3 Marzo 2024

La strada verso la redenzione. “Fargo, stagione 5”, regia di Noah Hawley

di Daniele Di Martino

L’amore è un tesoro così inestimabile che con esso puoi redimere tutto il mondo e riscattare non solo i tuoi peccati ma anche i peccati degli altri.

Fëdor Dostoevskij, da I fratelli Karamazov

Amore e redenzione: sono proprio queste le due componenti che formano il fulcro attorno al quale ruota la quinta stagione dell’acclamata e pluripremiata Fargo, serie tv antologica firmata da Noah Hawley e basata sull’omonimo film di Joel e Ethan Coen, i quali figurano tutt’oggi tra i produttori.

La storia, ambientata nel 2019 tra il Minnesota e il North Dakota, si apre nel pieno di una turbolenta riunione di classe in una scuola della cittadina di Scandia (Minnesota). Durante i tafferugli che ne conseguono, e davanti agli occhi dell’incredula figlia adolescente, Dot Lyon viene arrestata e portata via dalla vicesceriffo locale, Indira Olmstead (Richa Moorjani), per aver accidentalmente colpito un agente di polizia con un taser.
Dot è una giovane casalinga dal carattere mite, moglie e madre amorevole sempre pronta a mettere al primo posto la serenità dell’ingenuo marito Wayne (David Rysdahl) e della figlia Scotty (Sienna King). È capace persino di ignorare la costante disapprovazione di Lorraine Lyon, madre di Wayne e plenipotenziaria CEO della più grande società di recupero crediti degli Stati Uniti, la quale non perde occasione di criticare il figlio per averla sposata, umiliandola e  accusandola di mancanza di personalità.

L’arresto di Dot, però, mette in moto una catena di eventi capaci di riportare alla luce un passato torbido e oscuro che la donna sperava di aver accuratamente seppellito.
Non appena rilasciata e tornata a casa, la protagonista viene aggredita da due personaggi incappucciati, tanto maldestri quanto senza scrupoli e la sua vera personalità riemerge di colpo. Dot dimostra infatti una sorprendente capacità di difendersi con le unghie, con i denti e anche con tutto ciò che le capita a tiro: dalle armi da fuoco agli oggetti più comuni, che nelle sue mani diventano strumenti mortali. Ma, nonostante le numerose ferite, i due riescono ad avere la meglio e a rapirla.
Il mandante di questa azione è Roy Tillman, autoritario sceriffo della contea di Stark (North Dakota), misogino, bigotto sostenitore della supremazia dell’uomo sulla donna e affetto da un delirio di onnipotenza che giustifica con il dovere di proteggere la propria comunità. L’arresto della donna e una breve indagine negli archivi federali della polizia permettono allo sceriffo di scoprire che dietro l’identità di Dot Lyon si nasconde Nadine Tillman, la sua seconda moglie, fuggita dalle inimmaginabili sevizie al quale egli l’ha sottoposta per anni e di cui aveva perso le tracce.

Nella strada di ritorno, i due rapitori ingaggiano un conflitto a fuoco con l’agente della stradale  Witt Farr (Lamorne Morris), episodio che Dot sfrutta per fuggire e rifugiarsi in una stazione di servizio nella quale, poco dopo, la raggiungerà il poliziotto. Collaborando riescono a resistere e fuggire, uccidendo uno dei malviventi nonostante la risolutezza del suo compagno di crimini: Ole Munch. Questo si rivela essere il più indecifrabile dei personaggi, un uomo inquietante con un trascorso personale nascosto e misterioso, che affonda le origini in un lontano passato. Munch torna a riferire il proprio fallimento a Gator Tillman (Joe Keery, l’amato Steve di Stranger Things), inetto figlio dello sceriffo, mostrando un carattere taciturno, ombroso e permeato da una sorta di saggezza apocalittica e ancestrale. Parlando di se stesso in terza persona, lamenta di non essere stato avvisato del fatto che la preda indifesa fosse in realtà una tigre, elemento che aveva determinato la pessima riuscita della missione.
Nel frattempo Dot torna a casa e trova ad attenderla la propria famiglia e la vicesceriffo Olmstead, preoccupati per la sua scomparsa. La donna, però, nega le recenti disavventure, testimoniate dal suo aspetto e dai vestiti strappati, sostenendo che non sia accaduto nulla, che era solo “andata a fare un giro”. Tenta così di soffocare nuovamente quel passato che tanto prepotentemente era riemerso, ma le sue spiegazioni non convincono la poliziotta, che scavando nella vicenda si mette in contatto con il collega della stradale Farr, il quale le racconta come siano andate in realtà le cose.

Come è facile intuire, lo sceriffo Tillman non sarà disposto ad accettare la seconda fuga della moglie, non tanto per una sorta di amore distorto nei suoi confronti, quanto per riaffermare il proprio ruolo di maschio dominante. Dal versante opposto, Lorraine dovrà rivalutare la nuora e comprendere il suo sacrificio, scoprendo un nuovo rispetto nei suoi confronti. Tutto questo porterà a una serie di confronti e scontri sia individuali e personali, sia su scala più ampia. 

Una strada irta di sofferenza, violenza e rabbia che svelerà la vera natura di tutti i personaggi, soprattutto quella dei tre protagonisti: Dot, Tillman e Lorraine. Ognuno avrà un proprio percorso, che, attraversando le fiamme di un inferno personale, condurrà alcuni di loro alla redenzione, altri alla perdizione. E l’amore, o l’incapacità di provarlo e darlo, sarà ciò che decreterà la meta finale. 

La principale strada per la redenzione, comunque, è quella del creatore della serie, il quale, con questa quinta stagione, torna ad abbracciare una storia, ma soprattutto una modalità di narrazione più affine a quella originaria. Strada che aveva smarrito nella stagione precedente, che tanto aveva deluso e spiazzato i fan per la scarsa aderenza al filo conduttore della serie stessa.
Noah Hawley, infatti, già sceneggiatore e regista della straordinaria e visionaria Legion, si riappacifica qui con il proprio pubblico, proponendo personaggi femminili solidi, indipendenti e determinati, utilizzando un girlpower non solo formale, ma essenziale per gli sviluppi della serie. Hawley, inoltre, usa questo espediente per denunciare un’America tutt’oggi legata a delle figure di riferimento autoritarie più che autorevoli, malate e distorte nel profondo, simulacri di una forza, una sicurezza e una convinzione di essere al di sopra della legge e della morale, che gli Stati Uniti continuano a ostentare come una bandiera ormai logora, retaggio di un passato potente quanto ingiusto.

La sceneggiatura non si poggia dunque sui colpi di scena o sull’imprevedibilità degli eventi, dato che sembra abbastanza chiaro fin da subito dove si andrà a parare, ma sulla solidità e caratterizzazione magnifica dei personaggi, compresi quelli comprimari, tutti ugualmente determinati a perseguire i propri scopi.

Il tutto viene sorretto da un cast azzeccatissimo e ricco di talento, nel quale spiccano: Juno Temple, perfetta nell’incarnare la doppia anima di Dot, Jon Hamm (già iconico protagonista di Mad Man) nei panni dell’odioso e arrogante sceriffo Roy Tillman e la straordinaria Jennifer Jason-Leigh nel ruolo della cinica e potente Lorraine. Menzione a parte merita l’interpretazione di Sam Spruell nei panni di Ole Munch, capace di suscitare, in ogni scena,  una tensione antica, saggia e inflessibile.

Per quanto riguarda la regia, oltre alla mano dello stesso Hawley nei primi due episodi, troviamo Donald Murphy, Danza Gonzales, Sylvain White e Thomas Bezucha, tutti dietro la cinepresa per due episodi ciascuno. Apprezzabile il fatto che, nonostante le caratteristiche personali che ciascuno dei registi ha infuso negli episodi di pertinenza, il prodotto finale mostri un’omogeneità complessiva degna di nota.

Personalmente ho amato questa quinta stagione, ne ho apprezzato praticamente ogni aspetto. Dalle ambientazioni sperdute e innevate del Midwest americano, al ritmo narrativo capace di usare tempi dilatati nei punti giusti ma altrettanto pronto ad accelerare nei momenti di pathos. Infine, grazie alle caratteristiche dei personaggi di cui sopra, la serie torna in linea con l’estetica e la caratterizzazione cruda e a tratti surreale tanto cara ai fratelli Coen.

Mi sento di consigliarla agli amanti del melting pot di generi che caratterizzano queste storie torbide e senza troppi filtri. Ma anche a chi ama i thriller e gli action classici e desidera avvicinarsi a qualcosa di lievemente diverso.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Daniele Di Martino

In antitesi con la natura tecnica dei suoi studi e del lavoro svolto, si appassiona alla lettura di romanzi thriller, spionaggio e azione. Nel tempo amplia le proprie letture a molti altri generi, sviluppando in particolare una forte passione per saggi e romanzi di storia contemporanea, distopici e ucronici.

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