24 Maggio 2024

Ci si salva solo insieme. “Un Segno Di Vita” di Vasco Brondi

di Daniele Di Martino

Quando mai capiranno, i gruppi umani, che il loro scopo è la sopravvivenza dell’insieme e non l’affermazione della loro dominanza sugli altri? Nessuno, da solo, rappresenta la specie e nessuno ha il monopolio della verità.

Elogio della fuga di Henri Laborit

Apro la mia prima recensione musicale con un passaggio tratto da un libro che considero “maledetto”, quello che da anni iniziavo per poi regolarmente metterlo da parte, e che finalmente sono riuscito a finire.
E voglio farlo per due motivi: il primo è che riassume perfettamente quel senso di fratellanza cosmica che Vasco Brondi cerca disperatamente di invocare in questo suo nuovo disco; per dire il secondo occorre che io confessi sin da subito il mio sconfinato amore per l’artista emiliano e la mia propensione a comprendere ed entrare in empatia con tutto ciò che dice, scrive o canta.
Due prodotti artistici profondamente diversi per una miriade di motivi, e ai quali mi sono approcciato con difficoltà e facilità diametralmente opposti. E mi è parso particolarmente significativo osservare che, pur viaggiando in antitesi, alla fine in me si siano congiunti in un concetto sovrapponibile: ovvero che ci si salva solo relazionandosi con gli altri, entrando in empatia con il mondo.

Ma tornando alla recensione vera e propria, vi dico che ho sempre considerato ogni disco di Brondi (compresi quelli del progetto de Le Luci Della Centrale Elettrica) come un passo della crescita personale dell’artista. I primi due album delle Luci, musicalmente scarni, ridotti a chitarra, computer e voce e con testi volutamente criptici, li considero i primi tentativi fatti da un ventenne ferrarese — che si sente isolato dalla propria città — di comunicare col mondo aprendo metaforicamente la finestra della propria stanza per lanciare un segnale nei dintorni.
Poi con Costellazioni quel ragazzo, consapevole ormai di non essere solo, decide di mettere la testa fuori dalla provincia. Arricchisce il proprio sound con sonorità nuove e capisce che può comunicare con testi che finalmente si aprono a più rapida comprensione.
A quel punto, il ragazzo divenuto ormai uomo trova finalmente il senso del proprio viaggio, fondendosi completamente con la vastità e la diversità della vita. E ci regala quel piccolo capolavoro che è Terra, uno di quei dischi che considero perfetti, nel quale fa suoi i suoni etnici intuiti nel mondo, fondendoli con il proprio bagaglio artistico. Un disco, questo, dai testi universali, che parlano di solidarietà e di quell’empatia così fondamentale per lui.

Ma proprio quando quella connessione si stava completando, ecco la pandemia, che ha bloccato tutti per un paio d’anni. L’uomo è costretto a ritornare nella sua stanza, pur con quella vastità nel cuore, nella mente e nell’anima.
Quando la società riparte e si ricomincia a socializzare e a vivere, Brondi non esita a uscire nuovamente per recuperare quello che aveva perduto. Lascia dietro di sé la corazza protettiva delle Luci, ormai forte di un’identità artistica sufficientemente solida, si spinge nuovamente per le strade d’Italia osservando le macerie e le ferite lasciate nei suoi simili dalla clausura, riuscendo a specchiarvi le proprie. 

Dopo un tour estivo nel quale tenta di sanare le ferite collettive con la sua musica e dal quale verrà estratto un disco live, esce Paesaggio Dopo La Battaglia, il primo album in studio a nome Vasco Brondi. Un disco che è la testimonianza del dolore, della solitudine e del senso di straniamento che, sebbene a distanza, ha unito tutto il mondo. E insieme a quell’umanità cantata e sentita, getta i semi della rinascita, nella speranza che possano rifiorire.

Ecco, Un Segno Di Vita è proprio il meraviglioso fiore sbocciato da quei semi piantati in uno scenario post battaglia, ma anche dalla buona terra rappresentata da tutto il percorso fatto dagli esordi di Canzoni Da Spiaggia Deturpata e Per Ora Noi La Chiameremo Felicità sino a oggi. Nutrito e annaffiato da una nuova spiritualità, maturata da Brondi grazie alla scoperta dello yoga e a una connessione profonda con la natura e le cose semplici.

Il primo petalo di questo bocciolo è germogliato timidamente già nell’estate del 2022, quando, senza alcun album ancora all’orizzonte, viene pubblicato il singolo Va Dove Ti Esplode Il Cuore. Un pezzo che, pur celebrando un passato ancora ricco di voglia di rivoluzione, getta un ponte verso una nuova concezione del presente

«Un giorno ci toccherà morire, ma tutti gli altri giorni no.» 

Un’esortazione a vivere pienamente ogni giorno le cose che ci fanno esplodere il cuore di gioia.

E, infine, nella primavera di questo 2024, un anno che sembra essersi bloccato in un cupo inverno di guerre e genocidi, abbiamo visto la fioritura completa con Un segno di vita, album dove ogni canzone esprime una bellezza tutta propria ma armonizzata con gli altri. Un’intesa che Vasco Brondi cerca di esprimere non solo nei brani, ma anche nel libretto che accompagna il disco, e lo completa con «tutto ciò che dalle canzoni è esondato».
Tra queste pagine ci racconta il percorso fatto in giro per il mondo per registrare i pezzi: dalle baite isolate tra le montagne italiane alle isole sperdute nel Mediterraneo. Ma anche gli incontri fatti, le persone che si sono allontanate, quelle che si sono avvicinate e quelle che sono rimaste. Tra festival durante i quali per pudore non riesce a presentarsi e rivolgere la parola a Enzo Avitabile e ad Angelo Branduardi e il provino di Fuoco Dentro mandato a Nada nella speranza di una collaborazione poi splendidamente concretizzata. Una piccola gemma che l’eterna Malanima impreziosisce con la propria voce graffiata e ricca di tutta la bellezza del suo percorso artistico, dai pudici esordi in un’Italia in bianco e nero, sino alle tante collaborazioni con gli artisti della scena alternativa degli ultimi due decenni, passando per una miriade di concerti, poesie, libri e ogni forma d’arte che le è passata tra i risvolti dell’anima.

In quest’opera, il nostro Vasco ci parla anche di strani individui che riempiono le loro giornate di cose semplici come fare surf, camminare sulla spiaggia, fare yoga o chiacchierare al bar con altri simili che hanno deciso di esiliarsi dal mondo per qualche tempo. Osserva tutto questo dalla casa affittata in un avamposto del deserto sull’oceano, e dalla quale ha scritto Vista Mare.

Delicate carezze dedicate a chi è stato ferito dal mondo, dai propri disastri, a chi è indeciso se aprire o chiudere il cuore a ciò che non riesce più a decifrare. A coloro che, nonostante tutto, credono nelle piccole e grandi cose capaci di alimentare quel fuoco che brucia e Illumina Tutto. Pezzo che idealmente trova consacrazione in Incendio, la canzone che considero sua “gemella” e nel quale Vasco canta: «Portami con te, tu prendimi. Sarò un incendio delle tue abitudini». Un’esortazione a liberarci dalle paure che ci tengono distanti dagli altri e ci incatenano alle stagnanti consuetudini come in un’eterna caverna di Platone. Un invito a uscire e perderci nel mondo, accogliendo le mani che ci vengono tese e tendendole a nostra volta.

Ma la vera canzone che considero manifesto di questo album è quella che gli dà anche il titolo: Un Segno Di Vita.
Un testo che nella sua apertura denuncia esplicitamente l’insensatezza e l’atrocità delle guerre attualmente in corso, e in particolare il genocidio in atto a Gaza. 

«Bombardano, bombardano, e tutti guardano. Non arrivano le provviste, non arrivano le voci e le promesse. Solo luci che parlano di stelle fisse. Che parlano di pace e di apocalisse.»

 
Questo testo, a mio avviso, va oltre a quanto sembra evidente, denunciando anche il bombardamento interiore e le guerre che ci vengono inflitte e ci auto infliggiamo mediaticamente, in un isolamento dovuto a questa sorta di condizione che è iperconnessione ma profonda solitudine.
Invoca, quasi con disperazione, un segno di vita da parte del mondo per far cessare le guerre, ma anche da noi stessi per smettere di tormentarci nell’eterno ciclo del distruggere e ricostruire. Segni di vita che, in un periodo dove anche i sentimenti spesso si esprimono azionando le leve e i Meccanismi del cuore, possano far fiorire un futuro di pace universale, più solidale e migliore. Cita, non a caso, i germogli di Hiroshima come esempio di una tragedia che non ha segnato però la fine di tutto, alludendo a un rapporto più simbiotico e intimo con il nostro pianeta e con la natura. 

«Anche questa pianura tornerà a essere un bosco. Uno posto sperduto nell’universo… Torneranno i canti e i venti forti. Torneranno i fuochi e le stelle accecanti.» 

Lo so, nel lungo preambolo di questa recensione ho parlato prevalentemente delle evoluzioni del suono che hanno scandito in parallelo la carriera e la maturazione di Vasco Brondi. Mentre nel parlarvi del nuovo album ho posto un accento particolare riguardo ai testi e alle tematiche.
Non perché il lato musicale sia trascurabile, anzi, ma perché credo che mai come in questo nuovo lavoro l’artista ferrarese abbia voluto affidare il proprio messaggio universale ai testi.
Tuttavia, trattandosi di un disco, è doveroso parlare anche della musica. Ma stavolta più che di un’ulteriore acquisizione di suoni nuovi, possiamo parlare di piena maturazione e riappropriazione di tutti quelli usati fin qui. Stavolta, vengono disposti come colori in una tavolozza da pittore. Miscelati tra di loro sapientemente per offrire al pubblico sfumature nuove, nelle quali il suono scarno che il ragazzo poco più che ventenne lanciava dalla propria finestra e i suoni etnici e appartenenti al mondo utilizzati dall’uomo pre-pandemia trovano finalmente equilibrio, armonia e pace. Perfetta testimonianza di questo processo è una base musicale che Brondi si portava dietro dai tempi dell’album Terra, provata su diversi testi nel corso degli anni e che oggi è diventata la traccia sonora del brano inciso con Nada.
Equilibrio, amore e pace, dicevamo. Esattamente ciò che Vasco si auspica possa invadere l’animo di ogni essere umano su questa Terra, mantenendo le proprie unicità e diversità, ma uniti da quel concetto esistenziale che ci accomuna tutti: ci si salva solo insieme.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Daniele Di Martino

In antitesi con la natura tecnica dei suoi studi e del lavoro svolto, si appassiona alla lettura di romanzi thriller, spionaggio e azione. Nel tempo amplia le proprie letture a molti altri generi, sviluppando in particolare una forte passione per saggi e romanzi di storia contemporanea, distopici e ucronici.

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