29 Ottobre 2022

Vuoi sapere come sarebbe un supereroe italiano? “Lo chiamavano Jeeg Robot”, regia di Gabriele Mainetti

di Antonio Messina
Lo chiamavano Jeeg Robot, regia di Gabriele Mainetti (2015).

Fin dall’alba dei tempi – in assenza delle conoscenze scientifiche cui si è giunti oggi – l’essere umano si è sempre interrogato sull’origine dei fenomeni che non era in grado di spiegarsi. 

Per questo motivo alle tragedie, alle catastrofi naturali, ai lieti eventi, a un raccolto andato bene o a una battaglia vinta, l’uomo ha attribuito una mano invisibile che governa il Destino e tira le fila delle vite di ogni essere vivente: quella delle divinità

Entità spesso generate dal caos primordiale o per partenogenesi, che per capriccio stabiliscono la direzione che prenderà la vita di ogni singolo essere umano.

Oggi come allora, non abbiamo la prova tangibile dell’esistenza di esseri celestiali, ma da essi siamo stati in grado di ricavare altrettante figure che possiedono quelle capacità che l’uomo ha sempre desiderato disporre: il volo, il controllo del clima, la supervelocità, la vista a raggi X, la super forza, il dominio sugli altri esseri viventi, la capacità di leggere i pensieri degli altri, la telecinesi e molti altri. 

Parliamo dei supereroi, ovviamente: incarnazioni moderne di quei miti e quelle leggende che gli antichi sembravano riconoscere negli eventi di tutti i giorni. 

Per fare qualche esempio, il Flash della DC Comics altri non è che una rilettura moderna di Ermes, mentre Superman ricalca le impronte del Messia cristiano già a partire dal nome – Kal’El è infatti la rielaborazione di una parola ebraica che significa “voce di Dio”. Moon Knight è, invece, l’incarnazione del dio egiziano Khonshu, come viene dichiarato nella storia stessa. 

Inoltre, molte delle divinità greche e norrene sono state tratte dai miti e gettate tra le schiere dei supereroi, collaborando con Iron Man, Captain America, Superman e tutti gli altri. 

Ma in Italia?

Durante il periodo fascista, il materiale proveniente da oltreoceano e dall’Europa venne confiscato e censurato, impedendo di fatto all’industria cinematografica ed editoriale di conoscere – e dunque di esserne “contaminata” – nuovi generi, quali ad esempio il fantasy e la fantascienza che, invece, tra Europa e America, andavano espandendosi a macchia d’olio. 

Nel frattempo il fumetto italiano, al di là di un paio di scopiazzature di alcuni supereroi già noti – sapevate che la controparte italiana di Superman si chiamava Ciclone? –, ha forgiato la propria produzione sul genere crime/mystery, sul western, sul poliziesco, sul noir e, per ultimo, sull’esoterico, grazie alla Sergio Bonelli Editore e alle sorelle Giussani, ideatrici di Diabolik

Molti altri autori indipendenti  hanno poi lasciato un’impronta importantissima da seguire per sceneggiatori e disegnatori postumi. 

Eppure, di supereroi italiani non vi è nemmeno l’ombra.

Ma prima o poi doveva succedere, ed è curioso come il primo vero supereroe – se non si conta il tentativo fallito di Salvatores con Il Ragazzo Invisibile, che prova a ricalcare il modello americano – nasca sul grande schermo nei panni dell’antieroe, ovvero un personaggio che agisce per il bene, ma con metodi poco ortodossi, violenti e muovendosi spesso al di fuori dei confini della legge (vedi Batman, Elektra, Il Punitore, ecc…).

A compiere il miracolo, dunque, sarà Gabriele Mainetti con Lo Chiamavano Jeeg Robot.

Il film racconta la storia di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), un piccolo criminale che tenta di far soldi con rapine ed estorsioni, e che durante una fuga si tuffa nelle putride acque del Tevere, per uscirne con delle capacità uniche: una forza disumana e una resistenza fuori del comune che lo rendono quasi invincibile. 

Come disporre di queste capacità? 

Enzo non è un uomo cattivo: è un disilluso che ha avuto la sfortuna di crescere in un ambiente disagiato dove o stai dalla parte di qualcuno o sei nemico di tutti. 

La vita lo ha reso cinico ed egoista, burbero e perennemente di pessimo umore; vive in un buco e passa le giornate a mangiare yogurt e guardare videocassette porno. 

L’unica cosa che può fare è riscattarsi costruendo la propria fortuna. Iniziano così innumerevoli assalti ai bancomat, che lo arricchiscono ma non gli cambiano davvero la vita. 

Sarà il colpo a un portavalori ad attirare l’attenzione dello Zingaro (Luca Marinelli), criminale spietato con la passione per il canto e una carriera fallita ancor prima che cominciasse nel mondo dello spettacolo.

Lo Zingaro prende di mira Enzo, deciso a scoprire chi sia davvero e come abbia ottenuto quei poteri. 

A complicare ulteriormente la dinamica è la presenza di Alessia, una ragazza che in Enzo vede la leggendaria figura del protagonista del suo cartone animato preferito, Hiroshi Shiba, alias Jeeg Robot, confondendo spesso la realtà con la fantasia del cartone. 

Questo la porterà inevitabilmente a prendersi cura di lui.

Il film di Mainetti è assolutamente atipico per il cinema a cui l’Italia è avvezza: la sorpresa di Lo Chiamavano Jeeg Robot risiede nel coraggio di scegliere attori e setting italiani a dispetto del genere, dando modo allo spettatore di sentirsi realmente parte di quella storia grazie all’ambientazione romana. In tal senso, è soprattutto la crudezza che caratterizza determinate scene a renderlo un film fuori dal comune e violenza visiva tipica nelle storie dei personaggi sopracitati e che avevamo visto solo in film tratti da storie vere o in serie tv sulla mafia o nel cinema d’autore. 

Questo fa sì che il film di Mainetti venga in qualche modo consacrato proprio a questo titolo. 

Per quanto la storia segua il tipico percorso del supereroe, il regista non ci risparmia argomenti e temi di una certa importanza, quali le devianze e i disturbi psichici, oltre alla difficoltà di crescere in un ambiente prettamente composto da criminali e in cui la vita è costantemente appesa a un filo.

Il film è quasi del tutto privo di effetti speciali da computer grafica: tutto il lavoro lo fa la macchina da presa con i suoi movimenti e la mano del regista, che riesce sapientemente a montare le scene in modo da rendere realistici anche i momenti più rocamboleschi.

Perfino i volti deturpati di alcuni personaggi sono frutto di un lungo lavoro di trucco e non di elaborati render al computer. 

La recitazione è ai massimi livelli in tutti i personaggi, ma la più grande nota di merito va indubbiamente al villain: il carisma dello Zingaro ammalierebbe chiunque, soprattutto quando canta o balla per identificare la propria posizione nella gerarchia della malavita o per enfatizzare il momento e incutere timore, come quando si prepara per affrontare Enzo nel terzo atto del film. 

Quella dello scontro finale è una delle scene che si avvicinano quanto più possibile ai classici scontri tra i supereroi e i rispettivi cattivi d’oltreoceano, dando così quell’impronta sì americana al film, ma con un uso della macchina da presa di cui solo i registi d’autore italiani sono capaci.

La speranza, dopo l’altrettanto bellissimo Freaks Out, a distanza di tutti questi anni, è che Gabriele Mainetti decida di portare avanti le gesta del Jeeg Robot romano, dando a Santamaria, ancora una volta, la possibilità di esplorare il potenziale del supereroe pronto a dominare Roma dall’alto, con le sue capacità e la rinnovata consapevolezza di quale sia il suo posto nel mondo.

Che lo spettatore possa tornare al cinema e poter dire: «Finalmente è tornato Jeeg Robot!»

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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