Immaginate che in quattro e quattr’otto, in Finlandia, a Helsinki, venga organizzato un convegno per aspiranti suicidi. Il motivo scatenante è provare a dare conforto a quelle povere anime che vogliono farla finita a tutti i costi. Idea brillante e umana, certo, peccato che, in un secondo momento, dopo attente discussioni e digressioni, i partecipanti al convegno decidano di abbracciare la morte tutti insieme appassionatamente. In questo modo non soltanto si dimezzeranno i costi che anche la morte, purtroppo, richiede, ma si darebbe all’evento una veste poetica ed epica — oltre che farla finita una volta per tutte, ovviamente.
Questa è una piccola parte di ciò che accade in Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna, edito da Iperborea. La cosa che mi ha fatto sorridere parecchio l’ho trovata nella postfazione al libro, in cui Diego Marani afferma che, per la serietà che i finlandesi mettono in tutto quello che fanno, una cosa del genere, lì, potrebbe davvero accadere. Pregiudizio o meno, non è su questo che voglio concentrarmi, ma su una trama che pur raccontando apparentemente la morte, in realtà narra tutt’altro.
Cominciamo dall’inizio. Il primo personaggio che conosciamo e che, ovviamente, vuole tentare il suicidio è il direttore di una lavanderia automatica, Rellonen, ma caso vuole che proprio nel posto prescelto per morire — un fienile — ci sia già qualcun altro che sta per compiere la stessa azione, il colonnello Kemppainen. I due decidono che non sarebbe stato bello far trovare due cadaveri invece di uno e, di pari accordo, rinviano l’esecuzione: «Fallire un suicidio non è poi la cosa più tragica al mondo: non si può riuscire sempre in tutto».
Nel dialogo e nella condivisione dei propri drammi, sogni e fallimenti, i due capiscono che forse morire non è una cosa così urgente: «Per morire c’è sempre tempo», si dirà a un certo punto, e che altri potrebbero trovare sollievo nel condividere la vita con chi, come loro, sta attraversando le stesse tragedie. Da qui la decisione di indire un convegno che avrà come esito finale e unanime, come detto prima, la decisione di affrontare la morte tutti insieme.
Ma dove? Non in Finlandia, certo, ma in posti naturalmente pericolosi, come le scogliere di Capo Nord, i burroni del Furka o le rapide di Imatra. Dico “posti” perché per un motivo o per un altro il luogo di volta in volta prescelto non andrà mai bene. Fin qui nessuno spoiler: non è possibile svelare in così poche parole un libro con una trama come questa. La trama vera e propria, infatti, sarà il viaggio che questi “Morituri Anonimi” intraprenderanno su un pullman ultra lussuoso soprannominato la “Saetta della morte”. Tantissimi personaggi, tutti con le loro storie e i loro motivi per scappare dalla vita.
«Lasciate che il cuore faccia una pausa, fosse anche solo il tempo di cento battiti, tanto per riprendere fiato, e tutto è finito. I miliardi di battiti precedenti non conterebbero più nulla. Così è la morte. Sono migliaia i finlandesi che ogni anno ne fanno esperienza, e nessuno torna a riferire che effetto fa, alla fine».
Però, come dicevo all’inizio, il libro non racconta la morte. Centrale nel romanzo è il viaggio di questo squinternato gruppo, viaggio che potremmo definire dantesco, per usare una metafora in linea con il tema della morte, e che potrebbe apparire lugubre, se ne tenessimo a mente il fine, ma che pian piano diventerà un vero e proprio ritorno alla vita — dall’inferno al paradiso, a voler esagerare anche noi, per l’appunto. Tantissime situazioni coinvolgeranno i personaggi, quasi tutte surreali, tuttavia Paasilinna, grazie alla sua scrittura attenta ai dettagli e alla realtà circostante, le farà sembrare verosimili più che mai.
Così, la leggerezza accompagnerà la lettura; leggerezza che non è superficialità, come dice Calvino, ma anche ironia e riflessione insieme, perché, in fondo, il sorriso che accompagna queste pagine è quello, forse in parte pirandelliano, che davanti a dialoghi e situazioni assurde nasconde un pensiero più profondo, soffermandosi in questo caso sulla morte, sì, e soprattutto sulla vita.
Sul romanzo ci sarebbe tantissimo da dire, soprattutto per chi ha familiarità con la storia della Finlandia: tanti sono i rimandi alla guerra dei trent’anni, tanti i riferimenti alle diatribe con la Russia o la Germania. E ancora, sullo sfondo, si erge la questione relativa alla religione, o al materialismo del vivere. In un romanzo, dunque, che, nonostante la presenza di un narratore onnisciente, prende le fattezze di un romanzo corale, non ci sono solo tanti personaggi, tutti diversi tra loro, ma anche altrettanti temi e critiche alla società da scovare durante la lettura.
Come si può già intravedere dalle poche citazioni precedenti, la prosa di Paasilinna è ironica e tagliente, e non porta con sé nessun giudizio recriminatorio sul suicidio. Insieme al narratore seguiamo le vicende dei Morituri, cerchiamo di comprenderne quelle ragioni che, in fin dei conti, finiscono per passare in secondo piano rispetto alla vicende e alle avventure che si troveranno ad affrontare. Così, alla fine, affiora un punto essenziale, cioè che a salvare, a volte, è la condivisione del proprio mondo interiore e dei propri, personalissimi, mostri; è cambiare prospettiva guardando le cose dall’alto — «planare sulle cose dall’alto», direbbe sempre Calvino —; e, infine, rendersi conto che si può ancora vivere, anche quando ci si sente già morti. Soprattutto quando ci si sente già morti. E allora, per concludere con una citazione: «Si può scherzare con la morte, ma con la vita no. Evviva!».
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Il nostro giudizio
Nata a Ragusa il 26 maggio 1991, ha frequentato il liceo classico Secusio Bonaventura di Caltagirone. Dopo il diploma continua gli studi umanistici iscrivendosi alla triennale in Lettere moderne presso l’università di Catania e conclude il suo percorso universitario con la laurea magistrale in Filologia moderna nel 2022.
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