22 Giugno 2022

“Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood

di Antonio Messina

In un futuro non troppo lontano, Offred – è questo il nome fittizio della protagonista, letteralmente «di Fred», «di proprietà di Fred» – vive all’interno di una struttura costruita appositamente per sorvegliare e contenere le donne. Viene tenuta costantemente d’occhio non solo da quelle che sono, di fatto, guardie carcerarie, ma dalle stesse donne che la abitano, in un moto di connivenza e acquiescenza che mira a mantenere ordine ed equilibrio. Scappare è impensabile. All’interno di questa struttura, Offred ricopre il ruolo di Ancella: il suo compito è garantire una successione al Generale al quale è assegnata e alla di lui Moglie, fungendo da mezzo naturale per il concepimento, sostituendosi alle donne che sono diventate sterili. Ma tutto le appare confuso, lontano, la vita precedente le sembra quasi che non sia mai esistita: l’unica certezza che ha è quella di volersi ricongiungere alla propria famiglia. E mentre la ragazza cerca di ricostruire il passato, mantenendo un comportamento quanto più mite e mansueto per non destare sospetti, le si palesa pian piano, come una foschia rossa che si dirada, un’occasione che non può lasciarsi scappare.


Margaret Atwood scrive Il Racconto dell’Ancella nel 1985, raccontandoci di una società distopica, Gilead, e di uno Stato totalitario e teocratico che sembra, almeno in apparenza, voler garantire pari diritti e opportunità a uomini e donne, assicurando di voler salvaguardare queste ultime. Ogni donna assume un ruolo specifico all’interno della società in base alla sua capacità/incapacità di concepire. Con questa suddivisione, capiamo come l’illusorio paradiso descritto dalla Atwood altro non è che un inferno in cui vige uno stato di regime, con delle regole e dei confini ben definiti. Basta un nonnulla, una parola sbagliata, un gesto male interpretato, un pensiero espresso a voce alta, per sparire dalla circolazione ed essere spedite nelle Colonie, campi di lavoro forzato in cui vengono deportati dissidenti e donne sterili. Ad accrescere il senso di oppressione sono poi le regole che vigono all’interno dello stato di Gilead, fondate sulle parole della Bibbia – in particolar modo dell’Antico Testamento –, un testo che nella società moderna non può avere altro valore se non quello allegorico, interpretato invece letteralmente dalle Zie, le istitutrici e sorveglianti delle Ancelle.
Come si è arrivati a questo? L’autrice sceglie di non dircelo subito: la narrazione, nelle quattrocento pagine che compongono il primo dei due romanzi, scorre in maniera così lenta e ridondante che potrebbe risultare difficile – ammettiamolo! – superare le prime settanta pagine. Tuttavia, per quanto lento possa risultare, Offred racconta lo scandire delle giornate, tra la quotidianità della spesa e delle funzioni religiose, tra una celebrazione e delle esecuzioni pubbliche, in maniera molto precisa e costante. Non come una telecronaca, ma come se stesse effettivamente comunicando con il lettore, assumendo adesso un tono ironico, adesso cinico, adesso serio fino a scusarsi quando è costretta a raccontare ciò che è avvenuto. Non risparmia i propri commenti quando qualcosa non le va giù, non si limita quando si tratta di ammettere a sé stessa desideri autolesionistici, non rimane inerme quando ha la possibilità di fare qualcosa. Il tutto con la dovuta prudenza: essere una sorta di ribelle nelle quattro mura che la tengono segregata non le impedisce di provare paura, anche quando la trasgressione alle regole è guidata da persone di rango più alto del suo. Offred si mostra adesso d’accordo con quello che la circonda, ora in totale opposizione alla realtà che l’ha resa schiava; ma la scrittrice non ce la mostra mai come una donna contraddittoria, quanto come un essere umano che sta subendo la pressione di una condizione che la costringe in bilico costante tra il dover obbedire, pena la morte, e il voler semplicemente sparire in un unico e plateale gesto estremo, pur di non essere più mercificata e trattata come involucro e mero mezzo.
La verità viene a galla solo intorno alla metà del libro, mentre la narrazione, ipnotica, ci ghermisce e trascina inesorabilmente. D’improvviso la nostra percezione muta e i sentimenti e le sensazioni di Offred diventano i nostri, costringendoci a giudicare se le decisioni prese da chi, con un colpo di stato, è salito al potere siano giuste o se sia opportuno rifondare la società precedente. Il finale del libro ci illustra in maniera atipica le origini dello stato di Gilead, e da sola potrebbe servire a chiudere, ma non risolvere, il cliffhanger con il quale si conclude il libro.
Gilead è il nome di un’antica regione biblica situata a est del fiume Giordano, luogo in cui Giacobbe e Labano ebbero il loro ultimo incontro. Oggi corrisponde alla Giordania nord-occidentale, ma per Margaret Atwood essa occupa l’intero spazio geografico degli attuali Stati Uniti d’America e costituisce il fulcro del suo mondo distopico: qui è iniziato tutto e tutto ha avuto fine. Il riferimento che viene in mente in maniera quasi immediata è a La Repubblica di Platone. Il filosofo, infatti, in uno dei libri che compongono il trattato, affronta ciò che oggi conosciamo come Comunismo Platonico. In questa società utopica, proprio come avviene a Gilead, è abolita la proprietà privata e l’educazione dei figli è affidata allo stato fin dalla nascita. Uno stato gestito da chi ha raggiunto la capacità di mettere davanti ai propri interessi quelli della società, ossia i filosofi. Ma mentre nel trattato di Platone si parla della società tutta, nel romanzo pare che a farne le spese siano solo le donne: ognuna di loro ha perso il diritto di avere un conto corrente e un lavoro. Omosessuali ed ebrei, come accadeva durante il periodo nazi-fascista, sono costretti a scappare, a convertirsi oppure accettare il proprio destino. E se Platone, con la Repubblica, aboliva le caste, qui esiste una piramide sociale, al vertice della quale si trovano le Mogli con i loro Generali, che hanno lo stesso compito che avrebbe lo stato immaginato dal filosofo.
Margaret Atwood, in definitiva, ha creato una distopia femminista prima ancora che la parola «femminismo» divenisse quasi uno slogan pubblicitario, donandoci un testo rivoluzionario e profetico. L’importanza del libro, infatti, non è da attribuire solamente alla matrice filosofica, ma anche all’impatto che ha avuto nella nostra società: con l’uscita della serie tv, che ha riportato in auge il romanzo, molte sono le donne che oggi, per protesta, si vestono da Ancelle, tunica rossa e cuffia bianca in testa, durante le manifestazioni, per comunicare il proprio dissenso nei confronti di una società. In America così come in molte altre parti del mondo, in cui vige un sistema di stampo maschilista e patriarcale, infettato da una religione ancora paurosamente indietro coi tempi, che nega loro il diritto all’aborto e ne limita sessualità e identità.
Forse non sarà il manifesto femminista per eccellenza, ma non è da escludere che Il Racconto dell’Ancella possa in qualche modo fungere da esempio per correggere la nostra società, affinché chiunque, al di là del sesso, venga riconosciuto in quanto essere umano, appartenente alla razza umana.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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