4 Marzo 2023

Symphonic Hell: “Nostradamus” dei Judas Priest (parte seconda)

di Giulia Chines

Il focus del secondo disco di Nostradamus dei Judas Priest si incentra sulla storia dell’uomo che affronta il suo destino di reietto. Difatti, al termine del primo cd abbiamo lasciato un oracolo distrutto socialmente, ma sempre fedele a se stesso. Ora attraverseremo il suo viaggio sino alla morte. La solitudine dell’esilio, le visioni che non smettono di coglierlo all’improvviso, i nuovi amori e, infine, il testamento che le stesse profezie incarnano.

SECONDO ATTO

Solitude (inter.)

Un suono basso e costante. Tastiere lente che riprendono il tema fondamentale del disco. Stavolta tutto molto più malinconico, a far sentire la mancanza della moglie che Nostradamus prova. La nostalgia, la solitudine, eppure la consapevolezza di dover andare avanti. Tutto viene trasmesso solo con la musica, poiché in questo intermezzo non vi sono parole. E quali parole potrebbero in fondo descrivere davvero la solitudine? L’opprimente senso di peso sul petto che invece questa musica riesce a trasmetterci?

Exiled

Passiamo subito al primo brano di questo secondo cd: il sintetizzatore ricorda i cori della chiesa, mentre la batteria ci impone il senso di un incedere costante fuori dal conosciuto e i violini portano il senso delle parole che verranno. Il canto inizia come un lento porre le parole una di seguito all’altra, come lo strascicare stanco di chi ha perso tutto.  Rimane la consapevolezza che il viaggio deve continuare, all’alba di un nuovo capitolo, nonostante non vi sia più fede nel futuro. L’uso del verbo wonder, che è un domandarsi ma accostato a un vagare, un senso richiamato per assonanza (wander) e anche per vicinanza del tema, mentre si parla dell’impervio cammino fra alte montagne e valli sconfinate. Senza amici, lontano da casa, Nostradamus resta un «messia respinto», non compreso. Non sentiamo solo la sua storia, ma quella di ogni uomo che sa di compiere una missione per gli altri: il destino del profeta è di attraversare ogni dolore e ogni prova, come un eroe epico. Accompagnato da cori angelici, come memoria impressa della sua missione, vediamo l’immagine quasimodiana dell’uomo solo, trafitto da un raggio di sole in attesa della fine. Ogni elemento del brano ci accompagna verso l’empatia per il viaggio dell’eroe-oracolo, che sempre più si dispera. La musica diviene con la sua voce un crescendo di consapevolezza: «Se questo è il mio destino, devo credere». Non vi è alternativa. L’assolo ci mostra la sua determinazione, lo vediamo ergersi sulla cima di una montagna, mentre il coro continua con il solo sottofondo di tastiere, pochi accordi: il sole da dietro sembra proiettare la sua immagine potente.

Alone

Suoni metallici che ci fanno pensare alle scene di un horror in un edificio abbandonato. Subito la chitarra, con semplici accordi, ci accompagna verso il momento dell’accettazione dell’uomo-leggenda. Capiamo che lui ha scelto la sua strada, quella di ogni messia o profeta: la solitudine. Improvvisamente il soggetto è un noi, l’altro è forse lo spirito divino che ormai abita nel suo animo. Non c’è più desiderio di comprensione o appartenenza. Non la cerca più, non ora che ha abbracciato il suo destino. Nostradamus ricorda ogni prova attraversata: sa di essere diventato più forte. Lo afferma con risoluzione. Possiamo quasi vedere il suo incedere deciso, i passi che colpiscono la terra con forza, l’uomo che domina il suo destino solo perché lo accoglie, poiché mai può sconfiggerlo. Adesso la solitudine è una scelta, non una condanna. E Nostradamus è consapevole che in essa troverà la fama, che ciò che ha predetto si avvererà. La chitarra ci trasporta di nuovo alle classiche sonorità heavy metal dei Judas Priest e poi si fa per un attimo spagnoleggiante. Il testo ci accompagna attraverso le terre che Nostradamus ha attraversato nel corso del suo esilio. La parola si diffonderà, l’uomo diverrà mito. La musica cresce in modo epico, il canto si fa ripetizione ossessiva e cadenzata, un mantra che l’eroe ripete sino all’urlo finale. La musica continua con la sua forza, fino al riff finale che scivola nuovamente nel tema iniziale.

Shadows in the Flame (inter.)

Una chitarra lieve ci accompagna con un arpeggio dentro le note della tastiera, verso questo momento che ci fa pensare a un falò in una foresta. Siamo al tramonto. Nostradamus, ormai conscio di ogni cosa, attende di scrivere nuove profezie. La musica sembra scemare per poi esplodere nel brano successivo.

Visions

Una chitarra decisa e fischi, i piatti suonano ossessivamente, Nostradamus sta ricevendo nuove profezie, ne siamo consapevoli già dai primi secondi. Stavolta cerca le risposte, non le riceve solo passivamente. Non parla più di ossessioni o possessioni forzate, ma si arrende a ciò che sta per arrivare e che attendeva con ansia. Le visioni prendono il suo cuore, mostrano ogni cosa e lui ne gioisce, si lascia trascinare e fa suoi quei misteri, li vede con più chiarezza. Non ha più paura del futuro. Gli assoli ci mostrano un Nostradamus in preda alla frenesia della scrittura. Adesso non ha più dubbi: le profezie si avvereranno e il suo vedere è un dono. Poi improvvisamente tutto si ferma, come se sentissimo la natura attorno. Possiamo quasi immaginare gli uccelli e gli animali, durante la sua trance, forse fuori dalla finestra della stanza. La consapevolezza che vivrà per sempre tramite i suoi scritti ci pervade, come se fosse divenuto tutt’uno con l’universo. La musica ci evoca questo, mentre le parole dipanano i pensieri di Nostradamus. L’incalzare finale e poi il preludio del successivo intermezzo: «Riempimi di speranza se puoi». L’ultimo sussurro dell’uomo che rimane dietro la leggenda, dei dubbi che lasciano la scia nei suoi pensieri, quasi senza farsi sentire.

Hope (inter.)

Un sintetizzatore che ricorda una ninna nanna nostalgica ci porta verso un mondo che sembra fatto di nuvole inconsistenti, il mondo della speranza. Nostradamus incontra l’amore. La musica ci trasmette il suo sguardo meravigliato, sospeso fra il sogno e la realtà. L’oscurità che si allontana dal suo cuore, la tristezza che lo abbandona, quel peso che lo accompagnava dalla morte della moglie. Il suo cuore si apre alla nuova felicità: ecco la primavera.

New Beginnings

In questa seconda ballata, dopo Lost Love, il tono è allegro. Non si parla di amore perduto, ma di amore trovato. La pace che desiderava, l’amore che lo terrà ancora in vita. Dietro la sua determinazione, laddove si celava il buio dei suoi dubbi e della sua solitudine, ora vediamo giungere un vero sole. Non quello della gloria, della fama, ma dell’incontro di anime. Finalmente, ci dice, riesce a lasciare andare il passato. Gioisce, perché nessun uomo vuole quella solitudine, nemmeno con la promessa del ricordo perpetuo. Finalmente «può abbandonarsi», non deve più tenere duro. Questo brano ci mostra tutta la delicatezza e la fragilità dell’essere umano, la necessità di trovare una casa anche lontano dalla propria terra, nella persona che amiamo. E questo amore, una volta trovato, è il vero sogno. Non le cose terrene, ma questa purezza, questa incredibile speranza. La musica ci fa piangere, ci fa pensare ai momenti di incontaminata felicità che abbiamo provato. Poi ci accompagna verso l’immagine di un bacio, con il pianoforte a trasmetterci il cadere di una lacrima dal volto stanco di Nostradamus, ormai divenuto quasi nostro alter ego nell’ascolto. Eppure, un senso finale di presagio giunge nuovamente.

Calm Before the Storm (inter.)

Il titolo già ci fa comprendere: il ciclo si sta chiudendo. La chitarra, con suoni che ci ricordano lo stile progressive dei Pink Floyd, ci porta verso un senso di surrealtà. Poi le tastiere ci trasmettono il senso di una fine imminente. In questo ultimo intermezzo, Nostradamus ricorda ciò che ha attraversato, come ha tenuto duro, eppure nella sua voce presagiamo già la catastrofe che si svolgerà di fronte ai nostri occhi inermi.

Nostradamus

La musica ci fa immaginare una scena di condanna, di giudizio. Il momento è giunto. Nostradamus è stato forte, ma sa che soccomberà. Eppure,  sopravvivrà. Ritorniamo ai classici toni della band, heavy metal puro. L’urlo cantato che ci comunica la rabbia degli ultimi momenti. Come se dicesse: «Ho fatto ciò che volevi e questo è ciò che ricevo». Nessuno è riuscito a distruggermi e a farmi piegare, nemmeno tu puoi. E qua sembra quasi che la voce divenga quella di un narratore che annuncia la vendetta di Nostradamus contro la sua condanna postuma. «Non potete dimenticare quello che ha fatto», sembra dirci, «e io sono qui a ricordarvi come è stato condannato dall’Inquisizione». E difatti ecco che da un io si passa a un lui. Non è più l’eroe che sentiamo, ma un narratore arrabbiato che ci esprime la sua condanna a chi dimentica: la sua storia rimarrà eterna. La musica, quasi operistica in certi tratti, con scale musicali dal sapore classico, si rompe e si alterna con momenti di metal ossessivo, batteria assillante, assoli metallici che ci fanno ricordare che, sì, ora parlano i Judas Priest. Nostradamus ha detto il suo, ecco il nostro. Ma il profeta e la band si alternano: sentiamo i tradizionali acuti del cantante a fare da controcanto a Nostradamus, come se tutto fosse una possessione del suo spirito. Con un doppio pedale incalzante, con un riff cadenzato e con la voce a fargli da contraltare, la musica si spegne nella consapevolezza che il messaggio è stato recepito.

Future of Mankind

Torniamo a Nostradamus un’ultima volta e la possessione del cantante e del profeta sembra divenire reciproca, come se fossero l’uno dentro l’altro. Ritornano molti temi delle precedenti canzoni, rendendoci chiaro che si tratta dell’ultimo brano dell’album. Le ultime quartine vengono scritte e rimarranno dopo la morte dell’uomo Nostradamus, l’umanità potrà usarle come crede. Le visioni che forgiano il futuro dell’umanità, l’onere del profeta che ha la consapevolezza di aver iniziato un viaggio di non ritorno. Trovato il destino, vissuta la vita, lui sente l’oscurità finalmente avvolgerlo. Non è un andar via calmo, è un ritrovarsi con quell’animo divino che lo ha posseduto. Un urlo al mondo che non ha creduto in lui, la consapevolezza della fama eterna che torna. In un vortice di emozioni reso evidente dagli assoli, egli rivive ogni cosa e allo stesso tempo è come se vedesse il futuro, come il suo lavoro influenzerà gli uomini a venire. Evocando immagini che ci ricordano Jesus Christ Superstar (in particolare, il momento in cui Dio mostra a Gesù come la sua morte influenzerà l’umanità futura), vediamo l’uomo scivolare quasi in una risata folle. Non la sentiamo, ma possiamo immaginarla con la musica. E alla fine «tutti torniamo alla polvere» e non bisogna piangere per lui, perché non muore chi ha fama eterna. Mentre la vita lo abbandona, ossessivamente ripete «I see you/ I feel you/ I hear you», e quasi sembra che si rivolga proprio a noi. Come se in punto di morte avesse visto e parlato proprio all’umanità futura

Capiamo che è morto.

Il finale, in francese, ci colpisce profondamente. Con un ritmo marcato che sembra la marcia di un esercito e i violini che fanno pensare a un’anima che ascende. Ascoltiamo queste parole con voce diversa, come se stavolta sentissimo davvero Nostradamus e non il suo spirito che possiede il cantante: «Je suis au bout de ma vie/ Ma tâche est finie/ Je passe de ce monde à un autre/ Mes prémonitions survivront/ Prenez garde à mes paroles/ Parce-qu’elles adviendront/ Le patrimoine que j’ai laissé/L’avenir de l’humanité». L’uomo, giunto alla fine della sua vita, consapevole di aver portato a termine il proprio compito, si lascia andare. Sa che di lui sopravvivrà ciò che ha scritto e che il patrimonio lasciatoci è proprio l’avvertimento sull’avvenire dell’umanità.

Poi tutto scema. La marcia termina e restano i violini. Il pianoforte riprende il tema iniziale di Dawn of Creation, mentre i violini diminuiscono la loro intensità come se l’anima si allontanasse. Ciò che rimane è quel tema al piano, che ci ricorda che ogni fine è un nuovo inizio. La musica si interrompe bruscamente, poiché starà a noi continuare quel tema, crearne uno nuovo. Ora che la vita della leggenda è finita, chi racconterà la prossima storia siamo noi.

Così termina il nostro viaggio in questo concept album. Lo ascolterete? Il nostro consiglio per questa parte due è Exiled, un brano da ascoltare quando ci si sente persi o sbagliati e si vuole ritrovare la propria forza interiore. Un brano che ci rammenta di credere in noi stessi, nelle nostre passioni e nella verità che portiamo dentro, racchiuse in un sogno-candela nelle notti più oscure.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giulia Chines

Nata a Palermo nel 1994, si diploma al Liceo scientifico Galileo Galilei della propria città. Prende una laurea triennale in Studi filosofici e storici e una magistrale in Scienze filosofiche e storiche all’Università degli Studi di Palermo, approfondendo in particolar modo gli studi antropologici di René Girard rispetto al capro espiatorio e agli stereotipi di persecuzione, oltre che al rapporto violenza-religione.


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