7 Gennaio 2023

Un viaggio necessario. “Stalker”, regia di Andrei Tarkovski

di Antonio Crispi

La storia del cinema ha proposto nel corso degli anni un gran numero di lavori in grado di raccontare società nuove, distopiche, in cui il potere di diverse entità ha sovvertito l’ordine costituito delle cose. Ricordiamo ad esempio Metropolis, il capolavoro di Fritz Lang, che già alla fine degli anni Venti ci raccontava una collettività schiacciata dal classismo e dal controllo serrato sui più deboli, film che indubbiamente è stato uno spartiacque non solo per il cinema. Ricordiamo anche un cult degli anni Ottanta come Blade Runner o la trasposizione cinematografica di 1984, capolavoro letterario di George Orwell

Nell’immensa mole di lavori volti a raccontare questo tema, ve ne è stato uno capace di abbattere i confini della fantascienza e della “semplice” proposta di un mondo distopico: parliamo di Stalker, un film di Andrei Tarkovski del 1979 che è diventato un vero e proprio manifesto filo-sociologico sulla natura umana, un autentico viaggio dell’anima, che riesce a catturare una visione della realtà interna ed esterna all’uomo contemporaneo. Un film visionario, capace di proporre una molteplicità di messaggi che, se adeguatamente colti, possono invitare a una profonda riflessione su molti degli elementi che oggi influenzano la nostra società. 

Ispirato al romanzo dei fratelli Strugackij, Picnic sul ciglio della strada, Stalker racconta la storia di un futuro indefinito in un luogo indefinito. In seguito a cause sconosciute, una vasta area, ribattezzata Zona, è stata chiusa all’accesso di altri esseri umani e viene costantemente sorvegliata dalla polizia. L’unico modo per introdurvisi è tramite delle guide clandestine che prendono il nome di Stalker. Ciò che spinge uno scrittore in preda a una crisi artistica ed esistenziale (Anatoliy Solonitsyn) e uno scienziato alla ricerca di verità (Nikolay Grinko) ad addentrarsi in questo territorio è la leggenda secondo cui all’interno della Zona si trovi una stanza che può realizzare i più intimi e segreti desideri. Accompagnati da uno stalker, appunto, interpretato da Aleksandr Kaydanovskiy, i due intraprenderanno un viaggio che li cambierà profondamente.

La Zona, luogo dell’anima

Il viaggio che viene compiuto dai protagonisti racchiude la piena essenza del film. Non si tratta solo di spostarsi da un luogo di schiavizzazione e controllo a un posto inesplorato: quello a cui assistiamo è un vero e proprio passaggio di stati: da una condizione tetra, mediata da un uso di luci cupe, quasi a voler rappresentare la morte delle cose, ma anche un’anima ormai preda dell’alienazione, fino ad approdare in un territorio altro, dove la luce si accende, dove la natura selvaggia che ricopre ormai gran parte delle rovine non induce terrore, ma accoglienza. La Zona, nata da un incidente nucleare avvenuto vicino a Cheljabinsk nel 1957, diventa un luogo non mediato, assolutamente estraneo all’asfissiante controllo perpetrato dalla società. Diventa opportunità di riflessione, di un ritorno a uno stato di natura che permette di sprigionare la purezza dell’animo. Ed è proprio quello che accade ai personaggi che, persi in molteplici dialoghi dalla grande valenza psicologica e filosofica, riescono a mettere a nudo parte del loro essere, dei loro vizi e delle loro debolezze. 

Quello che accade in Stalker non rispecchia i meccanismi consueti di ciò che avviene in altri lavori cinematografici ambientati in una realtà distopica. Pur mantenendo un alone di pura astrazione tra mistero e linguaggio onirico, il film punta soprattutto a offrire un quadro profondo e intimo della direzione che l’essere umano ha preso, dando una visione della società già ampiamente pessimistica per i tempi in cui il lungometraggio è uscito nelle sale, ma allo stesso tempo rivelatrice di quella che poi è stata l’evoluzione della stessa. 

La trasposizione metaforica dei personaggi

Cosa rende Stalker davvero speciale? 

Come abbiamo detto, il film riesce a mettere insieme i pezzi di un puzzle fatto di riflessioni e  dialoghi sulla società contemporanea. E lo fa riuscendo a tirare fuori dai personaggi delle figure metaforiche che sotto molti aspetti riescono a cogliere nel segno. Nei tre uomini che partono alla volta della Zona Tarkovski incarna le grandi domande, i dubbi e le perplessità dell’uomo contemporaneo, non solo con la delicatezza estetica che si può conferire a un artista, ma anche con una forte incisività, che rende il film fruibile sia da un pubblico con predisposizione critica, sia da una fetta di spettatori più ampia. 

È chiaro che neanche lo spettatore più attento può essere in grado di leggere in maniera globale la miriade di messaggi e rimandi che ci sono in Stalker, tuttavia, cercando di effettuare un’analisi critica dei personaggi, si possono individuare tre caratterizzazioni che delineano sotto diversi aspetti l’uomo moderno. Una di queste è sicuramente incarnata nello scrittore, personaggio che nella piena espressione delle sue azioni riesce a rappresentare in modo incisivo la crisi della fede e delle credenze, la cessazione di ogni speranza di redenzione e purificazione. Mettendo in dubbio quello che ha scritto, che potrebbe scrivere in futuro e quanto valga la pena di continuare a farlo, riesce a restituire la consapevolezza di un mondo dove tutto è finto, tutto è mediato, dove tutti vogliono essere ascoltati, ma nessuno vuole davvero ascoltare.

Dall’altra parte abbiamo il professore, testardo uomo di scienza, che parte alla volta della Zona alla ricerca ossessiva della verità. Lo fa per dare una testimonianza non solo alla comunità scientifica, ma soprattutto a se stesso, per ricordare e ricordarsi che i suoi sforzi non sono stati vani. Ebbene, il professore rappresenta un’altra debolezza dell’uomo di oggi , ovvero il trionfo ossessivo della ragione, la continua tensione verso la verità che ci lascia vivere lontani dal caos, così come il bisogno di dover attribuire sempre e comunque una spiegazione a tutto quello che ci circonda. 

Infine, abbiamo lo stalker, probabilmente la figura più comprensibile, ma allo stesso tempo la più raffinata e controversa del film. Egli ci dà una delicata e precisa rappresentazione dell’inquietudine dell’uomo moderno, osservatore incapace o non disposto a voler vivere una realtà umiliante, dedita al materialismo, svuotata di ogni sensazione profonda e beatificante. Sensazione che riesce a trovare nella Zona, dove il ritorno a quello stato di natura introdotto in precedenza riesce a sprigionare emozioni ormai primitive, rendendolo dunque incapace di adattarsi al normale contesto quotidiano. Lo stalker riesce a capire, quindi, come l’unico modo per guadagnare la salute mentale sia l’evasione, l’abbandono di tutto quello che è macchiato, contaminato dalla società. 

Il rovescio della medaglia, però, si traduce in una negazione del peso e delle responsabilità del mondo, condannando quindi lo stesso uomo a una condizione di inettitudine e alienazione. Questo elemento è perfettamente visibile ogni qual volta il protagonista abbandona la famiglia, il che si evince soprattutto tramite la figura della figlia, che rappresenta uno snodo fondamentale per il finale della storia. 

Il valore dell’attesa

Quello che questo film comunica già dalle prime scene, in cui per diversi minuti ci si trova in assenza di dialoghi, è che ci troviamo davanti a qualcosa di più complesso rispetto al viaggio che dovrebbero affrontare i protagonisti. Tarkovski dialoga fin dalle prime battute con lo spettatore, lo fa calare in un contesto dove la luce spenta e claustrofobica fa da padrone e produce un ambiente malato. È già da questo momento che avviene una selezione, perché spesso il fruitore va educato, gli va mostrato quello che c’è da “vedere” prendendosi il tempo giusto per farlo. Quello che succede in Stalker non è educazione alla sola osservazione, ma soprattutto all’attesa

Ciò che accade ai giorni nostri ci suggerisce, neanche in maniera troppo velata, quanto si sia perso questo valore, in favore di ciò che è più velocemente e facilmente raggiungibile.

Il clima di attesa che Tarkovski vuole dare al suo racconto è lo stesso che metaforicamente applica alla Zona. Basti pensare a una scena in cui uno dei personaggi vorrebbe aggirare più facilmente gli ostacoli per arrivare prima alla camera dei desideri e lo stalker per tutta risposta afferma che al contrario andrebbe fatto il giro più largo, in quanto alla Zona non “piacciono” gli inganni. In questo caso il territorio in questione diventa una sorta di giudice delle azioni, dove dare valore al tempo necessario per raggiungere un obiettivo dà la possibilità di farlo nel modo migliore

Gli elementi qui analizzati sono solamente alcuni tra quelli riscontrabili all’interno di un’opera complessa, così ricca di messaggi e rimandi. Il cinema proposto da Tarkovski, non solo in questa pellicola, necessita di una riscoperta volta a rieducare lo spettatore a una fruizione molto più impegnata, che purtroppo nel corso degli ultimi anni ha lasciato il posto a mero intrattenimento e immediatezza del contenuto. Allo stesso modo, riesumare delle opere di tale complessità permetterebbe di effettuare delle importanti riflessioni sull’epoca contemporanea, sull’uomo e sui cambiamenti che hanno trasformato il nostro agire.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Crispi

Nasce a Biancavilla il 26 Novembre del 1998. Nel 2016 si diploma all’Istituto Tecnico Pietro Branchina di Adrano, per poi intraprendere un percorso di studi orientato verso le Scienze Umanistiche.


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