27 Marzo 2021

Follia e ragione, l’altro e l’individuo. “Le baccanti” di Euripide

di Giada Di Pino

Il teatro era per i Greci non solo mero divertimento, ma anche metafora della vita stessa, esemplificazione della realtà umana. 

Le Baccanti, composto tra il 408 e il 406 a.C., mette in scena il conflitto tra Dioniso, dio del vino, dell’ebrezza che scioglie dalle inibizioni sociali, della follia e delle forze istintuali e primordiali dell’uomo, e Penteo, re di Tebe, che si arrocca strenuamente sulla sua razionalità. 

Tebe, infatti, non si è ancora piegata al culto di Dioniso e la divinità decide di intervenire personalmente e recarsi alla reggia, travestendosi da sacerdote del suo stesso rito. Da subito la follia del culto dilaga e le prime a esserne colpite sono le donne, che danno vita ai rituali orgiastici bacchici, seguite ben presto dai vecchi e dai saggi, perché è da folli opporsi alla forza della follia e dell’istintualità insite nella natura umana. 

Solo Penteo, inamovibile nel suo proposito di non cedere, o forse nella sua incapacità a svincolarsi dal suo ruolo sociale, lotta con tutte le sue forze contro la pazzia che dilaga, e la sua stessa lotta, la sua stessa ferma razionalità sembra a tratti essere pazzia essa stessa; non ci si può opporre a Dioniso, che è un dio e come tale ha dalla sua parte la forza della creazione naturale. 

Ecco, dunque, le due facce della medaglia, le due componenti della natura umana: l’istinto, la pulsione, la fuga dal mondo civilizzato da un lato e la razionalità, la cultura, la società con le sue regole strutturate e i suoi ruoli da rispettare dall’altro. 

L’essere umano è sempre stato diviso tra ciò che sente e ciò che è giusto, tra il principio di piacere e quello del dovere, fin dagli albori della civiltà. Tuttavia, Dioniso è anche il dio dell’inganno, il dio del teatro, della finzione. E che cos’è l’abbandonarsi alla finzione teatrale, come anche a quella letteraria, se non una forma di ebbrezza

Un’ebbrezza che permette a chi si lascia saggiamente ingannare da essa di immedesimarsi nell’altro, in una storia-altra, in un tempo-altro e, infine, in un essere-altro. 

Non a caso Dioniso si presenta alla reggia di Penteo come uno straniero: la razionalità ci impone di pensare alla nostra vita, di preoccuparci di noi stessi, dei nostri obiettivi, dei nostri scopi, ma la nostra natura primordiale ci trascina continuamente verso gli “altri-da-noi”, gli stranieri, non perché venuti da lontano ma perché “estranei” alla nostra realtà, a noi stessi. 

Accettare l’inganno della finzione, che sia letteraria, teatrale o cinematografica, ci aiuta allora a immedesimarci nelle vite altrui, a uscire da noi stessi per andare incontro agli “stranieri” che affollano le nostre vite, ascoltando quella nostra folle natura istintuale e primitiva che ci attrae gli uni verso gli altri.

Ebbene sì, i classici hanno ancora molto da dirci. Non dovremmo allora dimenticarci di continuare a leggerli quanto e più di tutti gli altri libri.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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