20 Maggio 2023

Marracash, la sua nemesi e la mia. “IMPORTANTE” di Marracash

di Serena Costa

I sogni del primo mattino e i sogni del pomeriggio sono quelli più ingannevoli; così ha insegnato mia nonna a mia madre. Forse entrambe volevano evitarsi ed evitarmi di pensarci, di farmi influenzare e cedere a qualche superstizione. Io cedo inevitabilmente alle emozioni più pervasive, alle immagini che davanti ai miei occhi si ripetono, e credo che siano ricordi di qualcosa di realmente accaduto, prima di rendermi conto, quando mi rendo conto. Io cedo inevitabilmente a indagare ciò che emerge dal mio inconscio e trova sfogo quando abbandono la coscienza su un cuscino.

La prima volta ho sognato di picchiarti, con una forza che non credevo di avere e che non ho, con una violenza che non credevo mi appartenesse e che mi attorciglia le budella: ha parole ululate nelle notti di luna crescente. In due notti di luna piena ti ho sognato la seconda volta e poi una terza. Avevo con te l’intimità delle carezze e delle confessioni, che con una eco risalgono dal profondo: di paure e desideri, di lacrime e corpi nudi. L’anima svestita in piena luce. Mani che si cercano. Una dolcezza umida ha ricoperto la mia figura rannicchiata fra le coperte. 

Ti ho sognato ancora, la quarta volta, e mi hanno detto che è malaugurio: ho i lividi sulla pelle seccata dal freddo umido. Con l’accappatoio che mi ricopre la schiena percorsa da brividi, spalmo la crema sulle gambe e, ripercorrendole, rivedo il desiderio di venirti incontro. Ciò che segue è stato irreale, perfino per la voce pensante dell’inconscio trainato a vele spiegate: ci siamo guardati fra la folla che ti acclamava, i nostri occhi continuavano testardi a cercarsi e inevitabilmente trovarsi. Mi sono fatta strada verso di te, ti ho chiesto una foto, ho sentito le tue mani grandi cingermi la schiena, stringermi sotto l’ascella destra, appassionatamente ci siamo baciati e insieme siamo fuggiti, quasi volati lontani dalla folla. Scalinate spoglie, palazzi essenziali con immense vetrate in altezza, in profondità, un cielo di piombo e di ferro, una luce spietata che svela ogni segreto della nostra pelle. 

Mi sono svegliata nell’androne immenso di un edificio che sembrava abbandonato; nel letto, lontano da ogni parete, mi sono trovata da sola. Colonne portanti visibili, una poltrona di velluto, magenta, il soffitto crepato, la pioggia scrosciante invadeva la stanza, o qualunque cosa fosse, ovunque fossi. Avevo ingoiato le parole più dolci e mi avevano prima stordita poi prepotentemente sballata. Ho i lividi, i graffi, la nausea, lo stomaco vuoto. Mi giungono da lontano parole malvagie, parole di scherno. Guardo lo schermo del cellulare strizzando gli occhi che bruciano ma rimangono asciutti.

Lo scorso 9 dicembre è uscito l’ultimo singolo di Marracash, IMPORTANTE, scritto tutto in maiuscolo. Si aggiunge alla versione Deluxe dell’album Noi, loro e gli Altri (pubblicato il 19 novembre del 2021), insieme alla registrazione di alcuni pezzi del live a Milano, del tour conclusosi da poco. C’è chi l’ha sempre seguito, a qualcuno era anche mancato, qualcuno lo aveva dimenticato o snobbato. 

Appartengo all’ultima categoria, ma poi nel 2019 – pubblicando Persona – è iniziata la sua egotica antiegotica rivoluzione, parafrasando Andrea Pazienza: ho creduto fosse uno sprazzo, e invece era un inizio. Marracash si è insinuato nella mia quotidianità, nella mia mente, i testi che ho imparato e analizzato sono entrati nella parte più profonda di me, quella che risiede fra cuore, polmoni, stomaco e basso ventre, fino allo scheletro. 

Marracash

Il solo titolo dell’album contiene il punto di partenza da cui interpretarlo. 

Persona di Ingmar Bergman del 1966, le parole così sincere da essere spietate di Bibi Andersen e la verità liquefatta negli occhi urlanti di Liv Ullmann: Marra ripercorre le parti del corpo umano, del suo corpo stesso, ed è nudo e fiero come può esserlo solo chi ha sofferto veramente, chi ha sguazzato nell’abisso e ne ha la bocca impastata ma pretende di parlare perché ha deciso di voler guarire o di provarci in qualche modo. Magari sbagliando, sì, ma provando a riconoscersi nel suo riflesso prima e negli occhi di qualcun altro poi. 

Credo si sia innamorato, credo che abbia amato a suo modo, credo che la lotta con se stesso sia rimasta irrisolta, che ha perso, che sia stato abbandonato o ha abbandonato: non ha smesso di scrivere, di lavorare, tuffandosi dentro sé è andato ancora più a fondo, impavido tanto da essere masochista, con la sua visione mai edulcorata tanto da risultare cinico, spesso sadico. 

Noi, loro e gli altri guarda dentro quanto fuori, intorno. Sorprende, e il cuore sobbalza come quando compare da un palco nero, completamente spoglio: solo una tenda nera, il buio, il vuoto. Da un altro palco a mezz’aria arriva ricoperto interamente di pelle nera, il palco si colora come un corpo squarciato, il fuoco lo invade. Ci racconta la sua metamorfosi kafkiana, un disturbo diagnosticato mal gestito, combattuto, rifiutato, le perdite incolmabili, la passione implacabile, il senso di appartenenza e quello di abbandono, i martellanti dubbi, la spavalderia e la fragilità. 

«Butta fuori i tuoi pensieri o finiranno per ucciderti», così li abbiamo urlati fino a perdere la voce, abbiamo saltato fino a farci venire mal di schiena. Ci hai spezzato il respiro comparendo alle nostre spalle per sputarci addosso parole come raffiche di mitraglia

Adesso che questa festa è finita ed è arrivato l’inverno, con un bicchiere di vino in mano penso a Marracash e penso a Fabio Rizzo. Penso, ascoltando L’importante è finire di Mina, a quanta ironia ci sia in Marra per averla scelta come campionamento per la sua IMPORTANTE. L’ironia amara di chi vorrebbe andare avanti, trattiene la rabbia che probabilmente è soprattutto contro se stesso, che ancora ama, e nel testo ci fa vedere una lievissima luce dietro la porta ancora socchiusa, dietro le pareti fin troppo crepate. Come chi «aspetta la pioggia per non piangere da solo», ma i singhiozzi sono di dominio pubblico

Ognuno ha la sua interpretazione della realtà, sia pure condivisa, e ne è geloso. Rimane la musica che è di chi l’ascolta e se ne appropria in base a chi è o crede di essere o vuole essere, in base ai sentimenti che lo muovono. Rimaniamo noi, loro e gli altri, persone in eterno conflitto con la nostra nemesi.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Serena Costa

Nata ad Avola il 3 settembre 1994 si è diplomata al liceo scientifico Ettore Majorana nel 2013. Si è iscritta in giurisprudenza e ha studiato per tre anni con abnegazione e ottimi risultati prima di affrontare una crisi definibile identitaria che l’ha riportata alla passione più profonda che ritiene coincidere con la sua natura: la letteratura.

Leggi di più


Potrebbe interessarti: