9 Ottobre 2021

Il testimone di James Bond. “007 – No time to die”, regia di Cary Fukunaga

di Giada Di Pino

L’ennesimo film del più famoso agente segreto del mondo è giunto nelle sale cinematografiche italiane con grande trepidazione da parte dei suoi fan. 

La pellicola si apre con le sequenze idilliache di una storia d’amore e quotidianità familiare, la vita tranquilla e felice che James Bond, interpretato ancora una volta da Daniel Craig, ha finalmente meritato, dopo le numerose missioni impossibili quasi al limite con la morte che lo hanno portato a sventare minacce globali di ogni tipo. Ma la felicità non è per gli eroi e il tradimento è sempre dietro l’angolo, l’amore è sempre irraggiungibile, non esiste

Dopo l’ennesima delusione, mentre ancora M (Ralph Fiennes) e l’intera Intelligence britannica lo credono morto, 007 si ritira in Giamaica, lontano da tutti, lontano dal mondo di segreti, minacce e pericoli in cui ha sempre vissuto, ad attendere la sua meritata vecchiaia. Finché quel mondo non lo raggiunge anche lì, prima nei panni del collega e amico americano Felix Leither (Jeffrey Wright), accompagnato da una giovane e buffa recluta di nome Ash (Billy Magnussen), e poi dal suo doppio, dalla sua eredità: l’agente scelto Nomi, 007

Ancora una volta il passato si mescola al presente, la pace agognata non può essere raggiunta, il mondo necessita di James Bond per essere salvato, stavolta da un virus letale che si diffonde tramite nanodroidi programmabili sul DNA.

Un James Bond nuovo e vecchio insieme, questo che ci propone il regista Cary Fukunaga, elementi che si condensano nella presenza del passato e del futuro nello stesso film, uniti dal nome unico di 007: il vecchio, grandioso, appassionato e leale, fiero e ribelle James Bond e la giovane e ambiziosa sudafricana Nomi

Come un’eredità, quella raccolta da Nomi e che il finale del film suggerisce. Un’eredità che passa dal maschio bianco forte e valoroso, l’europeo che ha dominato secoli e secoli di storia, alla donna di colore, determinata e indipendente, che mostra tanto talento, tanta intelligenza, tanta dedizione quanto il primo, e che mette tutti, uomini e donne, europei e africani, nordici con capelli biondi e occhi azzurri e mulatti bruni dalla pelle scura, sullo stesso piano

Un ennesimo grido, un ennesimo inno all’uguaglianza. Ma se il futuro dell’eroe Bond è in Nomi, allora esso è anche nella piccola Matilde, la bambina dagli enormi e profondi occhi azzurri in cui egli vede sé stesso, il suo riflesso allo specchio, l’eredità non della sua missione, ma della sua umanità, della sua anima, del suo essere, nonostante tutto, un uomo come tutti gli altri. 

Un James Bond che scende, quindi, finalmente dal suo piedistallo per tornare a essere uomo. Ma un James Bond a cui non è dato di avere futuro, perché gli eroi non possono essere nient’altro che eroi, e tali devono rimanere, impressi nella nostra memoria.

Che dire del virus nanotecnologico incurabile e irreversibile capace di distruggere la popolazione mondiale, colpendo non a caso, ma in maniera assolutamente mirata e calcolata? Beh, non è difficile scorgere, oltre al solito timore della scienza usata per il male e non per il bene e dalle potenzialità sostanzialmente illimitate, il nostro recente trauma sociale (e mondiale), il Covid 19, che si ripresenta nell’immaginario collettivo ora non come un evento lontano nel tempo dal retrogusto apocalittico, ma come una realtà tangibile che ha già mostrato i suoi primi effetti, ha già compiuto la sua opera di divisione e di morte, minando la società dal suo interno. 

Come tutte le opere di consumo di massa, i film d’azione e di avventura, nella loro spudorata innocenza, sono in realtà spie – non a caso – perfette del mondo in cui viviamo, della società in cui siamo immersi, poiché fanno riferimento a quell’immaginario condiviso che è la nostra quotidianità, la nostra vita di tutti i giorni. E cosa vuole dirci allora l’ultimo film di James Bond? Che tutti i traumi collettivi, tutte le minacce globali possono essere sconfitte se le combattiamo con l’inclusione e la solidarietà, guardando al futuro con gli occhi del passato.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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