15 Luglio 2023

Gli universi periferici di Zerocalcare. “Questo mondo non mi renderà cattivo”, regia di Zerocalcare

di Salvatore Basolu

A un anno e mezzo di distanza dalla prima collaborazione con la piattaforma di streaming statunitense, Zerocalcare – pseudonimo del fumettista Michele Rech – torna su Netflix con un nuova produzione, Questo mondo non mi renderà cattivo. Tuttavia, nonostante la presenza di scenari e personaggi già conosciuti in Strappare Lungo i Bordi, la serie non risulta una seconda stagione, in quanto punta ad approfondire e ampliare l’inconfondibile universo di Zerocalcare con nuove tematiche e argomenti.

Strappare Lungo i Bordi, infatti, lungi dall’essere un naturale prolungamento delle strisce a fumetti di Rech, palesava immediatamente la duplice natura di prodotto seriale a sé stante e opera introduttiva con funzione di prologo: un titolo diviso tra la voglia di raccontarsi a un vecchio amico e la necessità di presentarsi a un nuovo pubblico. 

In aggiunta, la produzione costituiva il primo approccio dell’artista con un nuovo medium (se si esclude l’esperimento naif di Rebibbia Quarantine) e, soprattutto, dava origine alla prima serie animata italiana prodotta per Netflix, portando inevitabilmente in dote sia forti aspettative che grandi incertezze.

A partire da tali criticità, appariva evidente come la serie avrebbe rappresentato un momento di passaggio, un evento già di per sé delicato in cui sarebbe stato poco saggio assumersi troppi rischi (basti pensare alla scommessa non riuscita dell’adattamento cinematografico de La Profezia dell’Armadillo).

Conscia di questi pericoli, Strappare Lungo i Bordi aveva optato per un atteggiamento prudente, presentandosi a una nuova platea con uno stile semplice ma riconoscibile, in grado di accontentare anche i fan della prima ora e riscuotendo un successo pressoché unanime; tale procedimento, tuttavia, aveva comportato anche la necessità di adottare una forma poetica condensata per risultare maggiormente comprensibile a un vasta audience

La serie, infatti, restituisce solamente una panoramica aerea dell’universo di Zerocalcare: apre le porte della periferia est della Capitale e lascia che il pubblico sia trasportato dal vento emotivo della sua narrazione, ma senza trascinarlo tra i vicoli dei quartieri popolari. 

La principale conseguenza di tale scelta è la costruzione di una non-ambientazione, una dimensione che presenta un certo grado di separazione dalla realtà e che restituisce un’atmosfera simile all’ambito favolistico: se da un lato questo mondo aumenta la forza universale del messaggio veicolato dalla trama, dall’altro i personaggi secondari calati in tale contesto risultano forzatamente abbozzati, talmente schiacciati sullo sfondo del racconto da ridursi a semplici caricature polarizzate tra bene e male.

La materia di Questo mondo non mi renderà cattivo, invece, è più corporea: calando in picchiata nello spaccato quotidiano di Rebibbia, getta lo spettatore di fronte a una realtà cruda e ruvida, in cui è necessario camminare tra lo sporco per poterla comprendere appieno. In questo mondo tangibile i personaggi acquistano spessore (emblematica è l’evoluzione di Sara e di Secco), mostrando le innumerevoli contraddizioni che albergano nell’animo umano.

Questo cambio di prospettiva viene esemplificato anche dallo spostamento del focus della narrazione: in un bizzarro gioco di opposti, più Strappare Lungo i Bordi manteneva una distanza di sicurezza dal contesto, con una cornice dedicata all’azione, più i nodi dell’intreccio scandagliavano temi legati alla sfera affettiva. Nella nuova serie, invece, l’immergersi nella vita di borgata non riduce l’analisi alle singole sensibilità individuali, ma allarga lo sguardo dalla dimensione privata a quella pubblica. 

L’evento che dà moto agli avvenimenti, infatti, è fortemente legato alla dinamiche sociopolitiche del quartiere: un gruppo di migranti provenienti dalla Libia viene ospitato da un centro di accoglienza situato accanto a una scuola, causando lo scontro ideologico tra abitanti favorevoli e contrari al loro trasferimento. Contemporaneamente il protagonista, Zero, l’alter ego dell’autore, deve confrontarsi con l’arrivo di Cesare, un amico d’infanzia tornato a casa dopo aver passato i suoi ultimi vent’anni in una comunità di recupero.

L’introduzione di questo personaggio rappresenta un importante punto di svolta: dopo aver sempre presentato gemelli animati di amici e persone legate alla sua vita, Zerocalcare delinea una figura che non possiede un corrispettivo reale, ma che riassume in sé tanti individui con cui ha dovuto rapportarsi lungo gli anni; Cesare, allora, diventa il simbolo di un’intera fascia di uomini e donne catapultati in un mondo alienante che non riconoscono più e che, di riflesso, non li riconosce come parte integrante della comunità. 

Una volta scoperta la sua condizione di estraneo nel quartiere in cui è cresciuto, Cesare si unisce al gruppo degli intolleranti che protestano contro l’arrivo dei profughi, dando vita agli scontri con i loro concittadini che scelgono di difenderne i diritti. 

Attraverso queste dinamiche, Zerocalcare smaschera una delle più evidenti falle presente all’interno del sistema socio-lavorativo italiano: il reinserimento dell’individuo nella società dopo aver scontato la propria colpa, sia essa legata all’abuso di sostanze stupefacenti o inerente a reati che necessitano un percorso rieducativo in carcere. 

In alcune zone della penisola lo Stato non esiste o, nel migliore/peggiore dei casi, viene percepito come un’entità astratta, troppo lontana per potersi interessare dei problemi quotidiani dei semplici cittadini: l’indifferenza statale crea un vuoto che dei surrogati abominevoli (in primis mafie e organizzazioni di stampo fascista) tentano di riempire. 

In questo contesto, Cesare cova un’indifferenza di ritorno nei confronti della condizione dei migranti: questo sentimento di non accettazione, infine, esplode in una rabbia indistinta quando vede qualcuno ricevere un aiuto, seppur minimo, che lui non ha mai ottenuto dallo Stato. 

In Questo mondo non mi renderà cattivo Zerocalcare dimostra ancora una volta come sia pericolosamente ingenuo credere che esistano soluzioni semplici a situazioni complesse: non si ha davanti uno schieramento granitico di «mostri con le svastiche in faccia», ma un gruppo stratificato in cui molte persone normali hanno ceduto alle proprie fragilità e alle lusinghe velenose di una risposta semplice: anche a me o a nessuno.

Zerocalcare

L’autore, in conclusione, calibra la sua critica impegnata offrendo delle attenuanti generiche a chi cade in questa trappola, ma senza giustificarne in toto gli errori: il titolo stesso della serie, infatti, conferma la necessità di cercare di preservare la nostra umanità, nonostante il funzionamento del mondo ci porti a lasciarne scivolare via un piccola parte ogni giorno. L’importante è saper scegliere da quale parte della Storia schierarsi, perché esiste ancora una parte giusta che agisce, perché «[…] tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi»(1).


1. I. Calvino, Il Sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano, 2018, p. 109.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Salvatore Basolu

Nato il 30 giugno 1995 a Nuoro. Dopo il diploma presso il liceo classico Giorgio Asproni, frequenta il corso di Beni Culturali e Spettacolo dell’Università di Cagliari, conseguendo la laurea con una tesi monografica su Roman Polanski e  L’inquilino del terzo piano.

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