pellicola non è quello di cambiare le sorti di un continente o del mondo intero, ma sicuramente la visione di Wakanda Forever può essere un ottimo spunto di riflessione.

E magari immaginare che “Wakanda per sempre!” non sia solo il grido di battaglia di una nazione inventata, che esiste solo nei fumetti o nei film, ma che possa esserlo un giorno per tutti quanti.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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