30 Novembre 2023

Chube, siamo a casa! “Star Wars: Ashoka”, regia di Dave Filoni

di Daniele Di Martino

Chube, siamo a casa!

Questa è l’ormai celebre frase pronunciata da Han Solo all’indirizzo di Chewbacca, quando dopo quasi trent’anni riescono a tornare sul mitico Millennium Falcon in Star Wars Episodio VII: Il Risveglio Della Forza. E fu la stessa cosa che pensai anch’io nei confronti della ripartenza della saga di Star Wars, quando nel 2015 uscii dal cinema.
E seppure con qualche perplessità del fandom più intransigente della storia dei franchise, questa era l’impressione comune di molti degli appassionati di questa saga che dal 1977 affascina ragazzini e adulti. Gli episodi successivi, però, spensero gli entusiasmi e portarono addirittura i più delusi ad abbandonare per sempre qualsivoglia legame con quella galassia lontana lontana.

Nel frattempo (nel 2008) c’era stato un primo tentativo di serie animata di qualità, Star Wars: Clone Wars la quale, nel corso di sette stagioni, non solo ci raccontava le leggendarie storie delle guerre dei cloni, fin lì solo accennate nei film ufficiali, ma introduceva anche un personaggio nuovo: Ahsoka Tano, padawan di Anakin Skywalker. Un personaggio che, sebbene inizialmente fu criticato, in breve tempo divenne uno dei più amati, soprattutto per il rapporto con il proprio Maestro, al tempo ancora lontano dal cedere al lato oscuro per divenire il temibile Darth Vader

Il successo di questa forma di narrazione incoraggiò la Disney a utilizzarla ancora. Appena un anno prima del ritorno al cinema con la trilogia sequel, aveva infatti debuttato la serie animata Star Wars: Rebels, ambientata in quel lasso di tempo tra Episodio III e Episodio VI, in pieno dominio imperiale. La serie, introducendo una storia del tutto inedita e con personaggi nuovi, narrava della nascita di quella Ribellione che avrebbe poi rovesciato l’Impero in Episodio VI: Il Ritorno dello Jedi. Tale storia è rimasta per diversi anni l’ultimo baluardo a cui i fan più fiduciosi si sono aggrappati nei primi anni del passaggio a Disney. Poco pubblicizzata dalla stessa casa di produzione, la serie ha però, con una sorta di parallelismo, gettato i semi per quella speranza di un ritorno alle origini di Star Wars, prendendosene cura per diversi anni.
Finché, con la nascita del proprio canale tematico, la Disney decise di puntare forte sulle serie tv live action per rilanciare e far prosperare nuovamente quella miniera d’oro e di sogni creata da George Lucas. Già con l’uscita di The Mandalorian (nel 2019) gli appassionati sentirono un fremito nella forza che convinse alcuni di coloro che si erano allontanati a dare un’occhiata, seppur ancora guardinga. Quello che è accaduto nel corso delle tre stagioni successive è ormai storia: tra nuovi personaggi ormai entrati a pieno titolo tra i più amati (Din Djarin e Grogu su tutti), apparizioni “celebri” e una storia che iniziava a connettersi con le serie animate, mostrando in live action per la prima volta alcuni dei loro protagonisti (tra cui la stessa Ahsoka), cominciò a delinearsi un disegno molto più vasto e complesso. Il miracolo stava avvenendo sotto gli occhi di tutti, e l’artefice portava il nome di Dave Filoni, creatore di tutte le serie animate e live action. Unico capace di condividere e comprendere la visione di George Lucas, creatore di quell’universo, al punto da poterne raccogliere l’eredità per tracciare un nuovo e convincente futuro per la saga.

La comparsa di Ahsoka Tano nelle vicende del mandaloriano solitario, tuttavia, non furono un semplice fan service, ma l’ulteriore base di partenza per riprendere la narrazione di una storia che si temeva conclusa con un finale aperto: ovvero quella di Rebels. L’ex apprendista Jedi, ora ribelle e reietta, ci viene mostrata alla ricerca del grand’ammiraglio imperiale Thrawn, del quale teme il ritorno, grande stratega dell’Impero che era scomparso insieme al Jedi Ezra Bridger dopo un salto iperspazio in una destinazione rimasta ignota per anni. 

Sarebbe già stato sufficiente questo per mandare in visibilio gli appassionati ma, come se non bastasse, Disney poco dopo annunciò la produzione della serie live action dedicata proprio ad Ahsoka. Aggiungendo, poi, che sarebbe stata a tutti gli effetti una sorta di quinta stagione della serie animata Rebels. Una storia che non solo avrebbe mostrato finalmente in carne e ossa i suoi amati personaggi, ma avrebbe anche svelato finalmente il mistero del destino di Thrawn ed Ezra.

Ed ecco che finalmente, dopo un lungo e articolato preambolo, mi ricollego alla serie che intendo recensire. L’excursus era a mio parere doveroso per ricollegarsi alla citazione iniziale e al concetto che funge da fulcro di questa straordinaria serie tv: il ritorno a casa.
Sì, perché Ahsoka segna il vero ritorno a casa di una saga che per diversi anni è stata bistrattata, tradita, e che solo a sprazzi mostrava dei cenni di ripresa e speranza. Segnali che, però, sembravano isolati e apparentemente sconnessi tra loro.
Oggi invece viene suggellato il ritorno al senso più puro di ciò che è sempre stato Star Wars, per tematiche, filosofia e adrenalina: per uno humor tutto suo che non deborda mai in quello appartenente ad altre saghe fumettistiche di diversa concezione e, soprattutto, per quel senso di stupore fanciullesco che mi ha fatto tornare il ragazzino che tanti anni fa vide l’intera trilogia originale durante una notte di Capodanno in famiglia terminata troppo presto. 

Ma il concetto di ritorno non resta limitato a quello che ci riconnette al senso di Star Wars: è anche la pietra angolare attorno alla quale la scrittura di Filoni costruisce le otto puntate che compongono la serie: il temuto ritorno di Thrawn come erede dell’Impero e quello ai propri affetti di Ezra; il ritorno e la ricostruzione dei rapporti tra apprendisti e maestri dei personaggi sensibili alla Forza; il ritorno degli epici duelli con le spade laser, centellinati nelle ultime produzioni, che sono da sempre tra le cose più entusiasmanti di questo franchise; e, non ultimo, il ritorno di alcuni personaggi e vicende passate che più abbiamo amato, mostrate con degli espedienti narrativi che valicano il semplice concetto di flashback (e del quale non posso dire di più per evitare spoiler).

Espedienti che Filoni utilizza sapientemente anche per fornire una sorta di riassunto di ciò che è avvenuto non solo nelle recenti serie live action, ma soprattutto nelle serie animate di cui Ahsoka è naturale continuazione. Viene quindi offerto una sorta di “spiegone” (che non risulta mai pesante, futile e fine a sé stesso), utile sia a quegli spettatori che non hanno avuto il tempo e la voglia di recuperare le tante stagioni di queste serie pregresse, sia alla narrazione degli eventi in corso.

Parlando di trama, Ahsoka riparte da dove si era interrotta Rebels, a parte un breve preambolo iniziale che fa un piccolo salto indietro: Ahsoka e Sabine si ritrovano unite dal comune intento di riportare Ezra a casa e impedire il ritorno di Thrawn come leader di quel Consiglio Ombra che mira a ripristinare l’Impero. Macchinazioni, queste, che sono già state accennate nella terza stagione di The Mandalorian. Sì, perché Ahsoka si assume pure il gravoso compito di fare da connettore anche con le altre serie live action prodotte in questi anni. Ne unisce i fili, dando un senso di continuità tra i film ufficiali e narrando, nel contempo, un presente che tra qualche anno farà confluire le vicende delle serie tv in un film per il cinema che chiuderà le linee narrative di quello che è stato etichettato come “mandoverse”. Per poi ricollegarsi alla tanto bistrattata trilogia sequel, nella speranza di darle degli antefatti che diano un senso a quanto visto (e aspramente criticato) al cinema. Non solo, si vocifera che l’idea della Disney sia di far ritrovare i reduci di questo “mandoverse” che sopravviveranno al film nei progetti futuri ambientati nell’universo di Star Wars

La serie introduce anche nuovi personaggi, che sembrano recuperare idee già viste nelle opere oggi classificate come legend (libri, fumetti, videogame), i quali, pur non dichiarandosi mai Sith (la lama stessa delle loro spade laser non è rossa, ma arancione), già dalle primissime scene chiariscono di non essere Jedi, posizionandosi in quella zona grigia in cui, seppur con intenti e atteggiamenti ben differenti, si trova da anni la stessa Ahsoka Tano dopo aver abbandonato l’ordine dei Jedi tanti anni prima. Nello specifico parlo di Baylan Skoll, un ex Jedi sopravvissuto all’ordine 66, alla ricerca di un potere più grande che metta fine alla millenaria contrapposizione tra Jedi e Sith, rea a suo dire di dilaniare da sempre l’universo. Al suo fianco troviamo Shin Hati, sua apprendista.

Lo so, sembra veramente tanta carne al fuoco per una serie tv di sole otto puntate (per la quale sembra scontata la produzione di una seconda stagione) e anche tanta responsabilità. Eppure Ahsoka riesce a sopportare tutto questo, permettendo un riavvicinamento a quella galassia che ora ci sembra nuovamente vicina vicina.

Passando alla parte tecnica, un encomio particolare lo merita il lavoro di casting, sempre ostico e soggetto a critiche quando si tratta di portare in carne e ossa personaggi nati come animati. Un’operazione però riuscita alla perfezione, che ci restituisce la sensazione di ritrovare negli attori scelti tutte le caratteristiche delle loro controparti animate.
Un cast che annovera non solo una Rosario Dawson che avevamo già imparato a identificare perfettamente nella “nostra” Ahsoka, ma anche Mary Elizabeth Winstead (Hera Syndulla), Natasha Liu Bordizzo (Sabine Wren), Eman Esfandi (Ezra Bridger), Ivanna Sakhno (Shin Hati), Diana Lee Inosanto (Morgan Elsbeth), David Tennant (che nella versione originale dà la voce al millenario droide Huyang) e uno strepitoso Lars Mikkelsen nei panni di un sontuoso Thrawn capace di dominare ogni scena in cui è presente.
Una menzione speciale va fatta per il compianto Ray Stevenson, prematuramente e improvvisamente venuto a mancare dopo la fine delle riprese, che ci ha lasciato una bellissima e magnetica interpretazione di Baylan Skoll, personaggio del quale sarebbe stato interessante sapere di più. 

La scrittura dell’intera serie è a firma di Dave Filoni (con la consulenza di Timothy Zahn, creatore letterario di Thrawn), il quale in questi otto episodi riesce a soddisfare anche coloro che in passato lo avevano più volte accusato di fare retcon nelle proprie opere. Mentre la regia è affidata a vari registi quali Steph Green, Peter Ramsey, Jennifer Getzinger, Geeta Vasant Patel, Rick Famuyiwa e lo stesso Filoni, che ha diretto il primo e il quinto episodio.

Gli otto episodi non superano mai i 45 minuti di durata, il che mette al riparo dalla tentazione di allungare alcune scene delle quali forse emotivamente avremmo voluto sapere di più, ma che invece conservano così il ritmo narrativo più efficace. Un ritmo che volutamente non è uniforme, ma che alterna invece puntate adrenaliniche ad altre più riflessive. In un sali e scendi di emozioni che non sbaglia un colpo e tiene lo spettatore incollato e desideroso di vedere subito la puntata successiva. 

A livello personale posso dire che era dai tempi di Episodio III: La Vendetta Dei Sith (oggi considerato uno dei capitoli migliori) che non mi sentivo così coinvolto. E sì, confesso di essermi commosso fino a far scendere qualche lacrimuccia in più di una scena.

In conclusione, a chi consigliare la visione di questa serie alla quale do il massimo dei voti? Sicuramente a coloro che, rimasti fedeli alla saga, non si sono persi niente di quanto pubblicato finora. Oggi si sentiranno pienamente soddisfatti e ripagati nel poter comprendere ogni aspetto di questa straordinaria serie. Ma la consiglio anche ai fan delusi che avevano abbandonato Star Wars, sebbene dovrebbero recuperare almeno qualche video recap per collegare il tutto.
Mi sento di consigliarla meno a chi non hai mai visto nulla dello sconfinato universo starwarsiano, anche se è vero che Filoni offre degli spiegoni per dare un contesto e che ci sono sul web delle guide che indicano le opere strettamente essenziali da recuperare per capirci qualcosa.
Ma se improvvisamente vi sentite chiamare dalla Forza, a mio parere forse sarebbe più soddisfacente armarsi di tanta pazienza e tempo e cominciare dall’inizio. Ovvero dalla trilogia originale, punto di partenza imprescindibile per fare «il primo passo in un mondo più vasto».

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Daniele Di Martino

In antitesi con la natura tecnica dei suoi studi e del lavoro svolto, si appassiona alla lettura di romanzi thriller, spionaggio e azione. Nel tempo amplia le proprie letture a molti altri generi, sviluppando in particolare una forte passione per saggi e romanzi di storia contemporanea, distopici e ucronici.

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