24 Settembre 2022

E se Pocahontas fosse ambientato nello spazio? Ecco Avatar!

di Antonio Messina
Avatar, regia di James Cameron (2009).

Tutti sappiamo cosa accadde nel 1492 e di come uno sventurato Cristoforo Colombo si sia ritrovato ad approdare sulla spiaggia di un continente sconosciuto, invece che in India, come aveva previsto. 

Non poteva immaginare il “danno” che avrebbe provocato la scoperta dell’America. 

Da allora, le spedizioni verso il Nuovo Continente si susseguirono periodicamente: inglesi e spagnoli, soprattutto, si ritrovarono a dividersi quelle terre sconosciute e feraci, dalla flora e dalla fauna tanto affascinanti quanto perigliose. 

Ma qualcuno già abitava quelle foreste e quelle montagne da molti secoli e ne aveva fatto la propria casa, istituendo sistemi di organizzazione civile, proliferando e fondando culti più antichi delle religioni allora conosciute.

I libri di Antropologia Culturale ci parlano di intere civiltà spazzate via con l’inganno a causa dell’ingenuità dei cosiddetti “indigeni”, di genocidi, di culti cancellati insieme a chi li aveva fondati, di numerosi e massivi processi di conversione al cristianesimo. 

Ci parlano di terre devastate, di deforestazioni, di uomini e donne ridotti in schiavitù o portati via dalla propria casa con la falsa promessa di fare ritorno con conoscenze e strumenti nuovi, per poi essere brutalmente uccisi.

Ma non tutto fu orrore e distruzione a quel tempo. Mentre i conquistatori si accingevano a colonizzare quelle terre, generando quello che di fatto oggi è un continente giovanissimo, nei primi anni del 1600 ci fu una donna che tentò di opporsi a questi terribili conquistatori. Pocahontas, figlia di Powathan, appartenente a una confederazione di più clan del popolo che viene tuttora definito erroneamente “indiano”, impedì la morte di un inglese, John Smith, garantendo così un lungo periodo di pace tra la colonia e il clan. 

Noi conosciamo questa storia grazie al cartone Disney. Già nel 1995 Pocahontas trattava temi importanti e delicati, tra questi non solo la colonizzazione e ciò che essa ha causato nel tempo, ma soprattutto il rispetto nei confronti della natura.

 Il film di cui stiamo per parlare ha moltissimo in comune con il suddetto cartone della Disney.

Il 2009 fu un anno difficile e da dimenticare per diversi fatti di cronaca che ancora oggi infestano la nostra memoria. E mentre accadeva di tutto (l’elezione di Obama a Presidente degli Stati Uniti, la morte di Stefano Cucchi in carcere, gli incendi in Australia e i distruttivi tsunami tra la Nuova Zelanda e le isole Samoa), i nostri pensieri erano comunque puntati all’avvento al cinema della nuova fatica di James Cameron: Avatar

Si presentava con la promessa di essere il film tecnicamente più impressionante e rivoluzionario del decennio. E così fu, in effetti: Avatar sbancò al botteghino grazie a una tecnologia 3D all’avanguardia, permettendo al regista di infrangere il suo stesso record, stabilito con Titanic nel 1997. Adesso, a distanza di ben tredici anni, il film torna in sala il 22 settembre, pronto a riportarci su Pandora. Questo in vista dell’uscita di Avatar: La Via dell’Acqua, il sequel che sembrava non dovesse mai arrivare e che invece si prepara, come il suo predecessore, a stabilire un altro record a dicembre.

Avatar narra le vicende di un ex-marine disabile, Jake Sully (Sam Worthington), che viene chiamato al posto del gemello scienziato deceduto a far parte di un progetto innovativo e tecnologicamente all’avanguardia, gestito dalla dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver): l’esplorazione del pianeta Pandora. Per far questo, deve vestire i panni di una creatura che ha le stesse fattezze degli indigeni che popolano il pianeta, creata in laboratorio appositamente per l’ospite. 

La coscienza di Jake quindi viene trasferita dentro un corpo del tutto simile a un Na’Vi per poter familiarizzare con il clan degli Omaticaya e dare così modo agli umani di accedere facilmente alle risorse che il pianeta offre. Senza scendere troppo nel dettaglio, possiamo semplicemente dire che la trama del film diventa intuitiva se si è già visto il sopra citato Pocahontas disneyano. Solo che qui stiamo parlando di un prodotto targato Cameron e, come è giusto che sia, dobbiamo aspettarci un altissimo livello di spettacolarizzazione ed effetti speciali, nonché una cura per il dettaglio maniacale.

 James Cameron mette in piedi un film che ci catapulta senza troppi complimenti in un mondo nuovo, vibrante e ricco di vita e cultura. Gli ambienti sono credibilissimi, la flora e la fauna sono stati disegnati per essere quanto più possibile coerenti con il pianeta Pandora, e la mimica facciale dei nativi, per il periodo in cui il film è stato prodotto, è resa alla perfezione, con espressioni che riescono a comunicare stati d’animo ed emozioni di ogni singolo personaggio: dalla preoccupazione alla rabbia, dalla felicità alla fascinazione, dalla sorpresa all’ultimo istante di vita.

Ovviamente, Avatar è anche una storia d’amore: quando Jake Sully viene ritrovato dagli Omaticaya, la figlia del capo clan riesce a salvargli la vita, dandogli la possibilità di ottenere il rispetto del gruppo. Una storia d’amore che lo spettatore riesce fin da subito a indovinare dagli sguardi tra Jake e la nativa Neytiri (Zoe Saldana) e dal loro interagire con il mondo circostante, al punto tale da portare Jake a legarsi non solo a Neytiri, ma al popolo stesso. Sarà, poi, il colonnello Quaritch (Stephen Lang) a tentare di porre rimedio laddove l’amore di Jake ha messo a repentaglio l’intera operazione di conquista.

I Na’Vi hanno una loro cultura e un loro credo, proprio come accadeva nelle popolazioni indigene del Sud America prima che gli spagnoli e gli inglesi le sottomettessero: il pianeta Pandora non è semplicemente una roccia di terra e acqua che ruota attorno a una stella, con le sue rispettive lune, ma un vero e proprio essere vivente che sembra dotato di una propria memoria, come se fosse un grande cervello vivente. Ogni cosa converge verso quello che viene definito Albero delle Anime: la natura, il corpo, la coscienza e lo spirito. E il suo potere è talmente grande e consistente nella mente di Cameron, da poter essere considerato al pari di una divinità.

Palesi, dunque, i punti di contatto tra Avatar e il cartone Disney, costringendo automaticamente lo spettatore a ricordare la storia: un pianeta incontaminato che viene colonizzato con la forza per le sue risorse, un clan che tenta di resistere all’invasione, una principessa che riesce a stabilire – seppure per breve tempo – un’alleanza tra le due civiltà. Un albero parlante che in Avatar possiamo riconoscere nell’Albero delle Anime, di cui l’uomo bianco non si cura, come non si curò dei culti preesistenti durante la colonizzazione. Un singolo uomo che pur tentando di eseguire gli ordini, da bravo ex-marine, si ritrova suo malgrado conteso tra le due civiltà, costretto a fare una scelta a discapito di una o dell’altra “razza”. Un conflitto che vede il sacrificio di moltissimi per il bene di un’intera terra.

A pensarci bene, in fondo, Cameron ha preso la storia che la Disney ha riadattato per il suo target di spettatori e l’ha a sua volta rielaborata cambiando i nomi dei personaggi e la collocazione temporale e geografica dei fatti. Il pubblico in sala, la critica e diversi esperti di cinema non solo si sono trovati d’accordo sulla somiglianza dei due prodotti, ma hanno trovato altre analogie in Aida degli Alberi. Se, quindi, la trama non è altro che una rielaborazione continua e quindi niente che lo spettatore abbia già visto, cosa ha permesso ad Avatar di avere tanto successo? L’unica cosa che resta alla fine sono tre ore di computer grafica che ci mostrano i passi da gigante che il cinema ha fatto con gli effetti speciali in quel periodo, e il potenziale che essa ha avuto in funzione dei successivi film – appena un anno prima usciva il primo Iron Man, ancora ben lontano dalla spettacolarizzazione impiegata da Cameron.

A riconsiderare oggi Avatar, quello che possiamo dire di un film che a livello di trama non ci comunica niente che già non sappiamo è che si tratta di un calco di ciò che è stato l’inizio del processo di industrializzazione dell’essere umano sulla Terra. Su Pandora, così come nelle terre del Sud America, assistiamo alla distruzione di intere foreste, con incendi che devastano terre ed esseri viventi, luoghi sacri distrutti e una popolazione costretta con la forza ad abbandonare la propria casa o a sacrificarsi per essa. Nel 2154 i Terrestri fanno quello che fecero gli inglesi e gli spagnoli nel 1500, con grandi processi di distruzione della natura in favore di una nuova realtà più evoluta e industrializzata.

 L’uomo non si smentisce e fa nello spazio ciò che ha fatto sul proprio pianeta natale. E sappiamo benissimo, se non vogliamo mentire a noi stessi, quanto male abbia causato questo processo di industrializzazione cui la razza umana è andata incontro da quel momento in poi; quanto male ha causato all’ambiente, costringendolo a fare i conti con fenomeni atmosferici sempre più distruttivi. 

Avatar si presenta a tutti gli effetti, dunque, non solo come una rilettura della storia, ma anche come una fiaba ecologista che sembra, al contempo, un monito, in vista delle non troppo lontane spedizioni spaziali verso Marte. Saremo in grado di distruggere anche gli altri pianeti del nostro stesso sistema solare, in virtù di un progresso che solo all’apparenza sembra promettere grandi cose per gli esseri umani?Il trailer di Avatar: La Via dell’Acqua ci dice pochissimo della trama del sequel, ma speriamo che Cameron non abbia preso troppo materiale in prestito da altre fonti e che, soprattutto, la pellicola non si presenti, stavolta, come una sorta di profezia.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

Leggi di più


Potrebbe interessarti: