Il 14 giugno 2013 il mondo dei videogiocatori PlayStation viene stravolto dal discusso – al contempo acclamato e denigrato – nuovo gioco della casa produttrice Naughty Dog, The Last of Us. Pluripremiato, elogiato dalla critica, che lo definisce uno dei migliori videogiochi di sempre, e campione di incassi, l’opera di Neil Druckmann, oltre ad avere un gameplay variegato, intuitivo e accessibile anche ai non appassionati, ha una storia accattivante e coinvolgente: cattura e riesce a far immedesimare chi tiene il pad in mano perché racconta, con una regia e una recitazione di tipo cinematografico, la storia di personaggi tridimensionali, sfaccettati e pieni di contraddizioni, molto più umani di quanti se ne fossero visti all’epoca nel medium videoludico. Delle vere persone e non semplici maschere.
The Last of Us è uno spartiacque nel mondo del videogioco, un capolavoro: da un lato riesce ad avvicinare i non cultori e a farsi amare dagli hardcore gamers (termine che indica i veri patiti, che si avvicinano alle ore di gioco e alle abilità dei giocatori professionisti), dall’altro lato mantiene un corretto equilibrio tra il medium videoludico e quello cinematografico, scelta non comune tra i titoli usciti all’epoca.
A distanza di quasi dieci anni siamo ancora qui a parlare di The Last of Us non come videogame, un prodotto conosciuto da moltissime persone seppure non fruito dalla massa, ma come serie tv andata in onda negli Stati Uniti su HBO (in Italia su Sky) dal 15 gennaio di questo anno e divisa in nove episodi usciti con cadenza settimanale.
Prodotta da Sony Pictures Television, PlayStation Productions e Naughty Dog, alla guida del progetto televisivo vediamo nuovamente coinvolto alla sceneggiatura il creatore della storia videoludica, Neil Druckmann, insieme a Craig Mazin, sceneggiatore della famosa miniserie Chernobyl. Nel ruolo di Joel e di Ellie, i protagonisti della nostra storia, vediamo rispettivamente Pedro Pascal (Javier F. Peña in Narcos e Oberyn Martell nel Trono di Spade) e Bella Ramsey (Lyanna Mormont nel Trono di Spade). Inoltre, la trama della serie televisiva adatta magistralmente la storia del videogioco, se non addirittura ampliandola e migliorandola, creando maggiore empatia con i personaggi della storia e approfondendo gli aspetti di alcune sottotrame lasciate in sospeso nel gioco PlayStation.
Tutto inizia negli anni Sessanta con un’intervista a un epidemiologo, che ci introduce lo sfondo portante dell’intero franchise. Si tratta di una dissertazione scientifica su come i funghi vengano sottovalutati rispetto, ad esempio, ai virus. Proprio i funghi hanno capacità incredibili e si parla di un particolare fungo parassitario, il Cordyceps, che si impossessa dell’ospite tramite infezione cerebrale e ne controlla il corpo per potersi riprodurre. Facciamo un salto avanti nel 2003: Joel Miller vive ad Austin insieme alla figlia Sarah e lavora come operaio edile insieme al fratello Tommy. Nella notte del suo compleanno scoppia l’infezione che si lasciava presagire dall’inizio e i cittadini si scatenano in preda a comportamenti aggressivi e cannibalistici, costringendo i tre personaggi a fuggire. È il caos, l’infezione sta dilagando ed è fuori controllo, la follia e il panico si impossessano delle persone riverse per le strade della città e l’esercito interviene nell’unico modo possibile: usando la violenza. La corsa forsennata dei protagonisti viene interrotta da un soldato armato con un fucile d’assalto che ha l’ordine di delimitare l’area e non far scappare nessuno, uccidendo chiunque tenti di fuggire. È in una veloce sequenza dal sapore tragico che Sarah viene uccisa dal soldato, imprimendo per sempre un trauma indelebile nel cuore di Joel.
Venti anni dopo, Joel si trova a Boston, nella zona di quarantena gestita dalla F.E.D.R.A. (Federal Disaster Response Agency), e tra i palazzi fatiscenti, spogli e non più pieni di vita, le macchine arrugginite e inghiottite dalla natura ormai libera di espandersi, in mezzo a persone disposte a fare di tutto per sopravvivere, vive con la sua partner, Tess, facendo il contrabbandiere. Opposto alla F.E.D.R.A. vi è il un gruppo paramilitare delle Luci (Firefly) che lotta per la democratizzazione e la liberazione della società civile tanto dalla F.E.D.R.A. quanto dall’esercito degli Stati Uniti d’America, entrambi alle dipendenze del governo, ormai dittatoriale e violento. È proprio dall’incontro fra Tess e Joel e la leader delle Luci, Marlene, che inizia a svolgersi la vicenda. Vittima di un attacco, Marlene è costretta a chiedere ai due di portare con sé una giovane ragazzina di quattordici anni, Ellie, considerata molto importante per il futuro degli ultimi sopravvissuti. Comincia così la storia di un uomo ferito che ha perso la figlia e trova in un’orfana la propria salvezza.
Sia questa introduzione che il resto dello svolgimento della trama sono tanto simili da risultare pressoché identici al videogioco, generando una piacevole sensazione di nostalgia nei gamer più appassionati. Ma anche dal punto di vista della regia, della messa in scena e delle inquadrature si può riscontrare un adattamento fedele al prodotto originale, in particolare nella scena in cui Joel abbraccia il corpo senza vita di Sarah. La scenografia è di altissimo livello e fedelissima al videogioco: la casa di Joel e Sarah è diventata reale e se la computer grafica della PlayStation3 ti immergeva, grazie al foto-realismo e al gameplay, nel contesto della storia, lo spettatore, vedendo la realtà catturata dalla cinepresa, si immedesima ancor più nel dramma vissuto dai personaggi. I paesaggi e i campi aperti, le riprese fatte durante il tramonto con Joel e Ellie che raccontano la propria storia e la fuga dal costante pericolo di questo mondo selvaggio suscitano nello spettatore forti sentimenti di empatia per tutto ciò che sentono i nostri protagonisti, soprattutto verso l’angoscia e la paura di ogni pericolo causato dagli infetti e dalle persone stesse. La cura della regia e la direzione degli attori toccano altissimi livelli. Anche una breve citazione a una meccanica di gioco è stata da chi scrive particolarmente apprezzata; in sé è una scena quasi banale: Joel prende sulle spalle Ellie per farla salire su una sporgenza e questa gli porge una scala per fare poi salire lui. È una meccanica che si ripete in tutto il corso del gioco e rappresenta un punto d’interazione dei pg; nella serie diviene dunque un elemento che contribuisce all’effetto nostalgia complessivo del prodotto cinematografico.
Le musiche sono di Gustavo Santaolalla, colui che ha composto e diretto anche le musiche del gioco, qui riproposte sotto una nuova chiave, ma con l’inconfondibile e malinconico suono della chitarra che accompagna il viaggio di Joel e Ellie, dando ulteriore profondità alle immagini su schermo. L’interpretazione magistrale di Pedro Pascal commuove lo spettatore quando prende in braccio il corpo esanime della figlia; la paura di sentirsi soli e i traumi che Bella Ramsey rivive ogni qualvolta vede la violenza delle persone e la loro morte sono una delle chiavi del successo di questo prodotto che settimana dopo settimana ha fatto il record di ascolti su HBO.
L’interpretazione del doppiaggio italiano è di altissimo livello e ben curata. A dare la voce a Joel è nuovamente Lorenzo Scattorin, doppiatore che aveva già interpretato nel videogioco il nostro protagonista e che ci dona un punto di contatto e continuità nell’adattamento italiano della serie per chi già era appassionato; Arianna Vignoli interpreta Ellie e la sua voce si incolla alla perfezione sul viso di Bella Ramsey, fra battute divertenti e continue imprecazioni. Insomma, tutto contribuisce a ricreare un ambiente che i videogiocatori hanno già fortemente apprezzato e che li lega nuovamente ai personaggi che hanno ben conosciuto.
Altro aspetto degno di nota è lo spazio dato nell’ultima puntata di stagione alla madre di Ellie – nel videogioco solamente menzionata da Marlene –, interpretata da Ashley Johnson, l’attrice che con la motion capture e la sua voce ha dato vita a Ellie nella versione videoludica. Un tocco di classe per segnalare ancora una volta la fedeltà al medium originale.
Ciò che pone la differenza fra il prodotto cinematografico e quello videoludico è l’approfondimento e lo spazio che alcuni personaggi secondari hanno su schermo, come ad esempio Sarah. Laddove il gioco iniziava in medias res, nella fatidica notte d’inizio dell’epidemia, nella serie possiamo vedere la figlia di Joel alle prese con la quotidianità: durante la colazione con il padre, mentre va a scuola o al negozio di orologeria per riparare il regalo di compleanno di Joel. Questa è una citazione evidente per i giocatori: l’orologio che Joel porta sempre è un regalo della figlia. Questo forte elemento di empatia del videogioco diviene qui un’intera narrazione, che porta lo spettatore a vivere appieno il dolore del protagonista.
Tuttavia, questo non è l’unico esempio di ampliamento della narrazione. Vogliamo parlare adesso del tanto discusso – amato e odiato – terzo episodio della serie, dove troviamo quali protagonisti Bill (Nick Offerman) e Frank (Murray Bartlett), personaggi che sono riusciti a commuovere fino alle lacrime gli scrittori di questa recensione. Bill è una figura quasi marginale nel videogioco ed è il tipico uomo paranoico e aggressivo che preferisce stare il più lontano possibile dalla società. Le uniche persone con cui ha a che fare sono Joel e Tess, suoi soci, e il suo ex partner, Frank, ormai defunto. Fatta questa premessa, nessuno si poteva aspettare l’andamento del terzo episodio della serie tv. L’adattamento cinematografico approfondisce il tipo di rapporto che Bill ha con il suo partner e se nel videogioco la battuta che pronuncia Bill mentre parla con Joel è volutamente ambigua («era il mio partner», senza specificazioni ulteriori), qui vediamo Frank, lo conosciamo e scopriamo come lui e Bill si siano innamorati l’uno dell’altro e abbiano creato un piccolo paradiso dove difendersi dall’umanità violenta e dalla pandemia del Cordyceps. Il livello dell’interpretazione di Offerman e Bartlett è incredibile e l’alchimia che si è creata in scena cattura lo spettatore e lo tiene incollato allo schermo, immergendolo nella spirale della loro vita di coppia fino al fatidico giorno. È incredibile il lavoro che gli sceneggiatori, gli attori e il regista hanno fatto per mettere in scena questo terzo episodio e per estrapolare da una frase volutamente ambigua la vita di due persone nel mezzo di una pandemia dove l’umanità rischia l’estinzione. Se non tutti hanno amato questa storia d’amore, non si può negare che nel 2023 sia anche ora di vederne di più di questo tipo! Il modo naturale in cui i due si incontrano e le loro personalità non stereotipate donano finalmente una degna rappresentazione alla comunità Lgbtqia+. Bill, al contrario, sembra quasi più vicino alla rappresentazione dell’americano tipo, uomo forte e tuttofare, abile e tutto d’un pezzo. E di certo lo stesso Frank non ricade nei classici stereotipi dell’uomo gay. Entrambi sono semplicemente persone, cosa che vediamo per tutti i personaggi della serie. Anche Ellie, che scopriamo essere lesbica, è sì mascolina, ma ha comunque una sua fragilità che ci viene apertamente mostrata. È questo il più grande punto di forza della serie: persone e non personaggi.
Un lato negativo dell’adattamento televisivo, invece, lo riscontriamo nella scelta autoriale, stilistica e anche produttiva, di dare poco spazio agli infetti e cambiare radicalmente la modalità di diffusione della pandemia. Nel videogioco, oltre alla trasmissione tramite il morso di un infetto, l’infezione cerebrale del Cordyceps avviene a causa di una mutazione e grazie alle spore che il fungo rilascia in condizioni favorevoli alla sua proliferazione, come ad esempio in stanze chiuse e umide, dove l’unico modo per difendersi è indossando la maschera antigas; nella serie tv invece il fungo viene trasmesso a causa del cibo infetto. Un vero peccato perché, se a causa del budget si è preferito non dare spazio agli infetti, si poteva scegliere di utilizzare parte del minutaggio per citare le sezioni di gameplay negli spazi chiusi. Non solo, mantenere la versione del videogioco avrebbe consentito una spiegazione più logica e scientifica alla diffusione dell’infezione che potrebbe causare l’estinzione dell’umanità. Dall’introduzione della prima puntata ci si aspettava che fosse mantenuta la riproduzione del fungo tramite le spore, per cui questa scelta è stata per chi scrive una profonda delusione.
È ancora presto per dire se questo adattamento potrà essere definito un capolavoro della serializzazione televisiva al pari di altri prodotti distribuiti da HBO. Quello che però si può affermare, dopo aver visto i nove episodi di questa serie, è che sicuramente verrà ricordata tanto quanto il prodotto videoludico, per aver offerto al grande pubblico l’occasione di godere di una splendida storia e per aver alzato l’asticella della qualità per i prodotti adattati dai videogiochi. Tutto ciò che verrà d’ora in poi prodotto e adattato a partire da un videogioco verrà messo a confronto con The Last of Us.
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Il nostro giudizio
Nata a Palermo nel 1994, si diploma al Liceo scientifico Galileo Galilei della propria città. Prende una laurea triennale in Studi filosofici e storici e una magistrale in Scienze filosofiche e storiche all’Università degli Studi di Palermo, approfondendo in particolar modo gli studi antropologici di René Girard rispetto al capro espiatorio e agli stereotipi di persecuzione, oltre che al rapporto violenza-religione.
Nato a Palermo nel 1992, si diploma presso il liceo scientifico statale Benedetto Croce della propria città. Subito dopo la scuola ha iniziato gli studi di recitazione e di approfondimento di teatro e cinema, le sue passioni.
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