27 Maggio 2023

Inno a Lagioia. lI mio SalTo 2023

di Domenico Geria

La trentacinquesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino è andata in archivio entrando di diritto nella Storia. Lo dicono i numeri strabilianti, lo raccontano i protagonisti che si sono avvicendati tra sale e padiglioni, lo confermano anche le polemiche. Sembra quasi un ossimoro infatti, ma un’edizione senza polemiche è un’edizione riuscita a metà.

Un nome e un cognome su tutti hanno danzato sulle labbra di addetti ai lavori e non, per tutta la durata dell’evento e nei giorni successivi: quelli del direttore Nicola Lagioia. Colui il quale, nel 2016, ha raccolto la patata bollente di un evento prossimo al fallimento e ulteriormente messo a repentaglio da Milano, che si apprestava, di lì a poco, a inaugurare il proprio appuntamento dedicato ai libri.

Lagioia e la sua squadra hanno abbattuto lo scetticismo di chi vedeva un Salone ormai moribondo, complice il boicottaggio da parte di alcuni grossi marchi editoriali che avevano scelto Milano, rifiutando Torino. Il tempo però ha dato ragione al direttore, che ha visto i numeri crescere nel corso di questi sette anni, nonostante la pandemia, che ha sconvolto tutto, portando all’annullamento dell’edizione 2020, recuperata in minima parte attraverso qualche incontro online, e nonostante lo slittamento dell’edizione 2021 a ottobre. Meno di sette mesi più tardi, però, in una situazione di quasi normalità, il SalTo ha registrato quasi 170.000 presenze. Una cifra disintegrata dall’evento di questi giorni, che ha visto avvicendarsi tra i padiglioni circa 215.000 persone.

Spesso si dice che il settimo anno sia quello della crisi, perlomeno nei matrimoni. Ma il matrimonio tra Lagioia e il Salone, che già da tempo si sapeva essere all’ultimo atto, ha raggiunto proprio nel suo settimo anno l’apoteosi massima: il degno coronamento di grandi sforzi e sacrifici. Ed è vero, c’è stata una polemica, ma come lo stesso direttore ha dichiarato nel corso di un’intervista presso lo stand di Robinson: «Tra zero polemiche e poco successo e qualche polemica con molto successo, preferisco il successo».

La polemica è scaturita dall’attualità e dai conflitti generati dal contesto politico italiano, che mette in moto con le proprie decisioni movimenti di protesta ormai quasi quotidiani; e se ciò accade, un motivo valido alla base ci sarà di certo. In sintesi: Eugenia Roccella, Ministra per le pari opportunità e la famiglia, dal pensiero anti-abortista, era al Salone per presentare il suo libro dal titolo Una famiglia radicale edito da Rubbettino. La sua presenza non è sfuggita a un gruppo di attiviste che si sono presentate in sala, ottenendo la possibilità di far sentire la loro voce sul palco. Tutto ciò (la libertà di parola, probabilmente) è andato di traverso alla parlamentare Augusta Montaruli (Fratelli d’Italia), la quale ha avuto un’accesa discussione con Nicola Lagioia. Per il direttore del Salone la contestazione era legittima, ma la risposta della parlamentare è passata attraverso un puerile: «Con tutti i soldi che prendi, vergognati». La proprietà del Salone si è schierata apertamente con il direttore uscente, prendendone le difese, e anche la gran parte della società civile.

Fatta eccezione per questa vicenda, l’ultima edizione di Nicola Lagioia in qualità di direttore è stata un successo, con un incremento di vendite presso gli stand stimato intorno al 70% rispetto ai dodici mesi precedenti. Una boccata d’ossigeno, oltre che un segnale positivo per il mondo dell’editoria italiana, sempre con l’acqua alla gola.

Il sottofondo musicale di quattro dei cinque giorni dell’evento è stato il ticchettare incessante della pioggia sui tetti dei padiglioni del Lingotto. Il maltempo non ha scoraggiato il pubblico, come i numeri dimostrano. Il sentore di un’edizione speciale si respirava già venerdì, nel corso della seconda giornata. Chi, come me, ha vissuto più volte il Salone del Libro e in modo immersivo, certe cose le nota. Solitamente lo schema di presenze è abbastanza ripetitivo: picco massimo al sabato, un po’ meno la domenica; una discreta folla il venerdì, con il giovedì e il lunedì a rappresentare le giornate con minor affluenza e, solitamente, destinate soprattutto alle attività scolastiche con centinaia di bambini a sciamare per i padiglioni tra le urla di maestre, che non disdegnerebbero il supporto del gigante Argo dai cento occhi.

Fatto questo preambolo, il venerdì dell’edizione 2023 mi ha dato subito l’impressione di essere molto più simile a una domenica, per la mole di gente presente. Di fatto, è stato l’antipasto per un sabato contraddistinto da code interminabili ovunque: per gli eventi, alle casse degli stand, nelle aree ristoro e, inevitabilmente, anche per il bagno. Solo nella giornata di sabato 20 maggio, sono state registrate oltre 60.000 persone. Gli stand dei marchi più grossi sono stati presi d’assalto, ma anche i tanti editori più piccoli, gli indipendenti, quelli di nicchia, sono finiti (me lo auguro) nel vortice degli acquisti quasi raddoppiati rispetto al 2022.

Diciamolo, inutile girarci attorno: il motore trainante del Salone del Libro sono gli ospiti. Ci sono gli abitudinari, i saltuari e i debuttanti. Le decine di sale hanno accolto personalità di ogni ambito culturale: oltre agli scrittori ci sono stati attori, cantanti, musicisti, politici, sportivi e professori. Ogni ospite si è portato dietro una fetta di appassionati che ha riempito le varie sale. Com’è ovvio in casi simili, quando in sala non c’è più posto, per chi non può assistere all’evento subentra la delusione. Che però si manifesta in modi diversi: dal farsene una ragione in fretta, alla supplica per entrare, fino alle lacrime o al tentativo di sgusciare di soppiatto quando il responsabile all’ingresso è distratto. Tutte situazioni a cui ho assistito con i miei occhi.

Ma cos’altro ho visto in questa edizione del Salone del Libro?
Come già affermato, mi piace vivere l’evento in maniera immersiva, trascorrendo tra i padiglioni tutti i cinque giorni, arrivando al mattino e andando via poco prima della chiusura, volando tra eventi e firmacopie, attraversando la struttura da un capo all’altro più volte, memorizzando la mappa del Salone già il primo giorno. Quest’anno, però, mi ero ripromesso di limitare gli sforzi, promessa non mantenuta, perché anche stavolta ho consumato le suole delle scarpe.

Ho vissuto con piacere il commosso ricordo di Gianluca Vialli portato sul palco della Sala Olimpica da Xavier Jacobelli e Massimo Mauro. Per me, che bazzico il giornalismo sportivo, era un appuntamento imperdibile, così come non potevo perdere la possibilità di incontrare la Gialappa’s Band, accompagnata sul palco da Luciana Littizzetto; risate a non finire grazie alla comicità del trio misterioso che la stragrande maggioranza conosce per le voci, ma di cui ignora i volti.

Un firmacopie che bramavo era quello di Paolo Barbieri, il più grande (secondo me) illustratore italiano. Divertimento assicurato all’incontro con il “toscanaccio” Marco Malvaldi, uno scienziato prestato al giallo italiano di ultima generazione, che stavolta lascia i vecchietti del Bar Lume a giocare a carte, raccontandoci invece una storia con protagonista Galileo Galilei.
Proseguendo nel racconto delle mie avventure tra i padiglioni, ho conosciuto da vicino due autori che stimo tantissimo, quali Andrea Tarabbia e Vanni Santoni, diversissimi nel loro modo di fare letteratura e protagonisti di due differenti conferenze di enorme interesse. In un sabato pregno di appuntamenti, ho presenziato al dialogo sul palco della Sala Rossa tra Emanuele Trevi, mio vecchio professore, e Rosella Postorino, mia concittadina trapiantata al nord. E poi l’immancabile Maurizio De Giovanni, con le sue presentazioni divenute opere teatrali di alto profilo, tra musica e recitazione. E ancora, l’allegria dissacrante di Leo Ortolani, un tuffo nel fantasy con Cecilia Randall e Chiara Cecilia Santamaria, la comicità di epoche differenti a confronto con Nino Frassica e Maccio Capatonda.

Tra i grandi ospiti del Salone anche Claudia Gerini, Carlo Verdone, Carolina Crescentini, solo per citare alcuni tra i rappresentanti del mondo dello spettacolo, mentre tra i grandi nomi della letteratura mondiale, come non menzionare Wole Soyinka, insignito del Nobel per la Letteratura nel lontano 1986. Dulcis in fundo, ho avuto l’onore di incontrare Milo Manara, che si è cimentato in qualcosa di speciale: trasformare in capolavoro visivo Il nome della rosa, il romanzo di Umberto Eco già di suo capolavoro narrativo.

Il Salone 2023 si è dimostrata un’edizione splendida e coinvolgente, strabordante di energia e vitalità, il culmine di un percorso che ha compiuto passi sempre più autorevoli.
Cosa sarà del futuro del Salone? Difficile pronosticarlo, certo, Annalena Benini, neo-direttrice al posto di Lagioia, subirà un confronto immediato con chi l’ha preceduta, oltre alle sicure ingerenze politiche sulla gestione.

Personalmente, mi auguro che il Salone del Libro di Torino rimanga ciò che è diventato in questi anni: un punto di riferimento per l’editoria italiana, un nucleo di ispirazioni e di idee, ma soprattutto il luogo in cui poter incontrare ogni anno degli amici speciali. Ed è forse questo quel che conta di più, almeno per me. Per chiudere, un doveroso ringraziamento a Nicola Lagioia per averci regalato delle esperienze da sogno. Il mio saluto nei suoi confronti ha un sottofondo musicale: sulle note intrecciate a suo tempo da Beethoven, aleggia un sentito e obbligato Inno a Lagioia.

© Riproduzione riservata.

Domenico Geria

Nato a Reggio Calabria l’11 febbraio 1984, dopo una serie di cambi di rotta scolastici si diploma presso l’Istituto Tecnico per Geometri Pitagora di Siderno, nel 2003.

Amante della scrittura fin dalla tenera età, coniuga ad essa l’altra sua grande passione: lo sport.

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