24 Giugno 2023

Il multiverso ragnesco della Sony. “Spider-Man: Across the Spider-Verse”, regia di J. Dos Santos, K. Powers, J.K. Thompson

di Antonio Messina

Dopo ben cinque anni, finalmente tornano in sala le spericolate avventure di Miles Morales – lo Spider-Man afro-americano ideato da Axel Alonso e disegnato dall’italiana Sara Pichelli – e compagnia ragnesca. Questa volta con un film che tenta di superare le aspettative già altissime di molti fan che erano rimasti con il fiato sospeso per la scena dopo i titoli di coda di Spider-Man: Into the Spider-Verse, in cui veniva presentata la versione del 2099 facendo sperare in un sequel con ancora più varianti e nella possibilità di esplorare altre dimensioni. Presto detto, subito fatto: Spider-Man: Across the Spider-Verse ci ha stupiti sotto tutti gli aspetti e noi siamo qui per dire cosa ne pensiamo dopo una spettacolare visione in sala.

Ma, prima di parlare di Spider-Man: Across the Spider-Verse, è doverosa una premessa che spieghi brevemente le dinamiche dell’universo Marvel dal punto di vista fumettistico, soprattutto perché da qualche anno a questa parte, dalla creazione del MCU, i film e i fumetti sono concatenati e le origini di alcuni personaggi, sulla carta, vengono addirittura stravolte perché il pubblico possa riuscire a riconoscerli una volta visti nei film. Fino al 2009 l’universo fumettistico si distingueva in due filoni: quello classico (Terra-616) e quello Ultimate (Terra-1610); quest’ultimo presentava una versione degli eroi classici in chiave più adulta e a volte più violenta. Tuttavia, l’eccessivo giocare con il multiverso da parte di alcuni supereroi genera una cosiddetta incursione: un evento che fa collidere due realtà simili, con il risultato che una è destinata a sottomettere l’altra. Ovviamente, questo processo è tutt’altro che indolore e i sopravvissuti si ritrovano a fare parte di un’unica dimensione che spesso non appartiene loro. Miles Morales, un ragazzino di origini portoricane, è tra i pochi sopravvissuti alla collisione tra i due mondi. È così che si ritrova quindi a essere addestrato dallo Spider-Man classico, nonostante i poteri di entrambi siano molto differenti.

Nel 2018 la Sony, grazie alla condivisione dei diritti di Spider-Man, si lancia in quello che è a tutti gli effetti un grandissimo esperimento: un film animato che ripercorre le origini di Miles Morales. Spider-Man: Into the Spider-Verse le modifica, ma mantiene i pilastri fondamentali che lo renderanno l’eroe che è destinato a essere. Ne risulta un grande successo e una sceneggiatura in grado di gestire ben sei diverse iterazioni dello stesso personaggio su schermo, dando a ciascuna una scrittura coerente e riuscendo a contestualizzarle all’interno di questo mondo. Ci riferiamo per esempio a Spider-Man Noir, che pur trovandosi all’interno della realtà di Miles mantiene comunque il suo stile in bianco e nero mentre «Il vento lo segue ovunque egli vada», e al più cartoonesco Spider-Ham, dal suo essere assurdo e comico fino alla capacità di tirare fuori dal nulla un enorme martello di legno. Proprio come un qualsiasi cartone animato della Warner Bros! La Sony riesce a dosare una storia sulla genesi del personaggio con il giusto mix di divertimento e dramma, fino al lieto fine (nonostante i grossi sacrifici per salvare milioni di vite!).

Nel 2023 la Sony porta sul grande schermo il sequel e ci catapulta direttamente nel mezzo delle conseguenze di quanto accaduto alla fine del primo film. Miles Morales è Spider-Man, ha protetto la città da ogni minaccia possibile nel tempo intercorso tra i due film e, dopo aver rimandato a casa tutte le sue versioni alternative, è diventato un’icona nel suo mondo, riuscendo perfino a instaurare una collaborazione con le forze di polizia. Ma è l’unico Spider-Man, e il fatto che non abbia più modo di rintracciare le altre versioni di sé con le quali aveva interagito, soprattutto con Spider-Gwen, lo rattrista. Ciò collide con gli impegni, le responsabilità che la sua età richiede e il dover affrontare continuamente pittoreschi villain che tentano in tutti i modi di creare caos. Miles è frustrato, soprattutto perché a tutto ciò si aggiunge il fatto che non può rivelare ai suoi genitori chi è davvero e quindi è costretto costantemente a mentire. Si sente solo e non capito.

A peggiorare la situazione è un buffo villain dalla pelle bianca a macchie nerela Macchia, appunto – che si arroga il diritto di essere la nemesi di Spider-Man. E se egli ci appare inizialmente stupido, “una barzelletta”, capace di generare non poche risate in sala per la sua goffaggine, ecco che quando scopre di cosa è realmente capace diventa improvvisamente un cattivo di serie A. Miles Morales, raggiunto da Gwen, si ritrova così ad affrontare un cattivo strano quanto tremendo. Dopo una rocambolesca battaglia a Mumbattan – la realtà dello Spider-Man indiano in cui Manhattan e Mumbai sono un’unica caotica città –, Miles viene introdotto nella Spider-Society fondata da Miguel O’Hara, lo Spider-Man del 2099, una vera e propria società che si occupa di mantenere l’integrità delle varie dimensioni. E qui, al cospetto di Miguel, possiamo dire che il film inizia davvero.

Quanto sembrava difficile riuscire a fare meglio del primo capitolo? Più di quanto si possa immaginare, ma la Sony in questo caso si supera, costruendo un film che rimarrà senza ombra di dubbio nell’Olimpo dell’animazione tutta. Partiamo con il dire, intanto, che la scena in cui veniamo introdotti alla Spider-Society, che conta la bellezza di 280 versioni differenti di Spider-Man, di cui 95 hanno un nome e delle capacità specifiche, vale da sola il prezzo del biglietto. Dal punto di vista scenografico e coreografico, poi, le scene di combattimento e inseguimento sono gestite in maniera magistrale con un sapiente utilizzo della macchina da presa e dello stile fumettistico, che permette la gestione di più dettagli su schermo: proprio come se stessimo osservando un fumetto interattivo! I pensieri e le parole dei personaggi scorrono, in alcuni momenti, all’interno di riquadri o tramite scritte che riflettono lo stato d’animo e l’emozione che si cela dietro di esse. Di sicuro, tutta la scena ambientata a Mumbattan dal punto di vista grafico si presenta in maniera coerente per colori e architettura, e qui viene sprigionato tutto il potenziale tecnico tra effetti speciali e CGI rivelando quanto lavoro ci sia dietro quello che erroneamente può apparire un “semplice” cartone animato. La scena in cui appaiono tutti gli Spider-Man, ad esempio, ha richiesto quattro anni di lavorazione. A parole non è facile da descrivere – motivo per il quale vi consigliamo caldamente di correre al cinema –, ma è proprio il tratto arabeggiante/orientale a rendere spettacolare tutta la scena in sé. Lo spettatore riesce facilmente a sentirsi a proprio agio con l’aspetto visivo di quella dimensione, trovando naturale il meccanismo per il quale le altre versioni di Spider-Man coinvolte nella scena mantengano il proprio aspetto. Proprio come accadeva nel primo film. I costumi non sono mai uguali e lo stesso inseguimento finale, che le vede tutte coinvolte nella scena, permette allo spettatore di poterle ancora distinguere, nonostante la confusione.

Dal punto di vista della trama, ci troviamo di fronte a un sequel dal tono molto serio e a tratti dark, in cui i problemi e i temi affrontati sono di alto livello. La morale del film è quella di riuscire a capire che certe situazioni non possono essere evitate, corrette o annullate,  ed esalta la capacità di fare pace con se stessi e di aprirsi al mondo esterno, perché per quanto la paura di fare del male agli altri possa portare a voler stare da soli, prima o poi si ha comunque bisogno di un appoggio, di qualcuno che ci permetta di non cadere. E può succedere, come in questo caso, che il supporto di cui abbiamo bisogno ci sbatta la verità in faccia, tentando al contempo di proteggerci dalla stessa. Sia Miles che Gwen, inoltre, devono fare i conti con i rispettivi genitori e con l’enorme responsabilità che comporterebbe rivelare loro chi sono davvero. Per entrambi, tenere nascosta l’attività da supereroi comporta mentire costantemente, venire meno alle promesse, mancare agli appuntamenti, andare male a scuola, essere costantemente frustrati e sempre sulla difensiva, allontanandosi un passo dopo l’altro dalla famiglia.

Tirando le somme, a questo punto possiamo dire che dopo lo Spider-Man 2 di Raimi questo è il film più maturo sul super-eroe e, al contempo, il più colorato prodotto fino ad ora, superando di gran lunga le altre iterazioni, animate o meno. La Sony, ancora una volta, riesce bene nell’animazione recuperando tutto il terreno perso con le produzioni live action sui villain di Spider-Man senza che l’eroe sia presente. Se da un lato Across the Spider-Verse funziona per l’innovazione grafica, dall’altro risulta coerente con quelle che sono le basi di una storia tipica di Spider-Man: non si può fare un film su un nemico di Spider-Man senza che egli ne causi involontariamente la genesi, pretendendo che la storia abbia un senso. Il protagonista – in questo caso il villain – necessita di una nemesi coerente e diametralmente opposta – in questo caso un super-eroe -, perché il suo arco narrativo abbia un senso. In Across the Spider-Verse le origini della Macchia vengono, sì, stravolte, ma anche contestualizzate in maniera coerente e in funzione dello stesso Miles Morales. Nonostante il villain, nei fumetti, sia principalmente un nemico dello Spider-Man classico, la Macchia trova il suo posto all’interno dell’intricato mosaico narrativo imbastito dagli sceneggiatori.

È sul finale che il film si comporta in maniera atipica: con l’avanzare delle varie scene, lo spettatore si sente trascinato verso la risoluzione della trama; poi, improvvisamente, viene nuovamente lanciato all’interno di domande e dettagli che gli fanno pensare che ancora ci sia moltissimo da vedere per lui e da fare per Spider-Man. In sala si percepisce l’impulso di alzarsi, per poi rimanere, invece, seduti ad aspettare. Aspettare, aspettare fino alla chiusura con un incredibile cliffhanger, come se una corrente elettrica avesse attraversato lentamente ma inesorabilmente un lunghissimo filo, fino all’esplosione in un blackout improvviso e inatteso. Questo avviene, probabilmente, perché quello che all’inizio era stato pensato come un unico film alla fine è stato diviso in due parti, e sarà nel marzo del 2024, con Beyond the Spider-Verse, che vedremo la risoluzione effettiva di tutte le trame e le situazioni lasciate in sospeso. Non sappiamo cosa aspettarci dal capitolo conclusivo di questa trilogia, ma siamo sicuri che il combattimento tra la Macchia e tutte le diverse varianti di Spider-Man coinvolte sarà qualcosa di mai visto e che, in futuro, sarà difficile da replicare o addirittura superare. Le probabilità, a questo punto – proprio per il fatto che i fumetti e i film oggi siano sempre più vicini tra loro e tendano a concatenarsi –, che sulla carta la Macchia abbia un suo spazio tutto nuovo e un ritorno in auge come villain di grosso calibro sono altissime. E la curiosità è tanta.

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Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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