18 Settembre 2021

Crudelia è pur sempre Crudelia. “Cruella”, regia di Craig Gillespie

di Giada Di Pino

Tutto inizia con una bambina con due particolari caratteristiche: un talento geniale per la moda e una chioma di folti capelli metà bianchi e metà neri, divisi perfettamente a metà come la sua personalità. 

Cruella ed Estella (alias, la bellissima Emma Stone) si dividono equamente anche la presenza sullo schermo, dove la prima parte del film è riservata alla storia della piccola Estella, che da bambina vivace e ribelle si ritrova improvvisamente orfana e viene accolta nel rifugio di due piccoli ladruncoli, anche loro orfani e soli al mondo, Jasper e Horace (si, sono proprio loro, gli indimenticabili Gaspare e Orazio che rapiscono i cuccioli nel lungometraggio Disney del 1961). 

È Estella che cresce rubacchiando insieme ai due, è la dolce e premurosa Estella che sogna di lavorare in un Atelier di Alta Moda, ed è lei che viene assunta, per un curioso e divertentissimo incidente, dalla Baronessa (interpretata dalla bravissima Emma Thompson), la regina indiscussa della moda a Londra, genio e celebrità di cui tutti parlano e alle cui feste tutti anelano di poter partecipare. Ed è Estella, infine, che ne conquista la fiducia e la stima

Finché il sogno idilliaco si interrompe bruscamente, le carte in tavola si rimescolano (in maniera non troppo sorprendente per lo spettatore e seguendo classici cliché narrativi, che hanno, tuttavia, il pregio di funzionare quasi sempre bene) ed entra improvvisamente in gioco Cruella. E il film, da prequel un po’ scontato che narra la tragica infanzia di uno dei più famosi villain, diventa spettacolo

Una guerra si scatena tra la Baronessa, l’indiscussa regnante sotto la cui maschera si nascondono follia e malvagità quasi parossistiche, e la giovane, arrogante e misteriosa, senza scrupoli, fanatica e ribelle, geniale e all’avanguardia arrivista che vuole a tutti i costi spodestarla: Cruella. E il tutto a colpi di abiti mozzafiato.

Come per i precedenti prequel, come per La bella e la bestia, per Aladdin, per Il re leone e Pinocchio (cito solo quelli che a mio personalissimo avviso vale la pena citare), la Disney fa certamente leva sul sentimentalismo nostalgico dei suoi fedelissimi, quelli che con gli storici lungometraggi sono cresciuti, che collezionavano videocassette e le guardavano ininterrottamente e a ripetizione, con il sottofondo di borbottii di disapprovazione dei genitori, soppiantati dal famoso marchio internazionale nella narrazione delle fiabe. 

Un’operazione che la Disney sta compiendo sistematicamente (siamo in attesa dei live action de La sirenetta e di Peter Pan) e che certamente è di natura strettamente commerciale. Tutto sommato, però, se ci si pone davanti lo schermo con quell’atteggiamento nostalgico ed emozionato di chi canticchia ancora «Tararabbumbieee» sotto la doccia, in linea di massima funziona

Non sempre, certamente. Mulan, ad esempio, ci ha fatto strappare i capelli. Ma negli altri casi si può dire che funziona. 

In Cruella funziona doppiamente. Non solo, infatti, abbiamo la leva nostalgica che ci fa balzare sulla sedia quando riconosciamo, oltre che Orazio e Gaspare, anche Anita e Rudy, villa De Mon e l’indimenticabile automobile De Ville che insegue i cuccioli di dalmata sulla neve, ma anche un nuovo tassello della narrazione: la storia di Crudelia. 

Chi era questa assassina di cuccioli, perché era ossessionata dalle pellicce e dai dalmata, da dove derivano la sua fortuna e la sua follia. E l’interpretazione di una divina Emma Stone, da cui traspare come la nostalgia dell’infanzia abbia avvolto e catturato anche lei, ce ne fa semplicemente innamorare. 

Vedere Cruella, quindi? Assolutamente sì, e nonostante qualche grossolana magagna che il film presenta (i cani palesemente digitalizzati, ad esempio). 

Basta mettere da parte ogni atteggiamento che possa essere a tutti i costi critico e regredire di qualche decina di anni per un paio d’ore.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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