Nel XII canto dell’Inferno della Divina Commedia Dante incontra i suicidi. Nell’agonia della punizione infernale, essi, colpevoli di aver rifiutato quel dono supremo di Dio che è la vita, sono trasformati in piante. Cadendo nell’abisso infernale, le anime suicide, toccando il suolo del secondo girone, divengono pruni di pietra, alberi morti che danno vita ad una foresta mortifera, senza germogli, senza uccelli tra i loro rami, senza alcuna vita, se non per le arpie, che posandosi maldestramente sui rami secchi e grigi, li spezzano e provocano dolore alle anime che vi sono rinchiuse.

Queste sono le anime dei suicidi, dei violenti contro sé stessi, condannati a vivere in una foresta di pietra, in una valle di morte. Ironia della sorte, sembra quasi uno scherzo del destino che Dante abbia scelto di rappresentare così il girone dei suicidi, se lo si guarda con gli occhi di chi vive oggi, nel XXI secolo, il secolo della morte della Terra, il secolo della distruzione delle foreste, degli ambienti naturali, delle specie animali sia marine che terrestri. E chi provoca questa distruzione? L’uomo. L’uomo che distruggendo il suo ambiente, il suo pianeta, non sta facendo altro che distruggere sé stesso, che rivolgere la propria violenza contro di sé. L’infernale foresta di morte somiglia fin troppo alla morte delle foreste; i suicidi non siamo altro che noi stessi, ogni volta che sradichiamo un albero, che buttiamo la nostra spazzatura dove capita, che perseguitiamo gli animali, che vediamo queste cose accadere e restiamo in silenzio. Violenti contro noi stessi siamo noi che non rispettiamo il nostro mondo e distruggiamo il nostro ambiente.
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Nata a Catania il 14 novembre del 1993 si è diplomata nel 2012 al Liceo Classico Michele Amari di Giarre. Si è poi iscritta al corso di laurea triennale in Lettere Moderne all’Università di Catania.
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