11 Gennaio 2023

Quando la luce fa paura. “La calligrafia come arte della guerra” di Andrea Tarabbia

di Francesca Scuccia

«A quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere». Così scriveva Carl Gustav Jung sul finire dell’Ottocento. 

Sugli stessi presupposti, Andrea Tarabbia dà vita al suo romanzo d’esordio, La calligrafia come arte della guerra, dove la luce diventa al contempo un sogno ambito e qualcosa da cui proteggersi.

Magister Horatio rappresenta l’occhio e l’orecchio che colgono e raccontano una vicenda che si muove al confine tra la realtà e la fantasia. Sebbene l’ambientazione e il tempo storico in cui è immerso l’intreccio non siano mai resi espliciti, si ha ugualmente la sensazione di conoscere perfettamente lo sfondo degli avvenimenti narrati. Se questo accade è perché la guerra ha dei tratti che, nel corso del tempo, restano immutati: la disperazione, la paura, lo spirito di sopravvivenza, l’amore per i propri compagni, l’odio e la sofferenza sono le costanti di chi non ha alcuna colpa, se non quella di essere nato nel Paese sbagliato

Horatio è un uomo di mezza età che trova occupazione presso un istituto dove sia i docenti che le allieve sono obbligati a vivere. A queste ultime, orfane di guerra di età compresa tra i sei e i sedici anni, viene insegnata l’arte della calligrafia. Interpretare i codici inviati dagli Stati nemici è essenziale, e a occuparsene sono proprio i docenti; rispondergli in modo impeccabile non è da meno, ed è compito delle ragazze. 

A questo proposito, nella parte iniziale del romanzo, vengono descritti meticolosamente i segreti dei codici con i quali è possibile comunicare e i modi in cui le allieve vengono formate, dalla teoria alla pratica. Una particolarità dell’istituto, però, è quella di non far trapelare nessuna notizia di guerra, né tramite radio, giornali o altri media, né attraverso altre forme di comunicazione verbale. 

Nonostante il silenzio, la minaccia di una guerra imminente è sempre più vicina; molti dei protagonisti di questa storia lo sanno, altri lo avevano già previsto da tempo. 

Il punto di svolta è rappresentato da un’allieva di nome Hina, che un giorno rivela a Magister Horatio una strana scoperta: dietro uno scaffale si trova una piccola porta nascosta che conduce a una città sotterranea. È buia, fredda e umida, ma le sue strade ripercorrono fedelmente ogni via della città soprastante, di cui sta per rimanere ben poco.

Proprio questo luogo recondito diverrà il rifugio delle ragazze e dei docenti dopo un violento attentato. L’esplosione, repentina e violenta, giungerà per certi versi inaspettata. Alcuni degli abitanti della città “di sopra” riusciranno a fuggire in tempo nella città segreta, altri invece pagheranno con la vita l’escalation della guerra. 

Comincia così la seconda parte del romanzo, la vita dopo la caduta. Nella città sotterranea comincerà a prendere forma una vera e propria civiltà, plasmata su quella che ha vissuto in superficie, dove ogni cosa vitale, dal cibo alle medicine, è razionato per assicurare la sopravvivenza di tutti. Nessuno sa ancora cosa stia accadendo di sopra: i soldati nemici hanno invaso la città? Case e negozi sono stati distrutti? Ci sono ancora superstiti? 

Le domande affollano i pensieri di ciascuno, soprattutto di chi spera che parte della sua famiglia sia ancora viva e al sicuro.

In questo turbine di emozioni negative, di disperazione e di dolore, nella città sotterranea la dittatura prende il sopravvento: a ognuno viene assegnato un compito e vengono redatte delle precise regole comportamentali. 

Quella città che sembrava rappresentare la salvezza, allora, si trasforma in una tomba da cui i nuovi abitanti tenteranno in ogni modo di fuggire. Nel frattempo, però, scopriranno qualcosa di tremendo, ma che tornerà loro incredibilmente utile…

La calligrafia come arte della guerra ricrea uno scenario distante dalla nostra quotidianità ma che, allo stesso tempo, fa comunque parte della nostra realtà. Uno scenario di cui sentiamo parlare ogni giorno, nostro malgrado, nei telegiornali: la guerra, in tutte le sue forme e modalità, e il mondo descritto da Tarabbia ha difatti molti tratti in comune con la società odierna

Lo vediamo, ad esempio, nel modo in cui vengono formulati i messaggi propagandistici, anche impliciti, al di fuori dell’istituto: i titoli dei giornali, i brevi discorsi di cinque attori porno prima dell’amplesso, i libri mandati in pubblicazione. Ognuno di questi con l’unico scopo di esplicare la situazione di guerra in cui ci si trova e i possibili risvolti.

Come un tuono arriva invece la condotta del silenzio: non sapere nulla, o molto poco, per non creare allarmismi; continuare a vivere come se nulla stia accadendo, nonostante i “grandi” sappiano perfettamente tutto.

Tarabbia, attraverso gli occhi di Magister, riesce a tratteggiare il quadro esatto del campo di battaglia nel momento in cui il frastuono lascia spazio alla desolazione e a un silenzio assordante. Il momento in cui i rumori dei missili e dei cannoni cessano ma la guerra permane, imponendo le sue ragioni dopo la distruzione. Uno sguardo delicato e umano si posa su quei superstiti: non semplici numeri da salvare, ma vite stremate che cercano di sopravvivere rifugiandosi nei propri sentimenti. Ci mostra l’altra faccia della medaglia, quella rappresentata dalle vittime e non dai generali che annunciano un attentato o una disfatta, così da non dimenticare che ogni uomo ha un nome e una storia alle spalle.

La povera gente, dunque, diventa fulcro assoluto di questo romanzo dal sapore distopico.

Protagonista della propria vita e di quella degli altri, la voce narrante ritrova dentro di sé quello spirito di altruismo proprio della natura umana, che non vuole chiudersi nel risentimento e nel dolore. Riscopre la forza di rinunciare alla propria razione di pane a favore di chi ne ha più bisogno; di usare le medicine sui corpi ammorbati di chi non se lo merita; di dimenticare ogni vizio o svago, accontentandosi di una sigaretta al giorno e delle risate dei bambini che calciano un pallone mezzo sgonfio.

È la vita, quella Tarabbia ci descrive; una dimensione reale in cui rialzarsi con le proprie forze è più difficile che premere un grilletto o lanciare un missile; un luogo in cui i sentimenti e le emozioni pesano più di un carro armato e fanno molto più rumore. È la vita che rifiorisce, che non smette mai di lottare. 

Sul finale, il distopico lascia spazio alla realtà, perché la guerra non è una fiaba e non fa sconti a nessuno. È difficile mantenere una voce quando il proprio nome finisce nell’oblio; è arduo osservare le scintille negli occhi dei superstiti, quando devono coprire il viso per versare in silenzio le loro lacrime; è dura non morire dentro, quando si è costretti a nascondersi per poter godere del diritto, inderogabile e inviolabile, alla vita.

Questo è il piccolo universo dove questo autore ci accompagna con delicatezza e discrezione, riuscendo a trattare un argomento così cinico e rude in modo emotivo e coinvolgente. 
Andrea Tarabbia, ad oggi, conta più di tredici pubblicazioni tra saggi e romanzi. Ha vinto il premio Campiello nel 2019 per il suo romanzo più famoso: Madrigale senza suono, edito da Bollati Boringhieri. Il suo ultimo lavoro, Il continente bianco, è stato pubblicato con lo stesso editore nel 2022.

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Il nostro giudizio

Francesca Scuccia


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