2 Ottobre 2021

La magia di Villeneuve. “Dune”, regia di Denis Villeneuve

di Antonio Messina

Portare sul grande schermo l’adattamento di un libro (il primo di sei, in realtà) come “Dune”, già di complessa lettura di suo, al punto tale da essere stato rifiutato da decine di case editrici prima di venire pubblicato nel 1965, non è mai stato un lavoro semplice. Ce lo ha dimostrato David Lynch con la sua versione del 1984: ancora oggi, il regista della fortunata serie tv “Twin Peaks”, si cruccia per il lavoro fatto. La verità che si cela dietro questa difficoltà, è una quanto mai difficile interpretazione del genere fantascientifico, che oggi si propone come la scusa per sfornare grandi blockbusters, come la grande Hollywood ci ha abituati, ricchi di effetti speciali e trame sempre meno stimolanti

Locandina del film “Dune” di David Lynch, 1984.

È vero che negli anni passati abbiamo assistito a grandi capolavori come “Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo” o “Star Wars” o, ancora, i più recenti “Blade Runner”, “Matrix” e “Arrival”, fino a “Distric 9”, che rielabora il tema del razzismo in chiave aliena, ma a dispetto di tutto il resto, questi sono solo dei casi isolati

Dopo diversi tentativi di proporre “Dune” tra lo schermo della grande sala e il monitor di un computer, attraverso alcuni videogiochi, arriviamo a un 2021 minacciato da una pandemia che accenna malamente a dare tregua al settore dello spettacolo, ma che pare non aver fermato un regista in particolare che, adesso possiamo dirlo, sembra essere riuscito in quella che fino a pochi giorni fa poteva essere considerata dai più una vera mission impossible. Denis Villeneuve riesce a rendere bene, con la sua trasposizione cinematografica, una delle storie più complesse della narrativa di genere, imbastita da Frank Herbert. 

Ma cos’è, esattamente, questo “Dune”?

“Dune” è il soprannome dato ad Arrakis, un desertico e bellissimo pianeta abitato dall’antica popolazione dei Fremen, ma costantemente messo a ferro e fuoco dalla casata degli Harkonnen per via del Melange: una sostanza allucinogena che conferisce capacità uniche a chi la assume e che permette i viaggi spazio-temporali. Paul Atreides (Timothée Chalamet), erede della casata Atreides, si ritrova suo malgrado ad affrontare la pesante responsabilità derivata non solo dall’essere il figlio del Duca Leto Atreides (Oscar Isaac), ma anche dal più mistico potere ereditato dalla madre, Lady Jessica (Rebecca Ferguson), appartenente all’ordine delle Bene Gesserit, di vedere il futuro. 

© Warner Bros

Tra questi dubbi, il ragazzo si ritrova catapultato sul pianeta Arrakis: la sua casata deve infatti vegliare sul pianeta e ricostituirne l’ordine. Quando, però, questo compito si rivela  essere una trappola per distruggere la casata Atreides, Paul dovrà fare i conti con una diversa realtà: e se il suo destino non fosse semplicemente quello di guidare la sua casata, ma interi popoli sotto un’unica bandiera?

© Warner Bros

Villeneuve, con il suo grandioso senso estetico che mette in mostra dietro la cinepresa, aveva già dimostrato un talento senza precedenti con “Blade Runner 2049” e lo riconferma con questo “Dune”. In due ore e trentacinque di film, gli scorci di Arrakis e lo spazio profondo ci mostrano paesaggi che sembrano ispirati alle civiltà antiche, mescolandosi con il design futuristico delle astronavi, della tecnologia e degli indumenti, perdendosi a vista d’occhio. Le dune di sabbia sono tanto sinuose quanto pericolose. La macchina da presa si sofferma su particolari e dettagli mai fini a sé stessi e che compongono una trama, invece, molto più complessa di quanto si riesca davvero a percepire ad una prima visione. 

Il film è, infatti, di difficile lettura per chi non è abituato a un certo linguaggio cinematografico perlopiù visivo; il regista si sofferma su alcuni momenti per raccontarci quello che sta succedendo: veri e propri attimi narrativi che non hanno bisogno della battuta facile o di una spiegazione per essere compresi. Accompagnato dalle musiche di un quanto mai ispirato Hans Zimmer, lo spettatore ha tutto ciò che gli serve per comprendere quel che accade: dai luoghi ai dialoghi, fino ai costumi che contraddistinguono i componenti delle varie casate; tutto interagisce con lo spettatore, dal design al costante martellare dei battitori sulla sabbia, trasmettendo di volta in volta sensazioni uniche che da tempo non provavamo di fronte a un film di fantascienza.

“Dune” ci propone un mondo intriso di politica, di storia e di religione, specchio di una realtà che non possiamo ignorare: la divisione dello spazio tra casate ci ricorda un meccanismo quasi medievale, ma anche un più subdolo controllo sulle nazioni cui ancora oggi possiamo assistere. La storia del popolo di Arrakis, la stessa contesa di un pianeta che poteva diventare un luogo rigoglioso e ricco di vita se non fosse stato per la scoperta del Melange, che lo ha costretto a vivere nell’arretratezza di un tempo ormai andato, ci ricorda quella dei territori del medio-oriente, devastati dalle guerre per il controllo del petrolio

L’attesa secolare dell’arrivo di un salvatore ricalca la cultura ebraica e quello di Arrakis si rivela essere un vero e proprio culto messianico che traspare dagli oggetti, dal linguaggio, dalle iscrizioni, da gesti rituali e dagli abbigliamenti.

Denis Villeneuve si prende il tempo necessario non solo per raccontare tutta la storia, ma anche per introdurre questa realtà così complessa: il primo e il secondo tempo sono due macro momenti distinti e separati da un evento specifico. Gli ultimi minuti, che corrispondono alla fine della prima metà del primo libro, ci anticipano ciò che lo spettatore vedrà in futuro, preparandolo alla consapevolezza che oltre le sabbie dorate di Arrakis si cela un mondo completamente diverso, nuovo, civile, organizzato, fatto di magnificenza e al contempo di una semplicità derivata da una cultura più propensa alla conservazione che alla distruzione. 

Senza dubbio, un film che permette al libro di essere riscoperto e vivere nuovamente tra le mani di chi ha voglia di scoprire come prosegue il viaggio di Paul Atreides. Dietro la decisione del regista non si cela il mero intento di produrre quante più pellicole possibili per una questione di guadagno, ma è frutto di un attento studio del materiale di partenza e di un voler dare giustizia al lavoro di Herbert, regalandoci quello che si pone come il più ambizioso progetto che, da qui ai prossimi anni, potrebbe porre le basi per un nuovo modo di concepire la fantascienza al cinema, così come accadde nel 1977 con lo “Star Wars” di George Lucas.

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Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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